Locri: dalla protesta alla proposta

Publié le 31-08-2009

de Redazione Sermig


Li chiamiamo i “ragazzi di Locri” e tutti ci chiediamo se dureranno. Invece sarebbe ora di iniziare a raccogliere il loro invito e “sradicare la parte mafiosa che c'è in noi stessi (anche se non siamo di Locri), se vogliamo aiutarli”, come ha commentato una ragazza di 24 anni nel questionario “Giovani di fronte alla violenza” realizzato dalla nostra rivista Nuovo Progetto.

a cura della redazione

Si chiama Aldo, frequenta il 2° anno di giurisprudenza a Roma
, ha compiuto 20 anni a fine 2005. È uno dei portavoce dei Ragazzi di Locri: “Siamo stati ribattezzati così ma siamo tanti ragazzi, calabresi e non, che ormai da tempo hanno deciso di dire basta! Io sono uno di quelli che purtroppo avevano deciso di evadere, di allontanarsi dalla Calabria. Purtroppo, perché adesso ho capito che era un segno di resa”, commenta.

Non è facile coniugare studi, vita personale e impegno civile. Ma dopo la morte di Franco Fortugno (vicepresidente della Regione Calabria ucciso il 16 ottobre 2005) Aldo ha sentito che doveva ritornare, affrontare la situazione: “Lo conoscevo personalmente, era una testimonianza vivente che c’è un modo diverso di intendere la politica… Lui stava sempre con i giovani, diceva che il suo partito era tutto da rifondare a ripartire da noi ragazzi, perché la sua generazione era ormai persa e sorpassata. L’unico fastidio che ha dato era l’essere stato eletto, una persona pulita come lui non poteva stare in un universo sotto controllo…”. Le parole di Aldo sono la conferma di quanto conta nella vita di un giovane l’incontro con un testimone credibile, con un adulto che vive quello che dice.

Franco Fortugno invitava i giovani ad entrare in politica ma come persone limpide. È ancora possibile? C’è chi pensa che “in meridione tutti campano grazie alla mafia, a tutti fa comodo lì, non c'è la vera volontà di affrontare il problema”. La battaglia dei ragazzi di Locri, in effetti, non è solo contro la mafia ma si estende alla mafiosità: “Renderti servile a chi ti può fare un favore noi ce l’abbiamo nel sangue: una raccomandazione per entrare in un concorso, il favore di un medico per scalarti in lista d’attesa… Per questo io sono andato via. Non riuscivo ad essere passivo nella società. Avevo deciso di non tornare, pensavo che la Calabria non merita. Adesso dico che bisogna tornare, rimboccarsi le maniche e cominciare a costruire insieme sapendo che i risultati non li vedremo noi ma forse i nipoti dei nostri nipoti”.

Insomma, “le vostre idee sono più forti delle armi, ma hanno bisogno anche di essere condivise da tutti?”. “È vero, infatti adesso stiamo facendo il giro delle scuole con le nostre idee. Le televisioni ci hanno fatti conoscere, adesso che se ne sono andate noi dobbiamo evangelizzare, costruire qualcosa dal basso. Senza armi dobbiamo fare una rivoluzione culturale, capire che ragionando in un modo diverso possiamo raggiungere grandi traguardi”.

Non dev’essere facile cambiare una mentalità radicata nel tempo, c’è chi teme che, passati i giovani anni dei miti e degli eroi, terrete famiglia anche voi… “Capisco questi timori, perché dicono proprio quello che è successo a tanti prima di noi: hanno messo su famiglia e si sono spenti gli animi. Anche i nostri genitori hanno fatto il ’68 ma i nostri nonni non li hanno sostenuti. I nonni sono contro le nostre lotte perché è radicato nella cultura meridionale il “fatti i fatti tuoi”; l’omertà ha permeato la loro vita”.

Aldo e i suoi amici sono ben coscienti di quanto sia impegnativo il passaggio “Dalla protesta alla proposta” (i 15.000 giovani attratti dalla presenza mediatica oggi sono scesi a ca. un migliaio): “L’errore di tutte le primavere meridionali è stato di essere contro la 'ndrangheta. La primavera di Palermo è finita perché si è dissolta in una protesta. Noi dobbiamo iniziare a proporre, elaborare progetti concreti. C’è in cantiere la creazione sul territorio di qualcosa di esteso. Certo è che non sarà un movimento politico, la nostra lotta non deve avere colori, o al massimo l’arcobaleno della pace, della speranza”.

Intanto però è fondato il timore che la mafia verrà a minacciarvi uno alla volta, non quando siete tutti insieme in piazza, la vostra scelta vi chiede di confrontarvi con il pericolo… “Ognuno di noi ha paura, il grande coraggio è ammettere di avere paura. Adesso siamo rimasti pochi e siamo più individuabili. Ma la paura diventa ancora più forte quando è paura di fallire, di sprecare tutto questo tempo che stiamo sottraendo allo studio. Nelle scuole dove sono stato quello che mi ha fatto più male è stato captare questo pensiero: “secondo me questo finisce male”. Io ho ribadito più volte che nessuno di noi vuole fare l’eroe. Io cerco di raccontare un’esperienza positiva che si è generata e chiedo ai giovani di agire tutti insieme, non solo i calabresi. Mafia, ndrangheta, camorra ci sono dappertutto, è una mentalità che va cambiata in tutta Italia”.

Non sarebbe più facile tenere alta l’attenzione mediatica? “Se qualche trasmissione radiofonica ci chiama, andiamo. Però non ho accettato di andare ad una nota trasmissione domenicale per stare 30 secondi e stimolare la lacrimuccia dei telespettatori. Ho detto “se volete, veniamo in un gruppo di ragazzi e per 20 minuti parliamo solo di Calabria”. Noi stiamo cercando di lavorare dal basso e di creare una rete, pensando che i risultati prima o poi si vedranno”.

Una convinzione che non è frequente ormai trovare in chi è più giovane: oggi si sono 15enni che già tristemente dicono: “La società presente è uno schifo ed è sempre più in declino”. Chiediamo ad Aldo un commento, si accalora: “Devono impegnarsi e cercare di cambiare le cose. Come diceva Kennedy, non chiederti cosa può fare il tuo Paese per te, chiediti cosa puoi fare tu per il tuo Paese! Se hanno questa opinione negativa della società si rimbocchino le maniche! Tutti siamo bravi a parlare, io stesso potrei fare proseliti utilizzando un po’ di favella, però poi bisogna lavorare... Lo capisco, anch’io ho avuto 15 anni e vedevo la società come qualcosa di corrotto e irreparabile, poi ho capito che per cambiare le cose devi interessartene, come diceva don Dilani, I care”.

E per Aldo non sono parole, non ha paura di sporcarsi le mani: ad Asti, dove è stato invitato di recente a parlare in un liceo, dopo pranzo gli hanno proposto di visitare la città ma lui ha preferito aiutare a lavare i piatti, “mi sono sentito un po’ troppo ospite, in fondo anch’io nella vita sono studente universitario”.
Come ad Asti ed in altre città, i Ragazzi di Locri aspettano di essere invitati: “È molto più redditizio parlare davanti a 300 ragazzi che davanti all’obiettivo delle telecamere”.

a cura della redazione
da Nuovo Progetto gennaio 2006

www.ammazzatecitutti.org

 

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