Piccole stelle nel cielo buio di Haiti

Publié le 11-08-2012

de Franca Boetti

di Franca Boetti - 18 giugno 2010: vi racconto l'esperienza che vivo giorno dopo giorno con i bambini di Haiti.
 
 
 
 
 
Ad Haiti non mancano frotte di bambini che corrono per le strade e che, quando ti vedono, accorrono per abbracciarti. Nella nostra scuola ne accogliamo 350 in due turni, mattino e pomeriggio. È un po' eccezionale, ma quest'anno abbiamo voluto aiutare tanti bambini che non potevano più studiare perché la loro scuola é stata distrutta. Dal martedì al venerdì anch'io prendo la strada verso la scuola per le classi di francese e matematica sotto le tende della Protezione civile italiana. Per mezzo di giochini, insegno loro dei "trucchi" di matematica, o facciamo letture in francese. Normalmente parlano il creolo, ma la seconda lingua è il francese. Ce la ridiamo, cantiamo, giochiamo, saltiamo, balliamo e, quando rientro, mi salutano con tanto affetto e mi chiedono: "Quando ritorna?". È una gioia per me incontrarli.

Gli incontri più belli sono, forse, quelli che faccio per strada o alla porta della fraternità. Rientrando una mattina dalla Messa mi si avvicina un ragazzino di 11-12 anni e mi sussurra: "Buongiorno sorella gioia". Sono rimasta di stucco, e gli ho detto: "Io non mi chiamo gioia". Mi ha risposto: "Ma lei sorride sempre". È che non mi ha vista nei giorni scuri! Un pomeriggio stavano bussando alla porta della fraternità. Apro e c'era il nostro vicino, un bimbo che sorride sempre. Mi guarda e mi dice: "Mi dai un biscotto?". Vado a prendere dei biscottini che avevamo appena ricevuto dall'Italia e gliene offro quattro. Li mangia. "Erano buoni?", gli chiedo. "Oh sì, però erano troppo piccoli. Dammene ancora". Come rifiutare davanti ad un gran sorriso?

La nostra vicina, Cristina, vendeva al mercato con la sua mamma. Abbiamo lottato tanto per farla andare a scuola. Adesso è un'alunna della nostra scuola ed ha avuto una pagella con dei bei voti. Tre volte alla settimana aiuto Angelo, un ragazzino di seconda elementare, per i compiti di matematica e lettura. Viene alla fraternità dalle 9 alle 10 del mattino e studiamo insieme, così il prossimo anno sarà pronto per andare a scuola. Il giorno del terremoto Angelo è rimasto schiacciato tra le mura di casa. Sfigurato, con la testa a pezzi, la sua mamma è corsa per strada fermando le macchine perché portassero Angelo in ospedale. In quel caos del 12 gennaio nessuno li soccorreva. Finalmente qualcuno dell'ONU li ha caricati in macchina e sono partiti per l'ospedale. Era gravissimo. Hanno viaggiato fino alla capitale della Repubblica Dominicana dove è stato soccorso. Dopo due mesi è rientrato ad Haiti, con delle cicatrici ben evidenti sulla testa e sul viso. L'abbiamo curato ogni giorno e adesso ricomincia a studiare, con me. Parliamo spagnolo, lingua che ha imparato a Santo Domingo. Continua a ripetermi: "Erano tutti così gentili con me". E come poteva essere diverso, povero bambino, nello stato in cui era? Mi ha portato delle foto, c'è quasi da credere a un miracolo.

Ho anche accompagnato per un periodo due bambini della nostra zona all'ospedale dei padri Camilliani. Tutti e due con le gambe rotte a causa del terremoto. Un giorno incontro un medico del CTO di Torino che prestava servizio dai Camilliani. Ha subito preso in mano le lastre dei bambini e mi ha dato i consigli necessari al caso. Ogni giorno andavo a casa loro per farli camminare e finalmente sono ritornati a scuola. Piccoli segni, piccoli miracoli quotidiani, piccole "stelle" nel cielo ancora tanto "oscuro" di Haiti.

Giocano per strada con... niente: una bottiglietta dell'acqua tagliata, una cordicella, un camioncino. Basta poco, divertirsi con gli altri amici. Li guardo e poi mi dico: è proprio vero che il Regno dei cieli è per i "piccoli". Ti abbracciano e ti sussurrano: "Come si dice ti voglio bene nella tua lingua?", ma io rabbrividisco quando vedo come li picchiano in casa. Vicino a noi c'è un gruppo di americani che hanno un orfanatrofio. Le donne che li accudiscono sono haitiane, e li picchiano duramente. Quando sento urlare, esco sulla terrazza e grido: "Non lo picchiare". E smette. Il povero piccolino mi guarda come per dire: mi hai salvato. Questi piccoli soffrono già tanto, che bisogno c'è di picchiali ancora? Ma due minuti dopo, hanno già di nuovo il sorriso sul volto: sono un incanto! Stamattina, alcuni dei più piccoli mi sono corsi incontro: "Non ti abbiamo più vista, dove eri?". Mi si è sciolto il cuore.
di Franca Boetti
 
 
 
 

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