Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei

Publié le 31-08-2009

de Redazione Sermig


Da 15 anni Sciarra, sacerdote di Avezzano, è Fidei Donum in Albania a Blinisht, nella regione Lezhe. La sua è un’esperienza di ricostruzione della fiducia della gente – e della fede - dove il comunismo aveva fatto “terra bruciata”.

di Antonio Sciarra

 
sciarra.jpg Quando sono partito come missionario in Albania non mi sono posto scadenze prefissate: “Devo fare un lavoro in 8 anni”, ma ho pensato: «Vado, ci metterò tempo per capire e poi potrò offrire».
Da allora sono trascorsi oltre 15 anni. Questo lungo tempo ha permesso alle persone di conoscere in profondità le intenzioni della mia presenza fra di loro. È vero che era crollato il comunismo, che quella anticamente era già zona cattolica, ma c’è voluto del tempo per far comprendere il significato del mio essere lì. All’inizio infatti mi trovavo in un contesto di poca fiducia. Le esperienze precedenti attraverso cui la popolazione era passata, le decisioni prese dal Partito Comunista Albanese e soprattutto da Hoxha (leader del partito e primo capo di governo) erano state un continuum di fandonie. La confusione aumentava, la terra non dava i frutti promessi, le carceri non funzionavano; c’era un clima diffuso di diffidenza.

Al mio arrivo ho ripristinato e utilizzato un vecchio ospedale dimesso, anche con attrezzature mediche fatte arrivare apposta dall’Italia. Quell’immobile era uno dei tanti segni del fallimento del regime, che nel giro di pochi anni aveva perso tutti gli edifici che erano stati il vanto della sua efficienza.

Come mi sono posto rispetto alla comunità locale? Ho curato tre elementi.
All’inizio, la gente osservava le presenze che mi accompagnavano, cioè le persone che venivano a trovarmi ed aiutarmi (muratori, elettricisti, ecc): “Cosa vanno cercando? Che interessi hanno? Vogliono comprare le nostre terre?». Questo “corteo” di volontari negli anni ha mostrato alla comunità una quantità e qualità di persone impegnate a loro vantaggio senza imbrogli.

Anche la qualità dei “doni”, grazie alla mia esperienza pregressa come direttore della Caritas di Avezzano, lasciava il segno. Abbiamo poi introdotto il valore della giustizia nella distribuzione degli aiuti: se ci accorgevamo che il capo villaggio non era in grado di gestirli in modo libero da condizionamenti, ci prendevamo noi la briga di fare indagini sulle esigenze effettive. Era difficile, il prepotente facilmente ci imbrogliava, e non potevamo contare sul “poliziotto di quartiere”, che cercava di non inimicarsi nessuno; la fermezza si è rivelata utile: abbiamo dimostrato che non accettavamo manipolazioni, non eravamo “in vendita”.
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Un altro elemento di cui ho dovuto tenere conto sono state le attese della gente rispetto al mio essere sacerdote. C’erano alcune persone che venivano da famiglie storicamente cristiane e nutrivano la speranza che la mia presenza portasse una ricostruzione della fede e della cultura cristiana. Esse hanno rialzato la testa, sono uscite dalla clandestinità. I 70enni sono stati preziosi. La classe dei 50-60enni invece era diffidente, ma ha capito che ai propri figli si offriva un’occasione ed ha permesso loro di avvicinarsi.

Allora nel villaggio c’erano 600 famiglie - ora ridotte a 300 dall’emigrazione - e molti giovani affollavano i nostri incontri, le liturgie. Con loro abbiamo riscoperto il senso del fare Chiesa, la bellezza dello stare insieme. Fu l’inizio di un lungo lavoro di evangelizzazione. In questi anni il fatto che la missione sia stata affidata ad un prete diocesano ha permesso continuità e incidenza sul territorio, a partire dai bisogni basilari. Magari non riuscendo a risolverli subito, ma con una presenza amica che c’è e rimane.
di Antonio Sciarra
da Nuovo Progetto ottobre 2008

BOOK
FUGGIAMO PERCHÉ?
La Vendetta: una delle cause dell’immigrazione albanese
di Nusha Zhuba
Andromeda Editrice 2008

 

 

 

 

 

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