La vera felicità
Publié le 23-06-2018
di Cesare Falletti - Una parola lapidaria di S. Agostino (e in latino è ancora più lapidaria) dice: «Non è importante avere di più, ma aver bisogno di meno». Per la nostra società questa parola potrebbe essere non solo una provocazione, ma anche una salvezza, perché la moltiplicazione dei bisogni, aiutata da tutto il darsi da fare delle comunicazioni sociali per accrescerli e per rendere indispensabili le cose più inutili e spesso anche quelle dannose, se sembra far girare l’economia, soffoca le persone, le famiglie e le varie particelle della società umana. Soffoca soprattutto la solidarietà fra di esse e rende sempre più ristretto il margine della comunione dei beni e quindi della comunicazione vera, dell’incontro, della comprensione dovuta all’ascolto, dell’attenzione che permette di vivere-con, soffrire-con, gioire-con. Questo ci fa perdere quell’umanità che deve caratterizzare non solo i cristiani (che mai devono dimenticare che Dio si è fatto uomo vero, umanissimo, e non solo personaggio), ma anche tutto ciò che consideriamo società civile, civilizzata, davvero umana.
Secoli di riflessione, di filosofia, di lotte per i diritti umani..., e non solo di cristianesimo, anche se questo ha svolto un grande ruolo, ci hanno fatto capire che la guerra, l’odio, le rivalità che portano alla violenza, non sono cose ineluttabili e che uccidere od opprimere non è una gloria per nessuna persona umana; eppure non dobbiamo dimenticare ciò che porta ad esercitare una forza assassina, anche negli animali, è proprio il bisogno. Per gli animali il bisogno è quello di mangiare o di dominare per avere il diritto di accoppiarsi, quindi un diritto alla vita, bisogno che non si può reprimere, ma per gli umani esso si moltiplica in tante forme assolutamente inutili: il potere, l’avere sempre di più, l’affermazione della propria superiorità, se non il gusto di cercare la propria gloria nella sofferenza altrui. Per questo una educazione, soprattutto autoeducazione, alla diminuzione dei bisogni, al controllo di essi, a un giudizio critico sul nostro impulso dell’avere e del colmare ogni desiderio in modo assolutamente acritico, potrebbe essere davvero un motore risanante della società. È il ruolo dell’ascesi concepita in modo corretto. L’equilibrio fra l’avere e l’aver bisogno non dipende però dalla sola riflessione su se stessi, perché la persona umana non riflette mai chiusa in una scatola, ma, per pensare davvero, ha bisogno di avere uno sguardo circolare, che vede e tiene conto di chi la circonda, a cerchi concentrici, ma sempre più vasti ed ormai con la globalizzazione a cerchi che abbracciano il mondo intero. «Nessun uomo è un’isola» è stato detto, e soprattutto un’isola felice, perché la felicità è frutto di una comunione che esiste e che cresce sempre di più. Senza l’altro nulla è fecondo, nulla è portatore di vita e quindi nulla è sorgente di gioia e di benessere, nel vero senso della parola: stare bene.
Per questo non possiamo rimanere indifferenti all’innalzarsi di muri, a una politica o a una mentalità dell’esclusione, alla difesa di tutto ciò che distingue invece di sviluppare ciò che accomuna: razza, colore, cultura, religione e quant’altro. La felicità è offrire, donare, non accaparrare e salvare gelosamente. Le braccia, che si stringono su se stesse senza abbracciare, sono destinate alla sterilità.
Avere bisogno di meno permette anche di godere di ciò che può essere gratuito, un piacere non per forza necessario, ma che è liberamente scelto solo per la gioia che se ne può provare. Va però lasciato nel campo dell’eccezione, della scelta libera, dello straordinario, altrimenti il piacere e la gioia svaniscono soffocati dal falso bisogno del possedere.
Cesare Falletti
CUORE PURO
Rubrica di NUOVO PROGETTO