Gian Franco Svidercoschi all'Università del Dialogo

Publié le 03-12-2013

de redazione Unidialogo

Dal Concilio a Francesco 

Gian Franco Svidercoschi, 77 anni, decano dei vaticanisti italiani, ha tenuto la terza relazione dell’Università del Dialogo presso l’Arsenale della Pace per la stagione 2013-2014. Aveva appena ventidue anni quando l’ANSA lo mandò in Vaticano a documentare il nuovo Concilio voluto da Giovanni XXIII che avrebbe segnato una svolta decisiva nella storia della Chiesa. Da allora ad oggi una lunga carriera da giornalista lo ha portato per un periodo all’Osservatore Romano come vice direttore e a scrivere numerosi libri sui papi e sulla vita della Chiesa contemporanea.

È considerato il biografo di Giovanni Paolo II, il papa che con uno dei pontificati più lunghi della storia ha camminato da protagonista nel panorama mondiale, dalla fine della guerra fredda fino alle soglie del nuovo millennio. Ed è proprio con Stanislao Dziwisz - allora segretario del pontefice arrivato dalla “cortina di ferro” e ora cardinale e vescovo di Cracovia - che ha scritto a quattro mani “Ho vissuto con un santo (Rizzoli). Una carriera la sua fatta anche di spine che arrivano immancabili quando due dei suoi ultimi libri “Mal di Chiesa, dubbi e speranze di un cristiano in crisi” (Cooper) e “Il ritorno dei chierici, emergenza Chiesa tra clericalismo e concilio” (EDB) gli procurano critiche e ostracismi da blog e ambienti clericali.

La Lumen Gentium, il documento più importante del Concilio Vaticano II, spiega Svidercoschi, aveva dato a tutti una nuova visione della Chiesa, “Chiesa mistero, Chiesa popolo di Dio, Chiesa collegiale”. Son i temi che ora il nuovo papa sta sviluppando: “Siamo ad una svolta: Francesco ci ha messo in mano il Vangelo. È come se ci avesse detto: ricominciamo da capo a leggere il Vangelo, ad applicare il Vangelo. Tutto qui! Il resto è un di più. Dobbiamo uscire dal frigidaire in cui ci siamo messi per troppi anni e cominciare a vivere meglio la nostra fede . […] Il Concilio rappresenta veramente quella bussola che doveva rappresentare? No, abbiamo la coscienza di aver mancato in qualcosa. Abbiamo un cammino che è davanti a noi”.

Gian Franco Svidercoschi - 3 dicembre 2013Dal Concilio arriva “tutto quello che oggi c’è di positivo nella Chiesa e noi lo stiamo vivendo oggi: ha cambiato il modo di pregare, di rapportarsi a Dio, con le altre Chiese cristiane, ha cambiato il mondo. C’è una Chiesa che si confronta con la modernità. Tutto questo è stato il Concilio”. E ancora: “La Chiesa, dal Concilio di Trento in poi, ha perduto troppo tempo a indagare nelle coscienze, invece di far maturare le coscienze. C’è un’educazione alla libertà, un’educazione alla responsabilità, e questo è, credo, il compito fondamentale della Chiesa in questo momento”. Ma non ci sono solo riflessioni impegnate. Verso la fine dell’incontro racconta un episodio che ha avuto come protagonisti Giovanni Paolo II e un nunzio che arrivava da un Paese africano. Il papa era convalescente da un impegnativo intervento chirurgico da poco effettuato al Gemelli di Roma. Al termine della visita il nunzio si sofferma ripetutamente nel chiedere al papa come sta e di fronte alla curiosità del pontefice che gli chiedeva il motivo di tanta insistenza precisa che sicuramente lo vede star meglio adesso di quanto stesse prima dell’operazione. Al che Giovanni Paolo II lo congeda con un: “Eccellenza, perché non si fa operare anche lei?”.

L’incontro, trasmesso in streaming e commentato con i "live tweeting" del pubblico, prosegue con le riflessioni del gruppo di giovani dell’Arsenale sulla Chiesa. L’ultimo pensiero lo dedica a quello che ha imparato da testimone degli ultimi 50 anni della vita della Chiesa: Giovanni XXIII lo ha riavvicinato alla Chiesa. Paolo VI, con i suoi punti interrogativi e la sua voglia di approfondire lo ha fatto diventare un cristiano che pensa. Giovanni Paolo I che ha cominciato a smontare l’apparato di sfarzo della Chiesa e in qualche modo ha preparato la prima venuta di un papa non italiano dopo 500 anni, gli ha dato la gioia di essere cristiano. Giovanni Paolo II lo ha fatto entrare nelle radici polacche di una religiosità più combattente e Benedetto XVI gli ha fatto ritrovare il senso del Cristo che sta dentro e accompagna la vita del credente. Francesco invece “basta seguirlo e diventi cristiano per forza anche se non lo sei”.

di Claudio Maria Picco 


Introduzione all'incontro con video e prima domanda a Gian Franco Svidercoschi

foto: Gotico, De Franceschi / NP
 
 

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