Il protestatario

Publié le 31-05-2013

de Loris Dadam

di Loris Dadam - È protagonista a tutte le latitudini, dalle piazze della Russia a quelle degli Stati Uniti, dell’Africa, dell’Europa.

La rivista TIME ogni anno dedica la copertina di dicembre a quello che ritiene essere il personaggio più importante dell’anno trascorso. Quest’anno non è stato scelto né un grande capo di stato, né un industriale, né uno scienziato o una rock-star, ma un’intera categoria di persone: la gente, in gran parte costituita da giovani, che hanno riempito le piazze di mezzo mondo e che hanno provocato la caduta dei dittatori in Tunisia, Egitto e Libia. Hanno scosso dalle fondamenta i regimi di Siria, Yemen e Bahrain. I Messicani contro il terrore dei cartelli del narcotraffico. I Greci contro le iugulatorie sanzioni economiche imposte dalla UE. Gli Americani contro gli speculatori di Wall Street.

I Russi contro i brogli elettorali di una autocrazia corrotta. È stato calcolato che le proteste hanno coinvolto paesi con circa tre miliardi di popolazione e le ragioni della protesta sono apparse sulla stampa internazionale e on-line in modo esponenziale rispetto ad ogni altra precedente manifestazione. Il TIME si chiede: esiste una ragione globale che spieghi la protesta e la frustrazione e rabbia che la ispira? La risposta viene trovata nel fatto che “in ogni luogo sembra che la gente ne abbia abbastanza”. Hanno protestato, hanno fatto richieste e non si sono disperati nemmeno quando la risposta è arrivata in una nuvola di gas lacrimogeni o di pallottole. Hanno incarnato l’idea che l’azione individuale sia in grado di portare grandi cambiamenti collettivi. E, malgrado sia stata interpretata in modi differenti in luoghi diversi, l’idea guida comune a tutti questi movimenti è la democrazia.

Democrazia, osserva il TIME, deriva da demos, il popolo, ed il suo significato è governo del popolo. Ed è quello che i giovani hanno fatto: se non nelle urne elettorali, nelle strade. L’America è una nazione concepita nella e con la protesta e la protesta è in un certo modo il codice base della democrazia e la misura della sua esistenza.

Negli anni ’90 e nella prima decade del 2000 si è avuta la più alta crescita nel livello di vita delle popolazioni a livello globale, con l’irrompere di miliardi di persone (India, Cina, Brasile,…) in un tumultuoso sviluppo economico. Francis Fukuyama scrive l’ormai famosissimo La fine della Storia, in cui si afferma che l’umanità è arrivata al punto finale della storia delle ideologie e delle relative lotte per approdare tutti ad un trionfante sistema di liberalismo occidentale. In questi anni le rare proteste di massa, specie nel ricco mondo occidentale, sembrarono irrilevanti ed inefficaci. Il dissenso una moda per intellettuali agiati veniva relegato alla musica rock. Ma la globalizzazione ci ha dato una novità: la più scadente ed inadeguata classe dirigente globale della storia. Questo è il motivo che unifica la protesta in paesi dittatoriali con quella nei paesi democratici: l’incapacità dei governanti di dare risposte alle domande della gente e dei giovani in particolare. Il fastidio nei confronti dei governanti è generale e crescente: anche la situazione italiana è lì a testimoniarlo.

Con il 2011 la gente ha cominciato a riprendersi le strade e a protestare, gente di ogni tipo e classe, dal giovane disoccupato al professionista, contro le dittature arabe, contro gli speculatori che rovinano l’economia e truffano chi ha creduto in loro, contro governi imbelli ed incapaci. Da Tunisi in poi, passando per Il Cairo, Madrid, Atene, Londra, Tel Aviv, il Messico, il Cile, New York, Mosca.
Lo sbocco non potrà che essere il ricambio di una classe dirigente globalmente più consapevole e democratica: con i giovani che prendono il posto che finora è stato loro negato.

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