L'arma della cultura
Publié le 03-06-2019
di Chiara Genisio - Studiare migliora la vita. Lo possono testimoniare gli studenti detenuti iscritti ai vari poli universitari legati alle carceri italiane. Una buona pratica che coinvolge ancora poco più dell’1% della popolazione carceraria, ma che rappresenta una esperienza positiva da diffondere ed espandere. Ad oggi sono coinvolti 57 istituti penitenziari, 28 atenei.
Tutto è iniziato vent’anni fa, nel 1998, a Torino nel carcere Lorusso Cutugno, lo racconta bene Maria Teresa Pichetto nel suo libro Se la cultura entra in carcere (Effatà Editrice). Docente all’Università di Torino ha creduto, ha alimentato, ha caratterizzato questo progetto coinvolgendo altri suoi colleghi. Negli anni altri Istituti e Atenei hanno realizzato iniziative analoghe. In linea con quello che dovrebbe essere lo spirito della Costituzione che indica la pena come forma che deve in ogni modo tendere alla rieducazione.
La cultura è un’arma, la miglior arma, per superare le sbarre. Dona speranza a chi ha compiuto scelte sbagliate e cerca una forma di riscatto. Non esiste un modello unico di Polo universitario dentro il carcere. Se a Torino i docenti svolgono il loro servizio gratuitamente, dentro un’area del carcere dove i detenuti hanno spazi comuni di studio e aule, e le sessioni di laurea avvengono dentro l’auditorium della casa circondariale, in Toscana il Polo unisce le Università di Firenze, Pisa e Siena, grazie anche all’apporto dell’associazione Volontariato penitenziario.
Interessante l’esperienza sarda. A Sassari il percorso del Polo universitario penitenziario era iniziato nel 2004 con un accordo con il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Nel 2014 un protocollo d’intesa ha dato inizio a una partnership con il Provveditorato dell’amministrazione penitenziaria. Quattro le carceri protagoniste: Alghero, Tempio, Sassari e Nuoro. Si stanno sviluppando buone sinergie anche in Calabria.
Da Nord a Sud sono tanti i corsi di laurea attivati, da giurisprudenza a scienze politiche, agraria, lettere, scienze della formazione ma anche medicina. Lo studio cambia la vita anche ai detenuti che non sono riusciti a conseguire la laurea, aver vissuto l’esperienza universitaria gli ha permesso di scoprire un carcere autenticamente alternativo, che rieduca. Lo dimostrano i numeri, se a livello nazionale la recidiva per i detenuti è molto alta, diminuisce per coloro che hanno avuto l’opportunità di studiare. «Solo tu puoi farcela, ma non da solo» è la frase dipinta all’ingresso della sezione del Polo universitario del carcere torinese, l’augurio è quello che possa diventare modello per tutti.
Chiara Genisio
Senza barriere
Rubrica di NUOVO PROGETTO