MADABA: tutti a scuola

Publié le 31-08-2009

de Redazione Sermig


Portare ragazzi disabili a raggiungere il massimo di autonomia è una bella scommessa. Ma la “squadra” dell’Arsenale dell’Incontro del Sermig ci crede. Il bilancio del primo anno.                                                                                         

a cura della Fraternità della Speranza


Dentro l’Arsenale dell’Incontro, a Madaba in Giordania, tra le altre attività, vive una piccola scuola per disabili, aperta da settembre 2007, che conta, tra studenti inseriti nelle classi e studenti che vengono soltanto per la logopedia o per un sostegno alle difficoltà di apprendimento, o per la fisioterapia, una sessantina di bambini e giovani, tra i 6 e i 35 anni. A Cristiana, della Fraternità della Speranza, è affidata la direzione di questa scuola. Seguendo le sue parole, e ascoltando le voci di due degli insegnanti presenti, ci addentriamo in questo piccolo ma attivissimo nuovo mondo.
L’obiettivo principale che ci proponiamo è che i ragazzi possano avere un futuro, raggiungere il massimo di indipendenza che la disabilità permette loro, sia nello sviluppo delle capacità cognitive sia nella vita quotidiana e nelle relazioni sociali. madaba1.jpg

Il loro percorso si svolge infatti in un programma personalizzato, che comprende sia l’apprendimento cognitivo, accademico, in base alle possibilità, sia la crescita della loro personalità.
Le classi, per decreto ministeriale, sono piccole, non più di otto allievi; per ognuna di esse c’è un insegnante, un aiuto e qualche volontario.

Gassan, 23 anni, giovane insegnante di origine palestinese laureato in educazione speciale, racconta: “Quando ho iniziato avevo un po’ paura dei disabili... adesso amo lavorare con loro. Credo che abbiano un dono: sono capaci di farsi amare da tutti, perché loro amano tutte le persone, hanno il cuore bianco, puro, e se capisci questo non puoi fare a meno di amarli anche tu! Credo nelle potenzialità di questi bambini e voglio che siano un giorno indipendenti, possano andare al mercato e comprare da soli, possano chiedere informazioni per andare in qualche luogo, possano prepararsi da mangiare. Oltre a saper leggere e scrivere, voglio che sappiano vivere e comportarsi...”.

Con gli impiegati nei vari settori e i volontari lavoriamo di squadra, puntando sulla collaborazione e il rispetto reciproco. Cerchiamo di vivere il concetto di famiglia, dove ci sono ruoli, competenze, potenzialità diverse ma nell’unità, verso un obiettivo comune, e perché no, anche con un po’ di umanità. Tante volte il nostro compito è di mediazione, di valorizzazione di ognuno cercando di evitare la competizione. Passiamo il nostro metodo attraverso l’organizzazione delle attività pratiche, negli incontri settimanali degli insegnanti con la direzione, ma anche attraverso incontri a tu per tu con tutti gli educatori.

Gassan spiega: “Se lavoriamo bene insieme, ci completiamo a vicenda, per esempio con l’insegnante di logopedia, o con il fisioterapista. Abbiamo un vantaggio tecnico, ma anche umano: lavorare in un clima sereno mi fa stare bene e mi aiuta a dare il meglio...”.
La nostra speranza è di far scattare nell’impiegato, o di nutrire se è già scattata, quella molla in più, quella motivazione profonda che fa diventare il lavoro quasi una missione.

Asrar, 35 anni, laureata, da 14 anni insegnante di educazione speciale: “Non ci sono bambini che non siano in grado di imparare! Se non accade, o è l’atteggiamento dell’insegnante che è sbagliato, o lo strumento educativo non è adatto, o ancora può essere l’insegnante non compatibile con la sensibilità dell’alunno...
In ogni caso è essenziale l’accettazione, da parte del ragazzo, dell’insegnante, dell’ambiente, della struttura stessa. Questo può avvenire se si entra in relazione con lui, con amore e stima. E se l’alunno diventa cooperante, gli si potrà poi insegnare qualsiasi nozione...”.

La questione sociale è molto delicata. Eppure la partecipazione delle famiglie è importantissima per il percorso dell’alunno: se la famiglia non collabora, la fatica che fa a scuola rischia di essere inutile. Stiamo battendo molto su questo, tante volte ci troviamo costretti a invitare ripetutamente i genitori ai colloqui sul figlio, perché si rendano conto dei progressi e delle difficoltà del bambino e possano trovare finalmente un indirizzo, qualche consiglio su come gestire la relazione con lui.

La maggior parte di loro ha scarse risorse economiche, per non dire che è nella povertà, alcuni sono ancora beduini, cioè vivono nomadi, sotto le tende. Ma l’aspetto più difficile da affrontare è la solitudine in cui si trova una famiglia che ha almeno un disabile in casa.
Di fronte all’avere un figlio con questi problemi ci si trova certamente impreparati, inoltre qui c’è molta ignoranza, perché a livello sociale è una questione disonorevole, e non se ne parla. Spesso c’è grande difficoltà ad accettare questa condizione, e i genitori credono di liberarsene portando il figlio in un centro apposito.
Altre volte non immaginano l’importanza del loro ruolo, pensando sia un problema del governo, che dà qualche sovvenzione e offre qualche centro di accoglienza anche notturna. Ma siamo contenti di poter dire che dall’inizio dell’anno tutte le famiglie degli alunni hanno risposto ai nostri stimoli; a livelli diversi, sicuramente, ma un movimento c’è stato in tutte.

Conclude Asrar: “Io credo nelle capacità di queste persone. E nei loro diritti. Voglio lavorare per cambiare la mentalità di questa società. Quello che sogno? Di essere sempre in grado di trovare nuovi metodi e tecniche di coinvolgimento per stimolare, aiutare, far crescere i miei alunni! Penso che per essere bravi insegnanti bisogna volerlo prima di tutto, poi viverlo come una missione, solo a questo punto entra in campo la tua preparazione tecnica e teorica”.

a cura della Fraternità della Speranza
da Nuovo Progetto agosto-settembre 2008
Vedi la scheda
“Giordania – Arsenale dell’Incontro”

 

 

 

 

 

 

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