Uun futuro politico e istituzionale per l'europa

Publié le 31-08-2009

de Edoardo Greppi


1° maggio 2004: sono 10 gli Stati che portano l’Unione da 15 a 25 membri, da 380 a 455 milioni di abitanti. Si tratta del cosiddetto “allargamento”. Noi preferiamo parlare di “riunificazione”…


...a cura di Edoardo Greppi,
Professore di Diritto dell'Unione Europea
nell'Università di Torino

1° maggio 2004: Polonia, Repubbliche Ceca e Slovacca, Ungheria, Slovenia, Estonia, Lettonia, Lituania, Cipro e Malta sono i 10 Stati che portano l'Unione da 15 a 25 membri, da 380 a 455 milioni di abitanti. Si tratta del cosiddetto "allargamento". N.P. preferisce parlare di "riunificazione", accogliendo l'opinione che questo cambiamento, dopo la caduta del muro di Berlino, sancisca il vero abbattimento delle barriere che per decenni hanno diviso l'Europa dell'Est da quella dell'Ovest. L'aver riunito, in modo pacifico, secolari nemici sotto la stessa bandiera, ci sembra la prova che la pace può trionfare se il diritto prevale sulla forza. Facciamo un ripasso del percorso fatto, interrogandoci anche sul ruolo dell'Italia nell'Europa unita…
Il complesso processo storico di integrazione europea, avviato con la Dichiarazione Schuman del 1950, ha avuto nei Trattati di Parigi del 1951 e di Roma del 1957, nell'Atto Unico Europeo del 1986 e nel Trattato di Maastricht del 1992 le sue tappe più significative. Si tratta di una Organizzazione Internazionale "ad attuazione progressiva", la cui dinamica è caratterizzata da periodiche Conferenze Intergovernative (CIG) finalizzate a far progredire l'integrazione, attraverso nuovi e sempre più ambiziosi progetti, periodicamente tradotti in Accordi tra gli Stati membri.
Nel 1997 e nel 2001 sono stati sottoscritti rispettivamente il Trattato di Amsterdam e quello di Nizza, che hanno fatto ulteriormente avanzare l'integrazione europea, soprattutto nei settori della cooperazione giudiziaria e di polizia, ma che hanno ignorato ancora una volta i grandi temi politici. Il Consiglio Europeo (capi di Stato o di governo) ha affidato ad una "Convenzione", presieduta da Valery Giscard d'Estaing, il compito di preparare una "Costituzione". Il testo predisposto dalla Convenzione nel giugno 2003 è stato in seguito affidato ad una Conferenza Intergovernativa, che deve trasformarlo in un nuovo Trattato, destinato ad edificare un'Unione Europea con una più precisa fisionomia politica (politica estera, difesa, giustizia civile e penale, polizia, immigrazione, lotta alla criminalità organizzata, al terrorismo, alla droga), dopo avere, con i Trattati precedenti, dato vita ad un'Europa essenzialmente economica.
Al cuore del negoziato della CIG sono temi squisitamente politici ed istituzionali, vertenti sulle modalità di composizione delle istituzioni dell'Unione (la Commissione, motore dell'integrazione e "custode" dei Trattati; il Parlamento Europeo, organo democratico e rappresentativo dei popoli europei; il Consiglio, sede di espressione delle tradizionali prerogative sovrane degli Stati) e sulle regole per la presa delle decisioni in seno alle istituzioni. In questo quadro, è auspicabile che l'Italia si riveli capace di svolgere un ruolo, in qualche modo, "profetico", come quello che seppero assumere mezzo secolo fa Alcide De Gasperi, Carlo Sforza e tutti quegli statisti che scelsero, in nome di tutti noi (e con una feroce opposizione a sinistra, a destra e, in parte, anche al centro!), di inserire il nostro Paese nella famiglia dei grandi Stati europei, per costruire insieme un avvenire di pace, di giustizia e di prosperità.
Occorre domandarsi seriamente quale collocazione sia opportuna per l'Italia, quali i suoi obiettivi, quale il posto che ritiene di poter e dover occupare in Europa. Anche la società civile deve interrogarsi su questi temi, per stimolare davvero una classe dirigente che da troppo tempo parla (e straparla) di "Europa", di "Maastricht", di "Unione", senza analisi critiche, senza ideali e senza un qualsivoglia coerente disegno politico, interno ed internazionale. Dobbiamo, in altre parole, ritenere che sia venuta l'ora di superare quell'irresponsabile ed incosciente atteggiamento magistralmente descritto da Sergio Romano, quando ha indicato l'Europa della classe politica italiana come "un santino a cui tutti i partiti mandano baci frettolosi e distratti" (S. ROMANO, "Come è morta la politica estera italiana", Il Mulino, 1992, p. 717).
Il posto dell'Italia è nell'Europa unita. E l'Europa di domani ha bisogno di una Costituzione che, sulle fondamenta degli importanti traguardi già raggiunti (mercato unico, moneta unica), sappia edificarne altri più ambiziosi e più consoni ad un soggetto politico. L'Europa resta, cioè, in bilico tra una realtà ampiamente esistente e un sogno, ancora da perseguire e realizzare. L'esistente è cospicuo e importante. Mercato e moneta sono governati da istituzioni comuni, con regole obbligatorie per tutti i soggetti. Molte norme (regolamenti, direttive, decisioni) sono in vigore da anni e hanno creato un sistema armonizzato o addirittura unificato. I comportamenti degli Stati, dei cittadini e delle imprese sono controllati da una Corte di Giustizia, che è un vero tribunale supremo, garante del rispetto del diritto comunitario. Il diritto europeo è sovranazionale (e, quindi, collocato in posizione di primato sul diritto nazionale) e allo stesso tempo è parte integrante del diritto nazionale. Un cittadino può invocare una norma comunitaria direttamente davanti ai giudici nazionali e, nel caso di contrasto tra questa e una legge nazionale, i giudici sono tenuti ad applicare quella comunitaria ignorando quella nazionale. I diritti fondamentali dell'uomo (civili, politici, economici, sociali, culturali) sono patrimonio condiviso da tutti gli Stati membri dell'Unione e sono tutelati sia dai giudici nazionali che dalla Corte di Giustizia e dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, in forza di una Convenzione della quale sono parte tutti gli Stati membri dell'UE. Il cittadino italiano, come quello portoghese o greco, danese o britannico, è effettivamente anche un cittadino europeo, con diritti e obblighi che condivide con tutti gli altri.
Insomma, l'Europa di cui parliamo è in parte ancora un sogno, ma in larga misura è già una realtà. Non è un'espressione geografica (per parafrasare il vecchio Principe di Metternich a proposito dell'Italia dei primi dell'Ottocento), ma è un grande e ambizioso progetto politico. Lo scopo, fermamente indicato dai padri fondatori, è garantire la pace, la sicurezza e la giustizia a quei popoli europei che per secoli si sono fatti la guerra, con accanimento, arrivando alle devastazioni e agli orrori della prima metà del Novecento. Sir Winston Churchill ha indicato il rimedio nel lontano 1946: bisognava ricreare la famiglia europea, ricostruendo le lacerazioni, con la creazione degli Stati Uniti d'Europa. Jean Monnet, Robert Schuman, Konrad Adenauer, Alcide De Gasperi, Paul Henri Spaak e gli altri fondatori hanno posto mezzo secolo fa le premesse per questo risultato. Nel dicembre 1986, chiudendo nel Parlamento europeo, a Strasburgo, il semestre di presidenza britannica, la Signora Margaret Thatcher ha concluso il suo discorso dicendo: "Qualche giorno fa a Londra il Presidente federale tedesco Richard von Weizaecker ha pronunciato un importante discorso, del quale vi cito alcuni passi (...). E' un segno di quanto innanzi siamo andati nella nostra Europa il fatto che un primo ministro britannico sia qui, dinanzi ad un parlamento "europeo", ed usi le parole di un presidente tedesco". Oltre mezzo secolo di pace tra Stati che si sono combattuti per secoli. La ricetta è, dunque, efficace.
L'Europa avrà un futuro se saprà essere unita, se saprà dotarsi di efficienti, libere, democratiche istituzioni comuni. La sfida per noi è grande. Dobbiamo diventare cittadini europei, conservando nello stesso tempo le nostre diverse identità nazionali e locali. Dobbiamo, cioè, essere consapevoli che Goethe, Shakespeare e Victor Hugo, Mozart, Beethoven e Bizet, Kant, Rousseau e Locke, le cattedrali di Colonia, di Reims e di York, sono il nostro patrimonio con Dante e Manzoni, con Vivaldi e Verdi, con Tommaso d'Aquino e Croce, e con il Duomo di Milano.
...a cura di Edoardo Greppi,
Professore di Diritto dell'Unione Europea
nell'Università di Torino

 

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