Vivere l’Avvento/2
Publié le 08-01-2006
Dall’Albania la storia della rinascita di una Comunità,
un presepe che prende forma nella realtà.
Arrivammo a Bise in una frizzante mattina di sole. Viaggiavamo sulle terribili e scivolose mulattiere per la prima volta. Molti grandi alberi ci sfilavano a fianco, fitti fitti. Ci accompagnava il Vescovo, venuto per presentarci la nostra futura sede: Bise, parola sconosciuta che indicava un luogo imponderabile… Guidava con precauzione un fiammante King Cab Nissan che aveva solo due posti; il panorama oltre la strada era per noi inabituale, l’orizzonte era troppo vasto per i nostri piccoli occhi cittadini e lo sguardo si perdeva da Bar a Durazzo e oltre... |
Di quel primo incontro ho il ricordo del colore ocra della piccola zona, circondata da una staccionata di legno, rimasta libera attorno alla chiesa; i vicini pian piano si erano impossessati di quasi tutto il terreno. Come era bello il panorama, così era devastante ciò che ci circondava: il rozzo campanile in travi era l’unico segno alternativo, con la sua campana di recupero. Dappertutto odori animali persistenti, letame, polvere, argilla, ragli e belati. Tutto era improbabile e desolante; porte, finestre, mura, ruderi, pavimenti, sentieri disegnavano un paesaggio metafisico, disperatamente vuoto di vita e di Dio. Ciò che restava della chiesa di S. Nicola era lì, slargato, umiliato, quasi morto. E ci aspettava. |
“Ecco”, ci disse il Vescovo, “questa è la vostra missione”, e ripartì, lasciandoci soli a leccarci le ferite e a capire cosa si poteva fare. Non avevamo mai visto una situazione simile: eravamo impreparati a una tale novità. Ma poi pian piano ci arrangiammo. I primi tempi facemmo avanti e indietro da Tirana ogni giorno, quattro ore di polvere. Per poter rimanere là anche la notte, dovevamo prima impegnarci a sloggiare somari e maiali da casa, stornando i loro reiterati tentativi di ritornare... Non potevamo più accontentarci di un pied – à – terre! |
Capimmo ben presto che dovevamo rispondere alle attese di quella povera gente spartendoci con loro nell’aiutarli a ritrovare la propria dignità senza farci schermo del nostro abito religioso. Su quella bellissima “portaerei” che si allungava nel mare mancava tutto: strade, ambulatori, posta, scuole, comunicazioni, danaro, cibo, gioia, dignità. La sensazione di essere abbandonati era palpabile negli atteggiamenti degli abitanti. Non riuscivano a credere che qualcuno, straniero, potesse perdere tempo lì in quel luogo di confino... Ma la sorpresa più grande fu il Signore a farcela: non mancarono mai volontari, aiuti, che ci permisero di servire migliaia di persone e di essere sicuri, sempre, di pagare gli stipendi che arrivarono anche a 20. Le nostre attività si ampliarono a tutti i villaggi circostanti, sia cattolici che musulmani. |
Dopo un primo anno di emergenza, cominciò il vero lavoro di ricostruzione della Chiesa. Ricordo che scrissi: “Ora comincia un’altra fase, lo studio della lingua, la catechesi e la pastorale. Bisogna ricostruire la vera Chiesa, che è un popolo che prega, opera e loda il Signore, che sa perdonare, amare i poveri e i deboli, riscoprire la gioia di incontrare il Signore nei suoi Sacramenti, diventando fiducioso costruttore del proprio futuro. Questo sarà il nostro prossimo impegno: più difficile ma più importante”. Insomma è sorta una luce sulla montagna di Capo Rodoni. Se Bise era considerata la zona più inaccessibile della diocesi Durazzo-Tirana, ora è un centro di accoglienza e di speranza, di aiuti per bambini, suore, preti, uomini e donne di buona volontà e quanti cercano un po' di pace e di riposo. |
cfr. “Mondo dei Popoli – Albania” su Nuovo Progetto dicembre 05 |
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