Poliziotto per vocazione

Publié le 04-06-2019

de Renzo Agasso

di Renzo Agasso  - Storia di un giovane che voleva andare controcorrente
Comincia a morire il 12 dicembre 1969, quando scoppia la bomba alla Banca dell’Agricoltura di Milano, con diciassette morti e ottantotto feriti. Il commissario Luigi Calabresi, 32 anni, non si trova nel suo ufficio, dalla cui finestra cade l’anarchico Giuseppe Pinelli, fermato per la strage. Ma sarà travolto da una campagna d’odio che durerà tre anni: ingiustamente accusato della morte di Pinelli, chiamato assassino e torturatore, insultato, irriso, minacciato quotidianamente. Tre anni infernali. Finché lo ammazzano, il 14 maggio 1972.

Un giorno del 1966, Luigi Calabresi, ventinovenne, aveva detto: «Ancora qualche settimana e sarò commissario di pubblica sicurezza. Lo dico perché sappiate in quale mondo sto per entrare con queste mie idee. Ma è una strada che ho scelto per vocazione, perché mi piace, perché sono convinto, perché costituisce una prova difficile. Avrei molti altri modi di guadagnarmi uno stipendio, ma sono affascinato dall’esperienza che può fare in polizia uno come me, che vuol vivere una vita profondamente, integralmente cristiana. Io sono giovane.

Ma riandando indietro con la memoria, per aver letto o sentito dire, mi pare che un tempo il metro con cui si valutavano gli uomini era diverso. Si valutavano per ciò che erano, per ciò che rappresentavano, per la posizione e la stima di cui godevano, per il gradino che occupavano nella scala sociale, e così via. Oggi invece quello che conta è il successo, questa medaglia di basso conio che su una faccia porta stampato il denaro e sull’altra il sesso. Se volessi intascare e magari spendere medaglie come questa non andrei in polizia, dove si resta poveri. Non andrei coltivando ideali buffi di onestà e di purezza.

Purtroppo sono fatto in un certo modo, appartengo a un gruppo neanche tanto scarso di giovani che vuole andare controcorrente. Noi sentiamo forse più degli altri lo sfasamento, lo squilibrio, il turbamento, perché in ogni istante della giornata vediamo noi e vediamo gli altri, mettiamo noi stessi a confronto con gli altri; apparteniamo a due mondi che si scontrano, e perciò ci sentiamo in imbarazzo noi e si sentono in imbarazzo gli altri; in questo mondo neopagano il cristiano continua a dare scandalo, perché il fine che persegue, lo scopo che dà alla sua vita non coincide con quello dei più.

Ecco il turbamento di cui parlavo: sentiamo di vivere, tutto sommato, in un mondo non nostro, che tende ad escluderci, a sopprimerci».

Renzo Agasso
PEOPLE
Rubrica di NUOVO PROGETTO

 

 

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