Legalità ad intermittenza

Publié le 31-08-2009

de Gian Mario Ricciardi


In molti settori della vita sociale la richiesta di legalità non sempre va a braccetto con la determinazione a metterla semplicemente in pratica.

 

di Gian Mario Ricciardi


Inferriate, linea dura, fotocellule che illuminano strade e vie di campagna. Controlli a raffica per arginare gli assalti dei ladri. Sono tanti, sono troppi, sono spesso violenti. E chi non ci crede parli con coloro che, di notte, hanno visto ombre armate girare per le stanze, profanare armadi, cercare soldi.
Blitz ad ondate: al Tossik park di Torino come appena oltre il muro a Padova. Pusher nordafricani che controllano le vie della cocaina e dell'hashish. Con gli italiani a far da corrieri. Spacciatori bianchi agli angoli delle strade.
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Incursioni tra le telefonate per capire chi viola la legge, chi corrompe, chi truffa. Tre flash sulle paure che nascono quando la legge finisce sotto i piedi. Tre immagini della legalità ad intermittenza, grande male d'Italia.

Si pretendono posti di blocco per far entrare l'etilometro nella vita di tutti. Ma il giorno dopo si urla che “ora si esagera e bisogna cambiare, mica sono tutti ubriachi gli automobilisti”; si pretende che gli alcolici non siano più venduti dopo le due di notte, ma subito ci si organizza per avere le bottiglie in auto e, alla fine, si muovono le lobby per far cancellare la norma; si urla allo spettacolo inverecondo delle prostitute per strada con marce in varie città, ma quando qualcuno chiede di individuare e punire i clienti subito ci si straccia le vesti perché non si può violentare così la privacy, perbacco; tutti a chiedere una “protezione” concreta dei nostri prodotti, tutti o quasi disposti a comprare sottobanco, in nero, qualunque cosa.
L'elenco deprimente potrebbe continuare perché non passa giorno che non ci imbattiamo nel bivio che vede la legalità da una parte, la comodità dall'altra.

Per non parlare dell'evasione
. È così facile comprare un alloggio a 100 e dichiararne 50; è così semplice avere bei lavori in casa ma rigorosamente “cash”; come si fa - spesso succede - a pretendere lo scontrino da un amico o da un parente? Poi tutti ad urlare contro l'indegno comportamento di chi evade: “vergogna d'Italia”.
È questo sommerso che provoca, ogni giorno, ogni ora i comportamenti che sono davanti agli occhi di tutti: violazioni sistematiche delle regole della strada con sorpassi disinvolti, luci e clacsonate distribuiti senza ritegno spesso anche da uomini e donne che ho visto, poi, nelle marce per chiedere legalità. Sì, è proprio così. E torna a galla il vecchio adagio: c'è chi parla bene, ma razzola male...
È questo sommerso che provoca una baldoria di ipocrisia in moltissimi di noi: tutti pronti a chiedere punizioni esemplari per i bulli che crescono (purtroppo spesso solo fisicamente), ma decisi a denunciare gli insegnanti al sol cenno di un castigo che riteniamo non meritato dai nostri figli. È questo sommerso che così si trasforma in un alibi per vivere “in nero” quando ci fa comodo e subito riemergere quando conviene.

haker.jpg È questo sommerso che ci fa urlare (giustamente) allo scandalo quando vediamo senatori e deputati trasformare le aule delle istituzioni in scantinati per feste con spumante e mortadella, ma subito dopo ci fa sbattere la porta in faccia a chi chiede aiuto obbligandolo, a volte, a cadere nelle mani della malavita.
È questo sommerso che ci fa accettare (da sempre purtroppo) che a decidere la nomina di un primario o un alto dirigente non siano i suoi meriti ma la tessera che ha in tasca. Un mercato sempre aperto assolutamente illegale i cui protagonisti fanno spesso, senza pudore, passerelle tra coloro che invece si battono davvero per la legalità.
Più che marce (utili) o dibattiti (che servono) la legalità si costruisce sulla testimonianza silenziosa. Quella, per intenderci, che assomiglia tanto alla vita dei nostri nonni: non conoscevano le leggi, ma le avevano dentro.
di Gian Mario Ricciardi
da Nuovo Progetto marzo 2008

 

 

 

 

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