IL PREMIO “ARTIGIANO DELLA PACE” A MASSIMO D’ALEMA

Publié le 01-09-2011

de Mauro Tabasso

Giovedì 21 febbraio 2008: il ministro degli Affari Esteri Massimo D’Alema, accompagnato dalla moglie signora Linda Giuva, riceve il premio “Artigiano della Pace” dal Sermig.

a cura della redazione

 

Quando il ministro degli Affari Esteri, on. Massimo D’Alema, e la moglie, signora Linda Giuva, fanno il loro ingresso nell’Università del Dialogo del Sermig, verso le ore 21, la lunga sala è già gremita di persone, intervenute per presenziare alla consegna del premio “Artigiano della Pace” all’uomo che, a nome dell’Italia, ha ottenuto l’approvazione della moratoria contro la pena di morte da parte dell’Assemblea Generale dell’ONU il 18 dicembre 2007.

Nelle prime file, giovani del Sermig a fianco di autorità, come è consuetudine in una casa nella quale si impara da subito a stare all’ultimo posto come al primo.
Ad attendere il ministro, insieme ad Ernesto Olivero, c’è Sandro Calvani, direttore dell’UNICRI (l’Istituto interregionale dell’Onu per la ricerca sul Crimine e la Giustizia).
In sala tra gli altri, il ministro della Salute Livia Turco, la presidente della Regione Piemonte Mercedes Bresso, il sindaco di Torino Sergio Chiamparino, il console della Giordania in Italia.
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Da sinistra: Sandro Calvani, Ernesto Olivero e Massimo D'Alema

Il compito di dare il benvenuto alla coppia ospite è di Rosanna Tabasso, della Fraternità del Sermig, la quale apre la serata ricordando che “la storia dell’Arsenale della Pace è storia di atti di pace, la maggior parte dei quali lasciati al silenzio perché legati a persone aiutate, alcuni invece pubblici perché hanno coinvolto istituzioni”. “Il Premio Artigiano della Pace consegna ai giovani pagine di pace e persone che la scelgono con la propria vita”. Rosanna Tabasso cede poi la parola a Sandro Calvani perché illustri le motivazioni del riconoscimento.

Il Direttore dell’UNICRI esordisce evidenziando che coloro che negli anni hanno ricevuto il premio sono persone ed istituzioni che, pur appartenendo a mondi ed idee diverse, hanno saputo operare per la pace attraverso la loro stessa vita con onestà, fermezza e volontà di dialogo. Tra di loro, padre Michele Pellegrino, Sandro Pertini, Lech Walesa, Norberto Bobbio, le città martiri di Boves e Volgograd, Giovanni Paolo II, Mikhail Gorbaciov, la Comunità di Sant’Egidio, scienziati arabi, israeliani, europei ed americani, dom Luciano Mendes de Almeida, la Comunità Neve Shalom, Elisa Springer.

Prosegue ricollegando la parola “artigiano” alla figura di Dag Hammarskjold, il Segretario Generale dell’ONU Premio Nobel per la Pace ad honorem e post mortem, che perse la vita nel 1961 in Zambia mentre tentava di fermare gli orrori della guerra civile congolese. “Nelle Nazioni Unite vediamo quanto anche il carisma dei singoli sia essenziale nel muovere delicati equilibri e spingere i Paesi verso la soluzione”. È il lavoro che viene riconosciuto a D’Alema, il quale “si è speso per dare una risposta al dramma del Libano, dell’Afghanistan, del Medio Oriente, per promuovere una politica estera eticamente ispirata rilanciando l’europeismo… Facendo ciò ha reso il Paese un interlocutore forte e credibile a livello internazionale”. Dalla convinzione con la quale si è mosso è derivata anche l’approvazione della moratoria sulla pena di morte per la quale viene conferito il Premio.

Prende poi la parola Ernesto Olivero: “Da sempre il Sermig sente che gli altri non sono nemici, devono avere le stesse cose che abbiamo noi”. È così che ha iniziato ad incontrare i drammi della gente e a portare speranza. Tra questi drammi, quello di un bambino di 12 anni che – cresciuto nella violenza – un giorno ci ha detto: “Io da grande voglio fare il kamikaze”. Un storia vera, che Olivero, come spesso fa quando le parole non bastano all’emozione, ha tradotto in canto, con la musica di Mauro Tabasso. Le note dilagano nella sala, il loro messaggio raggiunge i cuori: “Ci vuole un villaggio per cambiare un bambino / e chissà quanti ragazzi ci sono nel mondo / che non hanno villaggio e nemmeno famigliari / e da grandi faranno i kamikaze… / come possiamo / fargli cambiare idea / perché anche lui riesca a capire / che non si può continuare così / che la sua vita vale più del suo rancore?”.

Commenta Olivero: “L’Arsenale della Pace ha capito che la violenza bisogna saperla prendere con amore, con forza, e le cose cambiano. Tante persone sono cambiate, comprese alcune ragazze che ora si chiamano tra loro ‘le piccole di Gerusalemme’ perché l’Arsenale è stata per loro la ‘Gerusalemme nuova’, la vita nuova. Quindi è possibile far diventare l’Italia Gerusalemme, è possibile far diventare il mondo Gerusalemme” conclude con convinzione.

Ecco il perché del Premio Artigiano della Pace, inventato nel 1981 perché ci fosse un Premio per la pace “semplice”, gestito dai giovani. Ora viene assegnato a D’Alema “perché lui ha cambiato tante idee strada facendo, come tutte le persone serie che man mano sanno cambiar idea perché il loro ideale si allarghi sempre più. Occorrono persone che aiutino la società ad affrontare l’odio con il diritto, con la logica, con la pazienza”. Spiazzando lo stesso premiato, Olivero chiama poi a leggere la motivazione la moglie Linda.

Prende la parola Massimo D’Alema, il quale precisa di non amare le cerimonie ma di aver “ceduto” all’invito del Sermig perché “ricevere un riconoscimento da persone verso le quali si ha stima, considerazione ed affetto fa piacere”. Entra poi nel merito del concetto di “artigiano della pace”, riflettendo su come per molti anni impegno per la pace abbia significato “indurre le due grandi potenze che dominavano il mondo a non farsi la guerra, a ridurre i loro arsenali militari e a promuovere il dialogo e la distensione tra di loro”. Un impegno che spesso mascherava in realtà partigianeria per una delle due parti.
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Da quando il mondo non è più diviso in blocchi, contrariamente alla speranza che ciò significasse più pace, si è assistito al moltiplicarsi delle guerre ed il tema della pace è diventato infinitamente più complesso. “Queste guerre nascono dal disordine del mondo, dall’odio, dal fatto che viviamo in un mondo che si è fatto più piccolo e in cui il contatto con l’altro fa scattare la scintilla dell’odio etnico, religioso, del sentimento nazionalistico”. La globalizzazione, anziché renderci più uguali, ci ha resi più diversi: “Si è diffusa la paura dell’omologazione, il timore di vedere sradicate le proprie radici, di vedere cancellata la propria cultura, e questa paura è diventata violenza in tanta parte del mondo”.

Oggi non si tratta più soltanto di fermare le guerre tra Stati ma di “bonificare le paludi dell’odio”, operazione molto più complessa. “Il costruire la pace è diventato un impegno che o è di una grande massa di persone oppure diventa un’opera impossibile”. L’11 settembre 2001 ha cambiato per sempre il mondo: “Si è capito che non c’è deterrenza possibile contro la forza auto-distruttiva dell’odio, del terrorismo”. Ecco il merito che il ministro rivendica alla politica estera italiana: aver avuto il coraggio di dire queste cose ed aver cercato una via diversa per lottare contro il terrorismo, sradicandone le cause, sottraendogli consenso. Una buona politica sa anche di essere complementare al lavoro di chi tenta di sradicare l’odio dal basso, nel rapporto con le persone, e ne cerca il confronto, come accade da tempo tra lui stesso ed il Sermig.

Inaspettatamente, ma con grande onestà intellettuale, D’Alema infine “confessa” un fatto che lo tormenta e sul quale continua ad interrogarsi, “al punto da chiedermi se era giusto ricevere questo Premio”: “Io nel corso della mia vita politica ho fatto la guerra. Anzi, sono stato il primo capo di un governo italiano che ha portato il nostro Paese – dopo la seconda guerra mondiale – ad affrontare un conflitto, seppur limitato”.

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Tutto iniziò il giorno di Pasqua 1999 quando si recò al confine tra l’Albania e il Kosovo: “C’era un fiume di profughi che fuggivano dal Kosovo, arrivavano nell’Albania del nord, poverissima, e lì venivano aiutati come era possibile. Vidi le persone ferite, umiliate, i vecchi con le gambe trapassate dalle baionette, vidi la pulizia etnica in diretta. Mi convinsi che era giusto agire per fermarla. Fu una delle ragioni per le quali ritenni che l’Italia doveva sostenere l’azione della Nato per fermare le truppe serbe e i gruppi paramilitari che stavano occupando il Kosovo”.

Poi è incominciato un incubo personale – continua - perché i bombardamenti non si sono limitati a colpire le forze armate serbe; malgrado la nostra fiera opposizione, si sono estesi anche su alcune città della Serbia, su vittime civili… E si sente anche la responsabilità personale quando il conflitto finisce per coinvolgere delle vittime innocenti”. “Continuo a pensare che non ci fossero alternative – conclude - ma personalmente non vorrei mai più ritrovarmi in una vicenda di questo genere e spero che non capiti mai più a nessuno. È una confessione che dovendo ricevere il premio Artigiano della Pace ho ritenuto giusto fare qui, questa sera, con voi”. L’applauso del pubblico premia la sua sincerità.

Una sorpresa segna il finale dell’incontro. Olivero riprende il microfono mostrando una seconda targa, la cui lettura affida al sindaco Chiamparino ed alla presidente Bresso.
La “targa del grazie “ è dedicata alla moglie del ministro, la quale la riceve sorridendo e precisando che lo “star dietro” a volte è anche uno “stare accanto”. Su questa nota di umanità la serata si conclude, con l’invito di Olivero - rivolto anche alle istituzioni - a continuare, per amore, a “farsi gli affari degli altri”.

Mentre lasciava l’Arsenale della Pace, è stata chiesta al ministro D’Alema una battuta sulla questione Kosovo. Proprio ieri infatti il governo italiano ha riconosciuto l’indipendenza della Repubblica del Kosovo, dichiarata il 17 febbraio scorso, e la Serbia ha richiamato dall’Italia la propria ambasciatrice per consultazioni.
“Certamente – ha risposto il ministro - siamo molto preoccupati, ho anche sentito l’ambasciata nostra a Belgrado. Credo che sia innanzitutto il governo di Belgrado a dover essere richiamato alla responsabilità di assicurare la protezione delle sedi diplomatiche. In particolare, hanno subito gravi danni l’ambasciata della Croazia e l’ambasciata USA. Anche se si può capire l’amarezza che c’è in Serbia, tuttavia vorrei ricordare all’autorità di Belgrado l’impegno assunto a prevenire atti di violenza e atti che possano inasprire una situazione che, invece, dobbiamo cercare di volgere verso la ripresa del dialogo”.
a cura della redazione


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