Onofrio Colucci: Scoprirsi Clown

Publié le 14-09-2011

de Simona Carrera


Artista di Martina Franca, è una figura commovente e ironica... È stato lo straordinario clown giallo dello “Slava’s Snowshow” che per anni ha incantato le platee di tutto il mondo. Adesso è una delle star dello spettacolo “O” in scena al Bellagio di Las Vegas.

di Simona Carrera

 

Quale esigenza ti ha spinto a diventare un clown? Quale strada hai seguito per diventarlo? E come influenza la tua vita?
Io non sono mai diventato clown, sono nato clown: la mia è stata più una scoperta che un'invenzione e questo lo dico davvero fuor di retorica. Quando avevo sei anni già mettevo in scena col mio amico Angelo delle storielle buffe per tutta la scuola durante l'intervallo dopo il pranzo. Mi piaceva anche fare le imitazioni, ma tutti i bambini lo fanno!
Ho studiato Architettura a Firenze dove ho anche avuto la fortuna di fare un'esperienza come assistente in un corso di Composizione Architettonica con il bravissimo Aurelio Cortesi. Spesso questo mio passato viene fuori nelle varie interviste e tra le tante domande c'è qualcuno che commenta: "... quindi hai studiato architettura anche se avresti sempre voluto fare il clown?". Io cerco di spiegare che è più vero il contrario: avrei voluto fare l'architetto, ma ho scoperto di essere nato clown. L'architettura è tuttora una passione, il clown è una necessità. Quindi, per rispondere alla domanda, più che essere stato spinto da un'esigenza specifica a diventare clown, il clown è l'esigenza stessa.
Poi c'è tutto un processo lungo, meticoloso, arduo e delicato per imparare a dare una forma visibile a questa natura, e in questo sono stato ancora una volta fortunato (ma cos'è la fortuna...!) ad incontrare delle persone davvero straordinarie: ricordo come se fosse ieri l'impatto travolgente con Anton Adassinski fondatore della compagnia Derevo a Dresda, la guida paziente di Slava Polunin, da molti considerato il migliore al mondo, le lunghe chiacchierate nei bar di Barcellona con Leo Bassi, l'incontro con il Licedei Theatre a San Pietroburgo, e adesso a Las Vegas con Leonid Leikin... che gente!
Ovviamente c'è stato un momento di svolta determinante per intraprendere
questo "viaggio" con dedizione quando, dopo una grandissima delusione, mi sono
preso un bel po' di tempo da dedicare alla lettura e alla riflessione per cercare una via d'uscita. È stato allora che ho letto “Opinioni di un Clown” del premio Nobel Heirich Böll dove il protagonista incalzato da suo fratello che gli chiedeva; "... ma insomma che razza d'uomo sei?" risponde: "Sono un clown e faccio collezione di attimi!". Sicuramente il clown influenza la mia vita nel senso che amplifica tutto quello che fa parte di me e che mi ha portato fin qui: lo spirito d'osservazione, la curiosità, l'ironia, la sensibilità per i moti dell'anima che sono propri dell'essere umano, ma che spesso vengono soppressi in maniera più o meno inconscia. Non solo il clown condiziona la mia vita, ma il mio modo di stare al mondo influenza il mio clown.

Il tuo clown, sia quello giallo dello “Snowshow” sia quello dello spettacolo “ O” che adesso interpreti a Las Vegas, cosa vuole trasmettere al pubblico? E qual è il tuo rapporto con gli spettatori?
A proposito di sensibilità voglio raccontare un episodio. Un bel po' di tempo fa una mia cara amica organizzò una festa per ritrovarci con tutti i nostri ex compagni d'università estendendo l'invito a tutta una serie di nuove conoscenze. Mi supplicò di fare qualche numero di clown davanti agli invitati. Anche se non ero convinto di estrapolare i numeri dal loro contesto e atmosfera teatrali decisi di accettare e fare due numeri dallo “Snowshow”: il melanconico addio alla stazione, e il divertente numero con il palloncino.

Alla fine mentre un folto gruppo di invitati si complimentava per la performance notai una ragazza mai vista prima che timidamente aspettava un po' più in disparte, ad un certo punto prese coraggio e facendosi largo mi raggiunse, mi abbracciò e cominciò a piangere. Non ho mai chiesto di cosa si stesse liberando con quelle lacrime, ma siamo rimasti così per un po' fino a che ne sentiva il bisogno.
A dir la verità momenti come questo si sono verificati più di una volta nei teatri in giro per il mondo, insieme a scene di grande felicità con coppie che si abbracciavano a cuor leggero e con tanto affetto dopo essersi godute lo spettacolo: sono questi momenti di grande intensità e di verità che cerco nel mio lavoro. È per questo che lo “Snowshow” sarà per sempre nel mio cuore!
Quello che recito adesso in “O” è meno poetico e forse più divertente del clown giallo. Mette più l'accento sull'ironia del clown che guarda il mondo
con lo sguardo anarchico di un bambino e che ti trascina in un mondo dove tutto è possibile... con un po' di fantasia!
Come ti ricordi il pubblico torinese? Ti sedevi in mezzo agli spettatori... e le persone non andavano più via dal Teatro Carignano…
Se fosse per quella settimana al Carignano con il pubblico in delirio e pieno di gioia il detto "torinese falso e cortese" crollerebbe in un istante e per sempre.
Mi sedevo in mezzo al pubblico per partecipare alla festa che insieme
avevamo creato e mi ricordo solo una cortesia piena di apprezzamenti sinceri
e delicati. Gli incontri, gli sguardi, le strette di mano, gli abbracci pieni di discrezione, a volte un po' timidi, e né loro né io volevamo andar più via!

E dopo Las Vegas?
Dopo Las Vegas?... Torino! Dopo anni di tournée per il mondo spero sinceramente di tornare presto in Italia… magari a Torino dove il pubblico mi ha accolto con tanto calore… Mi piacerebbe portare sui palcoscenici italiani un nuovo spettacolo “Goon!” a cui sto lavorando e che usa lo stesso tipo di linguaggio dello “Snowshow”, ma è ancora più intimo, con meno effetti speciali e più sussurri!

 

 

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