Un villaggio, una comunità

Publié le 15-09-2016

de Mauro Palombo

di Mauro Palombo - Avere una idea non statistica né pittoresca della vita di una comunità che vive in uno dei molti villaggi sparsi nel territorio di una regione dell’Africa: ci facciamo aiutare da Innocent Ngaillo, grande amico, prete e contadino, parroco nel centro-sud del Tanzania.

Vorrei darvi in poche parole un’idea di quella che è la vita della mia gente, a Mkiu. Partirei da una considerazione: il Tanzania è un Paese pacifico grazie al nostro primo presidente Mwalimu (il maestro) Julius Nyerere che ci ha guidato bene nel cercare la nostra indipendenza in pace ed ha avviato un buon sistema di governo del Paese, dando lui per primo l’esempio, con le sue dimissioni dopo due mandati. Ha invitato e spinto i tanzaniani delle più di 120 tribù a muoversi e insediarsi nel Paese dove volevano, a coltivare terra fianco a fianco, con una sola lingua comune. Ha costruito così un Paese.

Il villaggio dove vivo è parte di questo ambiente, in pace.

Certo il Tanzania è un Paese povero. E così Mkiu, che è in una delle zone più remote. Si stima che una persona viva con l’equivalente di 1,25 USD al giorno. La gente, consapevole della propria povertà, lavora con molto impegno per migliorare il proprio livello di vita. Lavorano molto duramente, sopportano una pesante fatica, che è la normalità delle cose per loro; il punto è che il lavoro rende comunque poco, per almeno tre motivi: il primo è il saper fare che non è abbastanza, il secondo le poche attrezzature a disposizione, il terzo la mancanza di capitale.

Il presidente Julius Nyerere indicava i tre nemici da sconfiggere per migliorare sistematicamente la vita delle persone: l’analfabetismo, le malattie, la povertà. Il governo lavora su queste priorità. Ma è difficile sollevare in un sol colpo una situazione così vasta. Sostiene intanto le iniziative della Chiesa, esonerando da tasse i materiali acquistati o ricevuti per progetti sull’acqua, in campo sanitario e scolastici.

La gran parte della gente frequenta la Chiesa; dobbiamo aiutare i catechisti perché vivono già con fatica, e offrono nonostante ciò tutta la disponibilità possibile.

Nella campagne in particolare, la gente pone la sua speranza nel servizio che la Chiesa cerca di offrire loro, per migliorare la vita. E anche qui, offre volentieri il suo contributo, attraverso lavoro volontario, che è quello che può dare.

Ci sono molte cose da fare. Le scarse infrastrutture scolastiche sono un serio problema; le aule non hanno porte e finestre e ancor peggio i bambini non hanno libri per studiare. Abbiamo acqua buona, ma non abbastanza. C’è una sorgente da sfruttare, se avremo aiuto, un piccolo acquedotto a caduta risolverà il problema. Cercheremo di costruire e far funzionare un dispensario, per sostenere la salute della gente. Certo il maggior problema è il rilevante numero di sieropositivi; aiutato dalla miseria, da poca consapevolezza, l’HIV si è molto diffuso. Il governo fornisce gratuitamente i medicinali per la cura, ma noi dobbiamo organizzarci per poter fare diagnosi, programmare e controllare la terapia.

Vivere la solidarietà non è cosa nuova per la gente. Sono abituati a prestarsi aiuto in ogni aspetto della vita, ben consapevoli di quanto le loro esistenze siano vulnerabili – basta una malattia, un raccolto insufficiente e la crisi è grave. L’aiuto reciproco, nella famiglia allargata, tra chi vive vicino, è l’unica risorsa che permette di superare i momenti peggiori, senza essere del tutto travolti.

Non bisogna insegnare la solidarietà, è utile piuttosto organizzarla meglio; ad esempio aiutando le famiglie che vivono vicine a organizzare anche assieme delle attività di coltivazione, irrigazione, e così via. Questo è possibile perché la gente nutre fiducia nella Chiesa, pone speranza in essa e nelle sue iniziative; e con queste azioni si possono già ottenere risultati significativi.

Le famiglie sono unite, in larga parte, anche se alcune patiscono situazioni più difficili e si disgregano. Uomini e donne lavorano assieme per il bene delle famiglie, in particolare dei bambini. Certo la scarsa scolarizzazione degli adulti, riduce i risultati di tanto lavoro.

Qui, una parrocchia è anche un centro di apprendimento e di sviluppo. E le persone sono disponibili a partecipare. Si cerca di far qualcosa, anche di sistematico, ben organizzato, tenendo conto della situazione di partenza: le persone non sono tanto abituate a valutare idee, vogliono vedere le idee in azione. Si impara meglio e più velocemente lavorandoci sopra. Questo è davvero il criterio per introdurre nuovi metodi, nuove idee: sperimentando assieme, e toccando con mano i risultati.

Così abbiamo finora lavorato, così continueremo. E cercheremo di aiutare, responsabilizzando ciascuno, affinché ogni famiglia possa presto iniziare ad allevare per sé galline, maialini, api, coltivare di più e soprattutto meglio, avere più risorse su cui poter contare.


 

 

 

Rubrica di Nuovo Progetto

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