Raffaele Cantone: Non basta dire onestà

Publié le 31-10-2015

de Andrea Gotico

Raffaele Cantone apre la Sessione 2015-2016 dell’Università del Dialogo. L’incontro si è fatto subito intenso, immerso in un clima di grande attenzione e sintonia con le persone che hanno affollato l'auditorium dell'Arsenale della Pace. In sintesi alcuni passaggi del suo intervento.

"Non basta dire onestà": il dialogo riguardava la lotta alla corruzione articolata in tre tempi: repressione, prevenzione, cambio di mentalità. Il presidente dell'Autorità anti corruzione nelle sue risposte è stato chiaro e propositivo: si possono affrontare grandi problemi se ognuno agisce e pretende che gli altri agiscano in modo onesto e responsabile. In sintesi, ecco il suo pensiero.
E' più semplice affrontare il male quando questo è visibile e non si nasconde oppure simula di essere bene. La corruzione è un male enorme che blocca il Paese. Se un imprenditore vince con la corruzione non ha interesse ad essere il migliore, non ha interesse a fare il bene. La corruzione deprime il desiderio di bene soprattutto dei giovani. Dove c’è corruzione c’è minore ricerca, non si aprono spazi e molti giovani cervelli scappano via. C’è un legame molto forte tra mancanza di speranza e corruzione.

Ma la repressione da sola non basta. Il legame tra corruzione e povertà ci è stato insegnato solo negli ultimi tempi da Papa Francesco. A Napoli disse che la corruzione puzza. Spesso i corrotti vengono scoperti in modo casuale. Bisogna lavorare sulla prevenzione che è però è un’operazione molto complicata perché implica diversi livelli di intervento istituzionale. Certo si può lavorare sul proprio ambito, ma siccome questo é per forza di cose limitato, bisogna soprattutto introdurre anticorpi nel sistema. Il primo anticorpo è la trasparenza, l’amministrazione deve essere una casa di vetro trasparente in modo tale che ogni cittadino possa con un click sapere chi fai i lavori, quanto prenda, perché lavorano sempre gli stessi soggetti.

Un‘altra soluzione, un’altra scommessa è utilizzare la parte migliore della pubblica amministrazione che spesso però è silenziosa, messa da parte. Uno Stato serio non può rinunciare ai lavori pubblici per paura di infiltrazioni mafiose: se si ferma per questo motivo è uno Stato che ha già perso. Poi ci sono sempre troppi centri di potere e decisionali che non permettono di avere trasparenza: in questo caso, bisogna cercare di individuare chiaramente chi ha delle responsabilità. Nelle pieghe si nascondono ambiguità e corruzioni. Anche molti controlli puzzano di inaffidabilità. Anche le leggi obiettivo, che vorrebbero far fare le cose tutte e subito senza burocrazia, non hanno funzionato. Il caso di Expo: i controlli ben fatti non hanno rallentato le opere, anzi le hanno facilitate e rese sicure. La trasparenza è e rimane la medicina migliore. In Italia è possibile lavorare bene!

Poi, tutti dobbiamo uscire dalla mentalità dei favori: chiedere favori è l’anticamera della corruzione. Non bisogna abituarsi. La corruzione è prima di tutto un problema culturale che crea una distorsione della realtà. Cominciamo a fare il nostro dovere, anche accettando di andare controcorrente: spesso stiamo zitti perché non vogliamo disturbare le regole del gruppo e per questo rimanerne esclusi. Noi abbiamo spesso una concezione fluida della legalità: odiamo i politici ma poi non facciamo lo scontrino, non paghiamo le tasse… e pensiamo di essere nel giusto. Cerchiamo sempre la giustificazione di ogni nostro comportamento, non pensiamo che la realtà della corruzione ci appartenga. Per esempio nelle scuole c’è molta attenzione contro la mafia ma appena si parla dello spinello che finanzia la criminalità allora il clima e l’attenzione cambiano. Intraprendere la strada della legalità è un cammino solitario.

Anche nel sociale ci sono problemi enormi. Il terzo settore ha avuto un ruolo fondamentale per unire l’economia e l’etica. Però questo obiettivo si scontra con la realtà: una cooperativa di tipo B non è competitiva con un soggetto economico tradizionale, è stato quindi necessario un intervento per equilibrare le situazioni di partenza. Questo tipo di interventi giusti e giustificati sono stati però l’occasione per delle mele marce per appropriarsi di enormi risorse, senza neanche subire minimi controlli. Non abbiamo alzato le antenne in un campo come quello della solidarietà e qualcuno ha pensato così di fare soldi facili, ha approfittato della situazione. Il terzo settore doveva sviluppare un’asticella della moralità più alta. Bisogna fare pulizia anche quando i riflettori sono spenti. Ora esiste il rischio che a causa di qualche malavitoso settori enormi come quello della salute e della solidarietà implodano. Questi settori devono maturare al più presto anticorpi interni che li sappiano salvare.

Noi siamo un popolo strano. Con gli scandali facciamo leggi draconiane che però non vengono quasi mai applicate. Guardate la legge Severino. Appena si applica, tutti si scoprono garantisti. Non dobbiamo solo partire dal grande contesto ma anche dai piccoli conflitti d’interesse. Un giorno vendo materiale sanitario, il giorno dopo sono assessore alla sanità. Questi piccoli conflitti di interesse sono l’anticamera della corruzione. Oggi il vero problema sono gli enti locali, non tanto il parlamento. Si parla di conflitto d’interesse ma nessuno se ne vuole occupare... Abbiamo bisogno di un Paese di gente normale, non di eroi. Abbiamo bisogno di eroi perché così possiamo mascherare il nostro non fare. Io non posso fare nulla da solo, non sono un eroe. Posso provare a svuotare il mare con un cucchiaino e lo farò. Ma da solo che cosa posso fare? Se però tutti ci mettiamo con il nostro cucchiaino allora – forse – il mare lo possiamo svuotare. Io sono cresciuto e vivo tuttora in un contesto dove la malavita imperversa. Un mio compagno di classe delle elementari a 19 anni dopo essere entrato in un giro di malavita è stato ammazzato dalla camorra. È stato un momento difficile ma che mi ha fatto crescere molto perché mi ha fatto capire come la realtà sia complessa: il bene e il male si intrecciano in maniera difficile da distinguere ma non vanno confusi. Io non perdo la speranza perché ci sono grandi scandali ma anche le forze che li combattono. Giovanni Falcone mica era danese!

Tutti, a partire dai bambini, dobbiamo capire che rispettare le regole è il modo migliore per trovarsi della parte giusta. Alla lunga paga e paga bene. Chi vive la parte sbagliata ha la spada di Damocle sulla testa. Chi sceglie la strada sbagliata causa danni enormi a sé e agli altri e possiamo aiutare i ragazzi a capirlo attraverso esempi concreti nelle realtà più vicine a loro, cioè la famiglia e la scuola.
Il sistema cambia se ciascuno fa la sua parte con umiltà e serietà. Dobbiamo sostituire la parola legalità con responsabilità. Se noi facciamo quello che pretendiamo facciano gli altri allora saremo sulla buona strada.

Seguono il video integrale e le foto dell'ultimo incontro dell'Università del Dialogo.


FOTOFoto: L. Nacheli / NP


VIDEO

 

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