Valle di rabbia

Publié le 31-08-2009

de Redazione Sermig


In questi giorni le proteste no Tav in Val di Susa hanno occupato le cronache dei giornali. Fra la popolazione sale il disagio per un’opera non voluta, non capita, malamente gestita. Intanto da più parti si sottolinea la necessità di collegamenti transnazionali che mettano in relazione persone e merci all’interno dell’Europa. È urgente una mediazione che metta in primo piano le esigenze dei valligiani senza dimenticare quelle delle generazioni future.

di Ernesto Olivero

Poche ore prima del blitz a Venaus ero lì, invitato dalla gentilezza di alcuni amici della Val di Susa. Sono convinto che la non violenza debba sempre più incontrare il silenzio, l’essere realmente disarmati per far valere la ragione della verità. Questo atteggiamento non violento l’ho visto vivo e all’opera tra la gente della Valle, in molti amici maestri di vita.
Questa valle sta diventando una valle di rabbia, di lacrime e sappiamo che lacrime e rabbia non sempre portano a soluzioni positive. Ero lì con il presidio degli occupanti dei cantieri della Tav. Mi hanno offerto del vin brulé, ho incontrato brava gente. Ho detto loro che portavo la mia amicizia, la mia solidarietà, ma non essendo un tuttologo ho anche affermato che non sapevo se avessero o non avessero ragione a impedire la costruzione della linea dell’alta velocità. Ho fissato nella mente quei momenti, le voci, i volti, le emozioni. Poi durante la notte è avvenuto il blitz improvviso delle forze dell’ordine. Alle quattro del mattino il mio cellulare ha cominciato a squillare, alcuni amici mi hanno raccontato in diretta quello che vedevano, quello che stava accadendo. Il resto fa ormai parte della cronaca, sono immagini che abbiamo visto più volte nei telegiornali e che lasciano l’amaro in bocca.
La mia mente è subito andata a Gaza dove, pochi mesi fa, l’esercito israeliano era intervenuto disarmato per sgombrare e demolire le case dei coloni. Nessun soldato aveva raccolto le provocazioni, nonostante la tensione alle stelle e l’aria irrespirabile, nonostante le lacrime, la sofferenza, le parole grosse, gli sputi, le aggressioni, la rabbia.
Mi chiedo perché questa violenza. Mi chiedo anche perché la gente pacifica di questa valle, gente che conosco, non ha rifiutato e isolato con più convinzione i provocatori con il viso coperto, armati di mazze e spranghe, venuti da fuori. Era accaduto anche a Genova durante il G8. Bande di provocatori e infiltrati di varia provenienza avevano saccheggiato e devastato una città piena di dimostranti determinati, ma pacifici, lanciando così un segnale sbagliato all’opinione pubblica che faticava a distinguere i violenti da quanti manifestavano le loro giuste ragioni. In quell’occasione i capi e le guide del corteo pacifista avrebbero dovuto subito far sedere a terra i manifestanti, per distinguersi in modo evidente da quelli che erano lì per picchiare, spaccare, distruggere e così, in un certo senso, isolarli, renderli riconoscibili, controllarli.
Abbiamo fatto grandi manifestazioni anche con 100.000 giovani per dire la nostra voglia di pace, per chiedere giustizia, per ridisegnare il mondo partendo dalle pace e dai giovani, per sostenere le vittime della fame e delle malattie endemiche, per chi è violato nei suoi diritti più elementari. Abbiamo sempre detto: se passa qualcuno con le spranghe e i bastoni ci mettiamo seduti per terra e li isoliamo. Questo atteggiamento ha dato risultati positivi, evitando incidenti e provocazioni. Purtroppo pochi provocatori fanno più notizia di tanti giovani che sognano la pace e che raccolgono anche le cartacce dopo aver occupato la piazza per un giorno intero o di tanti cittadini che hanno a cuore la sorte della loro valle. Ma non ci stanchiamo della pace, non ci stanchiamo di occuparci degli altri rispettando gli altri.

Quando c’è una manifestazione, qualsiasi manifestazione, perché provocare con gesti violenti una risposta violenta da parte delle forze dell’ordine? Perché invece non andare da chi ha la responsabilità dell’ordine pubblico e della sicurezza, la responsabilità del bene comune, dai politici, per parlare a tutti i costi (a tutti i costi, non con tutti i mezzi), per far valere le proprie ragioni con la discussione, con il dialogo. È lì il vero incontro.

Là dove si prendono le decisioni bisogna portare la forza delle idee.

Ernesto Olivero


Torino 9 dicembre 2005



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