Settimana mondiale dell’acqua
Publié le 31-08-2009
Iniziata il giorno 20 a Stoccolma, parte da un dato: 1 abitante del pianeta su 3 soffre ormai per penuria d’acqua. Senz’acqua non c’è sviluppo e le guerre legate all’accaparramento delle risorse idriche, in particolare in Africa, sono lì a dimostrarlo.
È iniziata l’altro ieri con un meeting a Stoccolma la Settimana mondiale dell’acqua (20-26 agosto). Il dato di partenza è drammatico: 1 abitante del pianeta su 3 soffre ormai per penuria d’acqua. Eppure secondo i dati scientifici il problema dell'acqua è legato più alla gestione che alla disponibilità in natura della vitale risorsa. L’International Water Management Institute (Iwmi) ha realizzato uno studio - Valutazione completa della gestione dell'acqua per l'agricoltura - cui hanno collaborato 700 esperti internazionali, individuando due tipi di penuria: quella dovuta a risorse idriche eccessivamente sfruttate (con l'effetto di far abbassare il livello delle falde acquifere e prosciugare i fiumi) e quella nei Paesi privi di mezzi tecnici o finanziari per “catturare” l'acqua (delle piogge, dei fiumi) che si trova in abbondanza. Complessivamente, la penuria d'acqua è dovuta per il 98% a cause umane, per il 2% a cause naturali (Fonte: ANSA 21/8/06). Red. |
AFRICA: sete di oro blu di Renato Kizito Sesana |
Nei Paesi industrializzati ognuno consuma, mediamente, più di 300 litri d’acqua al giorno. Chi vive nel Sahel può contare su 5 litri, spesso contaminati. Senz’acqua non c’è sviluppo e le guerre (presenti e future) legate all’accaparramento delle risorse idriche sono lì a dimostrarlo. Il primo di aprile dello scorso anno, il “pesce” del più importante quotidiano del Kenya è stato l’annuncio che la capitale del Paese sarebbe stata spostata da Nairobi perché entro il 2007, al massimo entro il 2009, non ci sarebbe più stata sufficiente acqua per alimentare il già disastrato acquedotto cittadino. |
Da anni interi quartieri della città – evidentemente i più poveri – ricevono acqua solo per due o tre brevi periodi alla settimana, e chi se lo può permettere ha installato grandi serbatoi di plastica per accumulare quanta più acqua possibile durante le poche ore in cui viene distribuita. Non pochi problemi del Kenya, tra i quali l’instabilità sociale di vaste aree agricole periodicamente soggette a siccità – come quella gravissima del 2005 – derivano dal fatto che ogni keniano ha a disposizione annua 647 metri cubi di acqua, invece dei 1.000 che l’Organizzazione Mondiale della Sanità considera come minimo indispensabile. È ormai un luogo comune affermare che le prossime guerre saranno combattute per il controllo dell’acqua, piuttosto che del petrolio. In Kenya lo spettro della guerra è stato evocato nel luglio del 2002 a proposito del controllo delle acque del Nilo. Il ministro dei Lavori Pubblici keniano, Raila Odinga, affermò che il trattato che regola l’uso delle acque del Nilo era ormai superato e ostacolava lo sviluppo dei Paesi rivieraschi del lago Vittoria. La reazione del ministro egiziano per l’Acqua e le Risorse Naturali, Mahmoud Abu-Zeid, non si fece attendere, e disse che le parole di Odinga “equivalgono ad una dichiarazione di guerra”. Se si guarda la carta geografica dell’Africa (vedi cartina sotto) si possono contare dieci Paesi che fan parte del bacino del Nilo. Uganda, Sudan, Egitto, Etiopia, Eritrea sono direttamente attraversate dal Nilo (Bianco e Azzurro) o da loro affluenti, e Kenya, Tanzania, R.D. Congo, Rwanda e Burundi sono invece Paesi rivieraschi del Lago Vittoria, il più grande contenitore di acqua dolce in Africa, da cui nasce il Nilo Bianco. |
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Il trattato che ha scatenato la diatriba tra Kenya ed Egitto è stato firmato nella sua prima versione nel 1929, e poi riconfermato nel 1959. La sostanza del trattato è l’affermazione del diritto di tre dei Paesi del bacino – Egitto, Sudan, Etiopia – ad usare le acque del Nilo e degli affluenti, escludendo gli altri sette da ogni uso significativo. Basandosi sugli “storici” diritti che l’Egitto ha sul Nilo, il trattato assegna al Paese dei faraoni la parte del leone, e stabilisce che nessun Paese può fare progetti (di irrigazione o idroelettrici) che potrebbero causare una diminuzione della portata dell’acqua del Nilo senza il permesso del governo egiziano. Questo diritto sulle acque del Nilo si estende anche a tutti i fiumi e laghi tributari del fiume, e il governo egiziano secondo il trattato ha il diritto di ispezionare tutti i corsi d’acqua del bacino. Questo accordo fu raggiunto quando i Paesi che oggi avrebbero più bisogno di acqua – Uganda, Kenya e Tanzania – non erano ancora indipendenti e quindi fu firmato dalla potenza coloniale, l’Inghilterra, che in quel momento aveva interessi ad accettarlo per ottenere in cambio il diritto di usare il Canale di Suez. |
Sembra incredibile, ma durante gli anni delle indipendenze solo Julius Nyerere, primo Presidente della Tanzania, si azzardò a mettere in discussione la validità del trattato. E, poiché alle sue parole non seguì nessun fatto, la maggioranza degli esperti in diritto internazionale appoggia oggi la tesi egiziana: il fatto che il trattato sia stato osservato per decenni lo rende vincolante. Altri sostengono che non è vincolante, addirittura è illegale, ma viene osservato solo per pratica consolidata e tradizione e può essere rimesso in questione ad ogni momento. Se i politici kenyani negli ultimi mesi non hanno perso occasione per esternare la necessità di rivedere il trattato, la Tanzania ha comunque deciso di rompere gli indugi. Per rifornire d’acqua la città di Kahama e l’area circostante, dove vivono 420.000 persone, ha avviato lo scorso anno la costruzione, affidata ad una ditta cinese, di un acquedotto di 170 km che dal lago Vittoria porterà acqua a Kahama. Ad inasprire ulteriormente il risentimento dei Paesi rivieraschi del lago Vittoria, l’Egitto dal canto suo ha avviato l’esecuzione di un grande progetto di irrigazione per il deserto intorno al Lago Nasser, che userà 25 milioni di metri cubi di acqua al giorno. Eppure dal febbraio del 1999 esiste una Nile Basin Initiative con un segratariato sito ad Entebbe (Uganda) che ha proprio lo scopo di elaborare un nuovo quadro legale ed istituzionale per regolare l’uso delle acque che abbia l’approvazione di tutti i dieci Paesi del bacino del Nilo (il prossimo forum internazionale,“THE NILE DEVELOPMENT FORUM”, avrà luogo ad Addis Abeba - Ethiopia dal 21 al 25 novembre 2006 - n.d.r.). Secondo Meraji Msuya, direttore del NBI, il sogno è quello di usare le acque del Nilo per creare prosperità per tutti. Anche se Tanzania e Kenya negli ultimi mesi hanno ripetutamente affermato che considerano il trattato del 1959 illegale e di non essere disposti a cedere i diritti sulle acque dei propri fiumi e laghi per una rivendicazione storica che considerano assolutamente anacronistica, hanno anche sottolineato che continueranno comunque a negoziare nel contesto del NBI per arrivare a un nuovo accordo. |
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Esaminando anche solo a grandissime linee l’area del bacino del Nilo, due altri elementi di tensione emergono immediatamente. Dei 10 paesi che ne fanno parte, ben 7 negli ultimi vent’anni sono stati devastati da tremende guerre civili e anche da guerre di confine. Inoltre i governanti di due Paesi, Egitto e Sudan, si considerano parte del mondo arabo, mentre altri due Paesi, Eritrea e Etiopia, sono gli eredi di una storia unica, e gli altri sei sono invece parte del mondo dell’Africa nera. La possibilità che in questo contesto le acque del Nilo diventino occasione di ulteriori conflitti invece che portatrici di prosperità sono evidentemente molto alte. Meraji Msuya ha sottolineato però che mentre dieci anni fa le acque del Nilo erano un argomento che non si osava neanche nominare, oggi i dieci Paesi, cosi diversi, riescono a sedersi intorno ad un tavolo e a negoziare. Anche se le posizioni sono molto lontane, nessuno, a parte l’Egitto, ha mai evocato immagini di guerra. Insomma, c’è la possibilità e la speranza che la ragione prevalga. L’acqua è un elemento importante nella tradizione e nella liturgia cristiana. Il Nilo è nominato più di una volta nell’Antico Testamento e nel capitolo 29 di Ezechiele Yahweh ne rivendica la proprietà. Negli ultimi anni stiamo assistendo alla nascita di una teologia del creato. Non sarebbe un gesto lungimirante se le Chiese cristiane elaborassero una posizione comune, collaborativa e costruttice di pace, sull’uso delle acque per il bene comune? |
Per approfondimenti: www.nilebasin.org www.contrattoacqua.it |