Internet a pezzi
Publié le 01-05-2018
di Michelangelo Dotta - È ormai di evidenza globale il fatto che l’età di chi consuma contenuti digitali si è enormemente abbassata. L’entrata in massa degli adolescenti in questo mondo senza regole né confini, ha innescato meccanismi di attenzione, ricerca e studio su una realtà che in brevissimo tempo, complice la rivoluzione tecnologica, si è impadronita del “tempo libero” delle nuove generazioni, sostituendosi ai meccanismi della relazione diretta, al dialogo e persino al gioco fisicamente “giocato” in compagnia.
I ragazzini di oggi sono perennemente assorbiti dagli schermi tattili, i maschi perlopiù riuniti in gruppetti silenziosi a giocare con app come Clash Royale (l’anno scorso un miliardo di euro guadagnato grazie ai minori), le ragazzine a chattare su Whats App o a pubblicare foto su Instagram, senza dimenticare il frequentatissimo YouTube. Ma quello di Internet, come affermato ultimamente da Evan Williams cofondatore di Twitter, non è un mondo senza rischi e senza pericoli: «Credevo che dare più libertà alle persone di scambiare idee e informazioni sulla rete bastasse di per sé a creare un mondo migliore. Sbagliavo, Internet è a pezzi».
Le denunce e i pentimenti di molti manager che hanno partecipato alla costruzione del mondo digitale in cui viviamo, si sono moltiplicati e hanno invaso le pagine dei giornali: «Facebook e gli altri hanno costruito il loro successo sullo sfruttamento della vulnerabilità della psicologia umana: Dio solo sa cosa stanno facendo al cervello dei nostri figli», così Sean Paeker, obiettore di coscienza dei social media. Gli fa eco Tristan Harris, ex design ethicist di Google: «Gli informatici che hanno creato la tecnologia che ti spinge a consultare in continuazione il cellulare tra loro la chiamano brain hacking, hackeraggio del cervello».
E se non bastasse McNamee, capo di Netflix: «Ho investito e guadagnato molto con Google e Facebook, ma oggi mi rendo conto che, come nel caso del gioco d’azzardo, della nicotina, dell’alcool e dell’eroina, Facebook e Google (quest’ultima soprattutto attraverso YouTube) producono felicità di breve durata con pesanti conseguenze negative nel lungo termine; gli utenti non si accorgono dei segnali di dipendenza fino a quando non è troppo tardi. La giornata ha solo 24 ore e queste compagnie competono per conquistarne la maggior parte possibile... Il mio principale concorrente non è Amazon ma il sonno degli spettatori».
Ammissioni allarmanti, confessioni che dovrebbero bastare a innescare un profondo esame di coscienza negli adulti e nelle famiglie con prole ma che troppo spesso cadono nel vuoto, madri e padri brancolano nel buio non sapendo mediamente nulla di quei luoghi dove i loro figli trascorrono così tanto tempo. Facebook, in una riunione con gli inserzionisti pubblicitari che doveva restare riservata, ha affermato di avere la capacità di individuare i teenager più vulnerabili perché «tristi, stressati, depressi, insicuri e sconfitti». Dagli ultimi dati di una ricerca risulta che il 58% dei ragazzi accetta che una app acceda ai propri contatti pur di usarla, senza minimamente preoccuparsi del pericolo “quasi certo” di intrusioni.
Michelangelo Dotta
MONITOR
Rubrica di NUOVO PROGETTO