Dal Blues al Rap... la strada per il Nuovo Mondo

Publié le 30-11-2012

de Mauro Tabasso

di Mauro Tabasso - Dal Blues al Rap... la strada per il Nuovo Mondo (NP Novembre 2000)


È del 1619 il primo viaggio documentato di una nave negriera, mezzo che trasportava attraverso l’Oceano Atlantico il suo triste carico di uomini con biglietto di sola andata per il Nuovo Mondo. Giunte a destinazione, a queste persone veniva sistematicamente proibito di parlare la loro lingua, sconosciuta ai bianchi, per evitare che potessero ordire complotti o "piani di fuga". Robert Johnson
Nacque così lo "slang", l’idioma ottenuto dalla storpiatura dell’inglese imparato a frustate, con il quale si esprimevano gli africani espiantati. Dapprima questo "dialetto" fu parlato, ma poco dopo divenne giocoforza la lingua "ufficiale" dei worksongs, poi degli Hollers, in seguito del Blues, verso della sofferenza, della frustrazione e della rabbia di un popolo in esilio.
Oggi, a distanza di quasi quattro secoli, nonostante l’integrazione delle razze (vera o presunta) e la continua rimescolanza del patrimonio genetico di etnie differenti, questa atavica rabbia non si è ancora stemperata (anzi, in contesti che non è difficile immaginare si autoalimenta ancora), e continua ad esprimersi (in ambito musicale) con il Rap, l’arte di "cantare parlando" utilizzando la sillabazione delle parole e il loro naturale accento tonico per creare cellule ritmiche dall’impatto altamente penetrante. A dire il vero, i temi trattati dai rappers non sono più esattamente gli stessi del blues, ma il travaglio di un popolo si palesa ugualmente nel tono e nell’intenzione con i quali gli esponenti di questo genere (in buona parte di colore) si esprimono, anche se parlano d’amore.
In effetti il ritmo sta ai neri come la melodia o l’armonia stanno ai bianchi. Il Rap si basa quindi su cellule ritmiche ossessive e trapananti, rese tali anche dall’aggressività con la quale il solista improvvisa il suo monologo, intervallato talvolta da brevi inserti musicali atti ad allentare la tensione. I suoni sono quasi fastidiosi: casse di batteria martellanti e rumori di puntine su dischi vinilici girati a mano. Tupac
L’ambiente naturale dei rappers è la metropoli, la strada, il ghetto... Fatte le dovute proporzioni, pressapoco lo stesso dei bluesmans di un tempo. La maggior parte di loro gira armata, riunita in piccole bande tra le quali scoppia spesso la rissa. E come per una forma di inquinamento atmosferico, molti di loro muoiono ancora giovani per avvelenamento da piombo... calibro 9 mm. Fu questo (pare) il destino a cui andò incontro (a 27 anni) Robert Johnson, il più celebre bluesman di tutti i tempi, autore (tra l’altro) di brani come "Sweet Home Chicago" e "Cross Road Blues", e lo stesso destino è toccato di recente (articolo del 2000 n.d.r.) ad altre due autentiche star dannate del Rap: Notorius Big  e Tupac Shakur.
La storia ha unito questi due nomi fin dalla nascita: infanzia difficile, ambiente familiare precario, vari precedenti (spaccio di crack, rapina, ecc.) ed un talento che li ha portati non ancora venticinquenni al successo internazionale ed al denaro che ne consegue.
Pare si odiassero a morte. Tupac accusò perfino Christopher Wallace (questo il nome di Notorius Big) di aver preso parte all’aggressione che nel 1994 lo risparmiò per miracolo, così quando nel '97 Wallace venne ucciso con alcuni colpi d’arma da fuoco sparati a bruciapelo all’uscita di un locale, Tupac finì nella lista degli indagati. Nel '98 avrebbe seguito la stessa sorte del suo rivale.
Entrambi i casi giacciono su qualche scaffale ancora irrisolti, così come quello di Freaky Tah: stessa storia, stessa provenienza per il leader dei Lost NotoriusBoys assassinato a New York da mano ignota con la stessa identica dinamica. Tre storie quasi identiche, dalla nascita, alla musica alla morte. Solo il successo è rimasto. Negli Stati Uniti infatti il disco postumo di Notorius Big, "Life after death", e le compilation con i più grandi successi di Tupac e di Freaky permangono in classifica ormai da tre anni, e la loro fama e il loro mito crescono soprattutto tra i teenagers. Così come accadde a Robert Johnson nel 1938, la strada li ha resi famosi e poi se li è ripresi...
Ma è doloroso constatare che non solo il grande bluesman, ma innumerevoli altri ancora prima di lui (e chissà quanti dopo), hanno fatto più strada da morti che da vivi.

DIAPASON – Rubrica di Nuovo Progetto

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