Pace! Con tutto l’impegno che si può!
Publié le 31-08-2009
Nell'ambito del percorso di preparazione dell'iniziativa "Giovani della Pace", recentemente abbiamo incontrato Padre Kizito Sesana, missionario comboniano a Nairobi (Kenya), ma che è spesso presente anche in Sudan dove opera per la difesa del popolo Nuba. Da anni Kizito collabora con il Sermig nella promozione di azioni di pace e di sviluppo. Pubblichiamo la prima parte del suo intervento all’Arsenale della Pace.
Mi è stato dato un tema difficile "Essere costruttori di pace, sogno o realtà possibile?". Il rischio che si corre è quello di fare grandi teorie divagando su tante cose, mi piacerebbe invece essere il più concreto possibile riportandovi l'esperienza delle persone che lavorano con me. Per camminare verso la pace e costruirla occorrono evidentemente altri due grandi doni: l'amore e l'intelligenza; occorre saper analizzare la realtà, cercare di capirla, cercare di fare progetti e azioni che ci portano tutti più vicini alla pace, a questa pace che è così difficile da raggiungere. |
Io vivo a Nairobi, mi muovo molto anche per il resto dell'Africa, soprattutto in Zambia e Sudan che è un paese in guerra. Sappiamo bene cos'è l'opposto della pace: la guerra, l'odio, la divisione, la separazione. In questi luoghi si vive il contrario della pace. Quali sono le cose che ostacolano la crescita della pace nelle situazioni che viviamo a Nairobi o nei paesi africani vicini?
Il vero ostacolo alla pace non sono le differenze, bensì la volontà di usare le differenze per dividere, mentre la varietà della culture, delle lingue, delle tradizioni che abbiamo a disposizione potrebbe essere una ricchezza. Un altro grave ostacolo alla pace sono gli interessi economici che agiscono dall'esterno. In Africa i conflitti nascano spesse volte da problemi economici, da "conflitti economici". Sappiamo per esempio che l'Angola è rimasta in guerra per molti anni, alla base c'erano enormi interessi economici legati al petrolio e allo sfruttamento dei diamanti. Il Congo, lo Zaire sono precipitati in una situazione di conflitto che al momento è congelata, ciò sempre a causa dei giacimenti minerari del Paese. Il Sudan, il Paese che conosco di più, è in conflitto per il mercato del petrolio. A Nairobi, la mia piccola comunità si è guardata intorno, si è resa conto di queste situazioni e ha cercato di trovare soluzioni di pace. Allora, ad esempio, abbiamo pensato che per superare la conflittualità, che a volte chiamiamo tribalismo, è necessario educare ad amare la diversità, a superare le differenze, a incontrare gli altri. E' stato un cammino molto difficile, perché prima di tutto dovevamo esserne ben convinti noi, poi abbiamo iniziato un corso di educazione alla pace ed è la prima volta che si fa un'iniziativa del genere in quel contesto. A Nairobi vivono come rifugiati uomini e donne di molti paesi limitrofi, da Rwanda, Burundi, Sudan, Zaire e Congo; queste persone - fuggendo - hanno portato con sé i conflitti del loro paese; a questi si sono aggiunte le difficoltà dell'integrazione nella società keniana. Noi abbiamo cominciato a lavorare con loro cercando di aiutarli su entrambe i fronti, affrontando - se pur in modo semplice - l'aspetto della conoscenza degli altri e del rispetto reciproco, sia da un punto di vista teologico che antropologico. I nostri corsi sono di sei ore ogni sabato per sei mesi. In futuro incaricheremo questi gruppi di fare progetti di pace analoghi nei quartieri in cui vivono, con le risorse che hanno, mobilitando le loro forze interiori e un po' di forze economiche secondo la loro disponibilità. Finora i giovani partecipanti hanno risposto con un grande entusiasmo, riconoscendo che è possibile ritrovarsi, riscoprire che è bello esseri diversi, parlare una lingua diversa, vestirsi in modo diverso, ma potersi guardare negli occhi. Poi ci siamo posti il problema della povertà, in quanto ostacolo alla pace. Solo nel nostro quartiere sono moltissimi i giovani e giovanissimi che muoiono perché la famiglia non ha il minimo necessario per curarli. Questa è miseria degradante. Come fare a superarla, e - pertanto - aiutare le persone a mettersi in un rapporto più pacifico con il mondo circostante? In questo campo stiamo cercando di avviare un'iniziativa già messa in pratica da altri: il micro credito.
Responsabilizzare le persone, insegnare loro a leggere, a scrivere, a tenere i conti, a impostare una piccola attività economica e, una volta formate - in genere con corsi di tre o quattro mesi - dare loro concretamente un piccolo capitale per poter avviare un'attività che li renda via via indipendenti, che possa permettere loro di svolgere una vita dignitosa. Questo tipo di progetto ha avuto una largo successo in particolar modo con le donne. Generalmente forniamo un piccolo prestito iniziale di 100, 120 euro; a partire da questa cifra molte donne sono riuscite a fare "miracoli": l'opportunità datagli e il loro impegno hanno indotto un reale cambiamento nella loro vita, e in quella della loro famiglia. Anche questo è un modo per promuovere la pace.
Un altro fronte su cui abbiamo pensato di lavorare è quello dell'informazione. La gente spesso non è in pace, non è capace di risolvere i propri problemi perché non sa, non conosce, non capisce perché accadono certe cose, e diventa veramente difficile provare ad operare dei cambiamenti. Per noi è stato un po' imbarazzante vedere che in Italia, in Europa, "nel mondo" si parlava di cancellazione del debito e i keniani non sapevano dell'esistenza del loro debito; e quando il debito estero è stato contratto non ne sono stati informati. La maggior parte di loro non sa che non possono mandare a scuola i figli, curare i malati… perché il Kenia spende più per interessi del debito estero di ciò che mette a disposizione per l'educazione e la sanità, e non sapevano nemmeno, cosa ancora più degradante, che della gente - fuori del Kenia - si sta occupando della cancellazione del loro debito. Tutto avviene al di sopra delle teste dei poveri, che non sanno che cosa sta loro succedendo. Pochi mesi fa, in Kenia, non tanto lontano dal nostro quartiere è successo che i membri di una setta - che a mio parere non ha nulla a che vedere con la religione, ma è piuttosto un gruppo organizzato dal governo per destabilizzare il paese prima delle elezioni - hanno occupato un quartiere della città uccidendo oltre quaranta persone (tutte persone di una particolare etnia) che avevano l'unica colpa di essere per strada. La mattina successiva c'era una grande paura, una grande rabbia che avrebbe potuto scatenare ulteriore violenza. Ecco, noi abbiamo pensato che la cosa migliore era di far capire alla gente che cos'era veramente successo, che chi avevano assassinato gli altri la sera prima erano persone "al soldo" di un determinato partito politico, abbiamo quindi invitato la gente a parlare, a discutere, a capire, a informarsi. Quanti conflitti nascono dall'impossibilità che viene data ai poveri di capire che cosa sta veramente succedendo a casa loro, nel loro quartiere, nel loro paese. Noi cerchiamo di muoverci su questa linea sapendo che si potrebbe fare molto di più, molto meglio, probabilmente ci sono cose più importanti, più profonde che si potrebbero fare. Noi, per il momento, con la testa e con le forze che abbiamo, riusciamo solo a fare questo e cerchiamo di farlo mettendoci tutta la nostra passione, e questo lo dico anche a nome dei venti keniani che lavorano con me e insieme ai quali cerchiamo, come comunità, di costruire un po' di pace intorno a noi. Kizito Sesana |