Il BANGLADESH e Venezia

Publié le 31-08-2009

de Renato Rosso


“Asia, peggio di una atomica!”, “Tsunami: record di SmS”, “Non lasciamoli soli”… titoli che, a caratteri cubitali, occupavano le prime pagine dei giornali tra dicembre e l’inizio dell’anno. Ora, a distanza di pochi mesi…

di Renato Rosso

   
Don Renato Rosso (missionario in India e Bangladesh) ci scrive: “Carissimi amici, vi parlerò di un altro tsunami, ancor più dimenticato…”.
 Dopo che i mass media hanno ampiamente documentato il maremoto-Tsunami che ha colpito il Sud-Est Asiatico e dopo che ormai si è quasi dimenticato il tutto, ho preferito riesumare ed inviarvi qualche pagina scritta l’estate scorsa in seguito all’alluvione annuale avvenuta in Bangladesh, uno dei pochi Paesi dell’area “non colpito” dalla Grande onda.

Se confronterete le cifre con altre calamità naturali potrete constatare che quelle che vi dirò sul Bangladesh sono molto ridotte: esse si riferiscono a una regione di 26.000 km2 e non ad un maremoto come lo Tsunami, che ha colpito regioni che vanno dall’India, sino alla Tailandia e all’Indonesia… Essendo però un fatto non dico quotidiano, ma annuale, merita la pena guardarlo in faccia. Ecco il testo che avevo abbozzato e che vi propongo:
“Arrivando in Bangladesh nel luglio 2004, ho avuto la stessa impressione che ebbi 7 anni fa nello stesso periodo: dall’aereo vidi solo acqua e un’infinità di isolette minuscole senza comunicazione, case e alberi sommersi. Uscito dall’aeroporto sotto la pioggia e mettendo poco dopo i piedi nel fango, mi sono reso conto di che cosa significava l’ultima alluvione. Dal ’45 è una delle più gravi (dopo quella del 1950, 1988, 1998). Oggi molte case sono in mattoni, figuriamoci se le case fossero state gran parte in fango come qualche decennio fa.

In questi giorni le cifre delle statistiche riguardanti la calamità sono salite all’inverosimile.
L’alluvione non è una bomba che scoppia improvvisamente, per cui le persone generalmente hanno tempo a mettersi in salvo. Nonostante questo, 480 persone sono morte perché sorprese dall’acqua mentre cercavano scampo.
Saranno molti di più i morti a causa di malattie nei prossimi giorni. Nelle sole 24 ore del 31 luglio sono stati registrati 6.338 casi di gastroenterite (814 nella sola capitale) che, aggiunti a quelli degli ultimi 15 giorni, hanno raggiunto i 46.899.

Le persone colpite da malattia sono generalmente denutrite e per salvarsi anche solo da una diarrea hanno bisogno di un trattamento particolare. Le comunicazioni per soccorsi sono difficili a causa della pioggia torrenziale. Sempre il 31 luglio la caduta dell’acqua è stata di 23 mm a Sheola, 33 mm a Kushtia, 45 mm a Durgapur e 82 mm a Sylhet.

Le famiglie colpite dalla calamità sono oltre 6 milioni per un totale di oltre 31 milioni di persone. Essere vittime di un’alluvione non significa solo malattia, ma isolamento dagli altri centri urbani e mancanza di cibo. Vedere poi crollare la propria casa (155.142 case per lo più in fango si sono accasciate su se stesse o vederle crollare in parte (28.893 case irrecuperabilmente danneggiate), è ciò che gli occhi dei bengalesi si sono abituati a vedere.
Alluvione vuol dire ancora veder distrutto il proprio raccolto nei campi (oltre 13 milioni di ettari completamente distrutti).
 L’alluvione di luglio in Bangladesh vuol dire ancora oltre 13.000 capi di bestiame annegati, 12.320 km di strade distrutte e 38.751 Km di strade gravemente danneggiate, che spesso continueranno a rimanere in quella situazione per lungo tempo.
Si aggiungono a queste cifre oltre 1000 scuole (non in fango) crollate e circa 3000 Km di dighe-argini con 5000 ponti in cemento o tralicci di ferro completamente distrutti.
Ad inizio agosto un milione e mezzo di persone sono provvisoriamente rifugiate in 5036 centri (costruzioni solide di diverse istituzioni). Mancano poi acqua potabile, medicine, elettricità.
Gli unici ad avere pochi problemi sono i miei amici jajabor (n.d.r. zingari, con cui d. Renato vive e lavora) che, vivendo in tende, appena avvertito il pericolo si sono spostati in un luogo qualche metro più alto; oppure coloro che vivono in case galleggianti, i quali in questi giorni si danno da fare a soccorrere gli altri. Essi non fanno questo lavoro da eroi, ma quasi giocando, solo perché è bello poter aiutare gli altri.

A differenza di loro, i politici sono preoccupati non nell’aiutare, ma nel farsi vedere mentre distribuiscono viveri. Offrono qualche chilo di riso o qualche capo di vestiario, poi subito di corsa in un altro posto per farsi fotografare con un altro gruppo, e così fanno dell’alluvione una buona campagna elettorale.

Quando si dice che Venezia sarà la prima città ad immergersi nel mare o il Bangladesh il primo Stato a sparire se non ci preoccupiamo del nostro pianeta, potremmo riflettere un poco di più su queste calamità, che non riguarda solo i bengalesi.
Questa alluvione si è estesa anche all’India, alla Cina e al Giappone.
È forse un sintomo del nostro pianeta malato?
Possiamo fare qualcosa?
A mio modesto parere Sì. Fumare di meno, piantare qualche albero in più, tagliarne di meno, utilizzare di più i mezzi pubblici e buttare meno ossido di carbonio in strada; in una parola rispettare di più il nostro pianeta se non lo vogliamo perdere”.
Testo della prima settimana di agosto 2004.

È bene sottolineare che se ho parlato di un’alluvione che si ripete ogni anno e lascia conseguenze per 365 giorni all’anno è solo per dire che il feriale, il “tutti i giorni” dell’Asia e di questo Terzo Mondo (ormai lo chiamiamo così), non è molto visibile, non commuove più nessuno, ma è un bagaglio di sofferenza di dimensioni inimmaginabili.

Non dimentichiamo che i bambini che muoiono a causa della fame ogni giorno sono molti di più dei bambini morti nello Tsunami; fortunatamente di questa calamità si è parlato molto: da qui, spero che questo abbia affinato la nostra sensibilità. Non possiamo tralasciare di pensare allo Tsunami di tutti i giorni, che si scatena sulle coste dei mari, nei fiumi, nei villaggi e città dell’ Africa, Asia, America Latina, tutti i giorni, dico tutti i giorni.

Renato Rosso

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