MYANMAR: a fianco dei monaci e del popolo

Publié le 31-08-2009

de Redazione Sermig


La rivolta contro un regime dispotico e brutale, guidata dalla forza della fede e dalla determinazione pacifica e coraggiosa di tutto un popolo. Incontro di solidarietà svoltosi ieri a Torino.

A cura della Fraternità del Sermig


È di ieri la notizia che i militari birmani hanno isolato l'accesso ai cinque più importanti monasteri di Rangoon, considerati tra i principali responsabili della rivoluzione nonviolenta che da alcuni giorni sta mettendo in discussione il duro regime militare del Paese.
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 Fonte: Asianews.it
Le immagini che giungono dal Myanmar (già Birmania) sono tali da interpellarci nella nostra più autentica umanità. La rivolta contro un regime dispotico e brutale, guidata dalla forza della fede e dalla determinazione pacifica e coraggiosa di tutto un popolo: tutto ciò, trasmesso attraverso i giornali, le televisioni e internet in tutto il mondo, rende ben visibile il senso profondo della nonviolenza, ma anche fa temere un grave bagno di sangue.

Per riflettere e meditare su quanto avviene, e per testimoniare la vicinanza e la solidarietà con i monaci e col popolo birmano, si è svolto ieri, 27 settembre 2007, un incontro pubblico a Torino, presso il chiostro del Santuario della Consolata.
L’incontro è stato promosso dall’associazione interreligiosa “Interdipendence”, costituitasi recentemente ed editrice della Rivista “Interdipendenza”, e da:

Elvio Arancio, della Confraternita islamica sufi Jerrahi-Halveti, direttore editoriale di “Interdipendenza”;
Sarah Kaminski, dell’Università di Torino, consigliere della Comunità Ebraica di Torino;
Angela Lano, giornalista, collaboratrice di Repubblica e di altre testate;
Giuseppe Platone, pastore valdese, direttore di Riforma;
Bruno Portigliatti, presidente onorario dell’Unione Buddhista Europea;
Marco Scarnera, della Pastorale della Cultura dell’Arcidiocesi di Torino;
D. Ermis Segatti, referente per la Pastorale della Cultura dell’Arcidiocesi di Torino;
Claudio Torrero, co-presidente del Centro Studi Maitri Buddha, direttore responsabile di “Interdipendenza”

Pubblichiamo breve estratti dagli interventi.

DON ERMIS SEGATTI
La Birmania è un regime totalitario militare, nel quale i militari esercitano il massimo del controllo su ogni aspetto della vita (come accadeva nell’ex Unione Sovietica). L’esercito è diffuso capillarmente sul territorio - in certi casi ne ha proprio “occupato” delle zone - ed è anche l’unico imprenditore. Il grande partner commerciale e imprenditoriale, “fagocitatore” dell’intera economia birmana, è la Cina.
Da parte della popolazione c’è da un lato la speranza di poter entrare nell’esercito, procurandosi così un posto di lavoro sicuro, uno stipendio garantito, dall’altro la paura dell’esercito. Anche all’interno della gerarchia militare c’è una rigida divisione di ruoli e la posizione di subalterno non è facile.
Difficilmente la gente comune comunica con te, straniero in visita, e parla della situazione politica. Se però qualche volta succede - perché si è entrati in amicizia e in un rapporto di fiducia - si avverte che la maggioranza della popolazione è contraria al regime e che, nonostante tutto, non si è mai spenta la speranza di poter cambiare qualcosa.
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Trasporti locali

La leader Aung San Suu Kyi, capo dell’opposizione, agli arresti domiciliari (in realtà pare confermata la notizia che dalla sera del 25 settembre scorso la stessa è stata trasferita in carcere), figlia di Ahung San, leader birmano degli anni 1948-1968 (periodo di democrazia), ha molta presa sulla gente. Qualche anno fa era stata autorizzata dalla polizia a recarsi in una località per partecipare ad un incontro e nei paesi in cui transitava la gente con delle candele accese si radunava sulla strada per vederla passare. Il regime mandò bande di delinquenti scarcerati per l’occasione a fare pestaggi dei manifestanti e la stessa San Suu Kyi finì all’ospedale.

Negli anni passati esisteva nella ex capitale Rangoon (oggi chiamata Yangon; dal novembre 2005 la capitale è Naypyidaw) il polo universitario, dove erano concentrate tutte le facoltà; attualmente tutte le facoltà sono state divise, sparse per il Paese per impedire possibilità di aggregazione da parte degli studenti.
È stato anche vietato il passaggio da parte di chicchessia nella strada della casa dove è reclusa San Suu Kyi.

Perfino il buddismo è stato strumentalizzato da parte del regime a proprio vantaggio: spesso nei telegiornali, dove le notizie sono solo quelle passate dalla censura, si vedono immagini di autorità militari che rendono omaggio ai monaci buddisti, piegando il capo davanti a loro, sostando nel gradino sottostante rispetto al monaco. Un’apparenza che non ha riscontro nella sostanza della realtà.

Lobsang Sanghye
(al mondo Edmondo Turci, monaco buddista, responsabile degli insegnamenti e guida spirituale del Centro Studi Maitri Buddha di Torino)
I monaci buddisti birmani non hanno mai accettato la situazione del loro Paese: la gente sa che nei monasteri può trovare sostegno alle idee di libertà e democrazia. Il monaco buddista studia logica, grammatica, filosofia, tecnica, scienze, medicina. Il monaco vive la compassione, che è conoscenza del dolore e condivisione. La condivisione nasce da un’intuitiva consapevolezza che in ognuno di noi non c’è nulla che sostanzialmente ci divide. C’è un’altra conoscenza primordiale: la nostra non-mortalità. La condivisione del dolore è l’amore.
Nella formazione stessa del monaco trova radici la posizione assunta dai monaci birmani.

In questi giorni in Birmania, durante le manifestazioni non violente, i monaci gridano alla gente che vuole unirsi a loro: “Non seguiteci, non mettete a repentaglio la vostra vita, voi siete padri, madri, dovete salvaguardarvi per i vostri figli, spetta a noi monaci fare questo!”.
Questo può accadere perché il monaco è “imprestato alla vita”, non si appartiene.
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Giovani Monaci Birmani
CONCLUSIONI
Che cosa possiamo fare dall’Italia? Mantenere viva e desta l’informazione sulla situazione birmana. Pregare.
Utilizzare il sito www.interdipendence.it come punto di aggregazione di tutte le notizie, informazioni e iniziative di cui veniamo a conoscenza.
Dal pubblico viene lanciata la proposta di partecipare alla manifestazione per la non violenza promossa dal Partito Umanista il 2/10 davanti al Palazzo di Città di Torino, in occasione della prima Giornata internazionale per la non violenza, proclamata dall’Onu su proposta del governo indiano in coincidenza con il giorno della nascita del Mahatma Gandhi.
A cura della Fraternità del Sermig
Per approfondire:
BIRMANIA dietro le quinte
Scheda: BIRMANIA, casa per studenti
Vedi anche l’editoriale di E.Olivero:
BIRMANIA: siamo con voi

 

 

 

 

 

 

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