CARCERI: Il sistema statunitense

Publié le 31-08-2009

de grazia


Il Comitato Paul Rougeau fa il punto sul grosso business del sistema carcerario USA. Nel 2005 sono state 60 le esecuzioni capitali negli USA, più di 1.000 dal 1976, anno della reintroduzione della pena capitale, messa al bando però nel marzo 2005 per quanto riguarda gli imputati minorenni.


di Grazia Guaschino

Negli Stati Uniti d’America, che imprigionano oltre due milioni di persone, più di qualsiasi altro Paese al mondo, il sistema penitenziario è fonte di grandi profitti per le prigioni private e più ancora per le imprese che costituiscono l’indotto del complesso carcerario. L’enorme salasso che ne consegue per i contribuenti non serve a recuperare i detenuti, che vengono restituiti alla società dopo aver scontato una pena puramente afflittiva. Si segnalano molti casi di trattamenti inumani e di torture a volte mortali. Come funziona un’industria per rendere ricchi profitti ai suoi proprietari? Con l’afflusso costante di materia prima, possibilmente a basso costo e facilmente reperibile, con la manodopera sfruttata al massimo e pagata al minimo, con lo sviluppo parallelo di altre industrie che la supportino.

Bene, esaminiamo allora un tipo molto particolare di industria che sta prosperando in questi anni nell’osservanza dei canoni sopra indicati. Stiamo parlando dell’industria carceraria americana. Non sarebbe una cosa tanto spaventosa se la materia prima non fosse costituita da esseri umani.
Diamo prima di tutto qualche cifra. Nel giugno 2004 la popolazione carceraria statunitense ha superato i 2,1 milioni di persone e aumenta di 900 unità a settimana. Negli Stati Uniti su 100.000 cittadini si hanno 690 detenuti, più di ogni altra nazione nel mondo. La Russia segue con 675 prigionieri, il Sud Africa con 400, l’Inghilterra con 125, l’Italia con 100. Si può accettare che in America il tasso di incarcerazione sia superiore a quello italiano del 600 %? Come può esserci una criminalità tanto più grande della nostra nel Paese più sviluppato e potente?

E le cose peggiorano drasticamente per le minoranze: in America è in carcere un Nero maggiorenne ogni 20 – in alcuni stati uno ogni 10 - a fronte di un Bianco detenuto ogni 180. Degli uomini neri di età compresa tra 20 e 30 anni, più del 10% è in carcere. Pensate solo al danno economico provocato alle famiglie di colore dal venir meno delle corrispondenti risorse lavorative.
Come si trova tanta materia prima per l’industria carceraria? Basta rendere delle categorie di persone così povere e disperate da essere disposte al crimine, e il gioco è fatto. I Neri, gli Ispanici e i più poveri fra i Banchi costituiscono un’incessante fonte di materia prima per le carceri americane.
La cosiddetta guerra al terrore, con l’inasprimento delle leggi e la limitazione delle libertà civili, ha procurato un ulteriore afflusso di materia prima in questa industria, attraverso l’arresto – non sempre per brevi periodi - di un milione e mezzo di Islamici.

Se venissero poi restituite alla società persone redente e cambiate, grazie ad un’opera di assistenza sociale da parte di personale preparato adeguatamente, ci sarebbe almeno un vantaggio a fronte dell’incarcerazione di così tanta gente. Invece coloro che lasciano il carcere sono quasi sempre inaspriti e incattiviti dai maltrattamenti subiti. Questo perché il personale carcerario è mal pagato e impreparato e a volte costituito da persone ignoranti e inclini alla violenza che sfogano sui detenuti le loro frustrazioni e il loro sadismo.

Da una ricerca durata quattro mesi, effettuata nelle carceri di contea degli Stati Uniti da parte di Deborah Davies, una giornalista del Canale 4 della BBC, è emerso che i detenuti, sia uomini che donne, vengono spesso sottoposti alle stesse torture, che hanno suscitato tanto scalpore e scandalo, compiute sui prigionieri di Abu Ghraib e di Guantanamo. Come dire: gli aguzzini americani non hanno inventato niente, si sono limitati a esportare le usanze domestiche. Le prove di questi fatti sono costituite da videocassette in possesso alle direzioni carcerarie, che in alcuni casi la giornalista è riuscita a farsi consegnare vincendo comprensibili resistenze. (Sappiamo che in molti stati i regolamenti impongono che le operazioni violente compiute dagli agenti penitenziari vengano videoregistrate).

Guantanamo

Ecco alcune delle scene riprese dalle telecamere carcerarie e mostrate dalla BBC. In un carcere del Texas, le guardie prendono a calci, fanno azzannare dai cani e colpiscono con violente scosse elettriche, gruppi di uomini nudi costretti a camminare a quattro zampe sul pavimento. In un carcere dello Utah un uomo nudo e barcollante viene trascinato fuori dalla cella e legato ad uno strumento medioevale chiamato “sedia di contenzione”. Lo sventurato ha una lunga storia di schizofrenia alle spalle e ha compiuto una violazione disciplinare: si è rifiutato di lasciare un cuscino che teneva sulla testa. Lo vediamo ora mani e piedi incatenati. Una cinghia gli serra il torace. La testa pende in avanti. Sembra morto, ma non lo è. Sedici ore dopo verrà liberato dalla sedia. Due ore prima della morte.

Vediamo ora che cosa succede a Phoenix, in Arizona. Uno sceriffo di contea, che gode la fama di essere “lo sceriffo più duro d’America”, accoglie lo staff televisivo con grande cordialità, e promette di lasciar visitare il suo carcere “senza restrizioni”. Meno male! È terribile trovarsi in restrizioni nella sua prigione. Dalle registrazioni prese dal suo ufficio, si vede il trattamento riservato a un detenuto malato mentale e drogato. L’uomo viene legato alla sedia di contenzione con il capo chinato fino a toccare le ginocchia e le braccia tirate dietro la schiena. Viene lasciato in quella posizione per quindici minuti. Il prigioniero muore per asfissia. Un altro detenuto muore sulla stessa sedia, a cui era stato legato nello stesso modo, dopo essere stato picchiato e aver ricevuto 19 scosse elettriche a 50.000 volt.
La giornalista ha accertato più di 20 casi di persone decedute in questi anni sulle sedie di contenzione.


Abu Ghraib
Questi sono solo alcuni episodi, scelti tra i peggiori, ma si sa che in molte carceri americane, i detenuti vengono regolarmente picchiati, colpiti con scosse elettriche, denudati, umiliati, fatti azzannare dai cani, irrorati di gas urticanti e così via. Si stima che annualmente siano diverse migliaia gli stupri ai danni dei carcerati, uomini, donne e ragazzi, per lo più ad opera di altri prigionieri ma anche delle guardie. Gli episodi violenti che coinvolgono detenuti sono dell’ordine delle decine di migliaia ogni anno.

Pur non volendo generalizzare su tutto lo sterminato universo delle carceri USA, non possiamo evitare un moto di disgustata riprovazione nonché una riflessione angosciata. Che cosa dobbiamo aspettarci dai detenuti - entrati in carcere carichi delle loro tare sociali, esclusi da programmi riabilitativi e spesso sottoposti a trattamenti estremi - una volta che recuperano la libertà? Certo non avranno imparato a vivere in un mondo civile e a rispettare il prossimo facendosi a loro volta rispettare.
Eppure, per ogni dollaro versato nelle tasse per l’educazione universitaria, ci sono 60 centesimi spesi per le carceri. E sappiamo che mantenere un detenuto costa ai contribuenti americani quasi come mantenere uno studente ad Harvard. È dubbio il ritorno di questa spesa per i contribuenti ma il profitto è grandissimo per la florida industria carceraria.

Se infatti sono ancora una minoranza le carceri private in crescita - che sfruttano il lavoro dei detenuti mentre risparmiano all’osso sul loro mantenimento - il grande profitto del sistema carcerario si realizza nelle industrie e nei servizi che lavorano per le prigioni statali. Ci riferiamo agli studi di progettazione architettonica e all’industria delle costruzioni, alle compagnie che preparano i pasti, alle ditte che offrono materiale sanitario e cure mediche, ai venditori di sistemi di comunicazione, di porte d’acciaio, di filo spinato, di armi convenzionali e non convenzionali, di aggressivi chimici, di uniformi di ogni tipo e di molto altro ancora.


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