Panem, circenses et... proteste

Publié le 18-06-2013

 

Brasile: martedì 18 giugno 2013. Se fossimo nella Roma antica, il Senato si starebbe chiedendo perplesso: “ma perchè!? Tutto quello che il popolo desidera glielo stiamo dando: pane, borse-spesa, telenovelas, Confederations Cup e i giochi circensi che verranno...”, ma tutto questo “benessere” sembra non bastare e cosí, dopo una serie di manifestazioni di protesta contro il caro-trasporti, ieri, in quasi tutte le capitali brasiliane, San Paolo, Rio, Belo Horizonte, Fortaleza... si son viste scene di folle protestando pacificamente, insieme ad atti di vandalismo e reazioni della polizia. Nella capitale Brasilia, la folla ha addirittura occupato la grande terrazza del Parlamento, simbolo del potere centrale.  

Davanti a questo “fulmine a ciel sereno”, i leader politici di ogni livello, municipale, statale e federale sono a dir poco stupiti, sorpresi e in seria difficoltà, prima di tutto nel cercare di capire le ragioni di tutto questo. La dichiarazione della Presidente Dilma (recentemente fischiata in occasione dell’apertura della Confederations Cup) è emblematica: “Ogni manifestazione pacifica è sempre legittima ed è tipica della gioventù...”. Il problema di questa lettura, oltre che essere ovvia, è che non ha un vero e proprio destinatario. Di che giovani sta parlando? Chi sono queste persone che si sono convocate via facebook per protestare contro l’aumento di 20 centesimi del biglietto del pullman e che adesso son lì che marciano contro tutto, compreso il nulla? Le poche dichiarazioni dei politici non possono che rivolgersi all’etere, al ciberspazio, ai social network da cui queste persone sembrano provenire, nella speranza di non essere loro il prossimo bersaglio.   

In mezzo a questa “rivoluzione-spray”, in attessa di capire se svanirà domani mattina o se si allargherà, prendendo forma e sostanza, noi continuiamo a restare sulle barricate della speranza, lavorando silenziosamente per stare vicino a chi è più solo e per dire ai giovani, che rischiano di finire sulle barricate senza sapere bene il perché, che i “perché” esistono e c’è bisogno del loro sì per cambiare il mondo.  

 

Simone Bernardi

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