Shirin Ebadi, il coraggio di una donna

Publié le 08-08-2016

de Annamaria Gobbato

di Annamaria Gobbato - “È per amore dell’Iran e del suo popolo, delle sue potenzialità e della sua grandezza, che ho intrapreso ogni singolo passo di questo viaggio. E so che un giorno gli iraniani troveranno la loro strada per la libertà e la giustizia che meritano”. Shirin Ebadi, premio Nobel per la pace 2003, ospite d’onore al Salone del Libro di Torino, presenta il suo “Finché non saremo liberi” (Bompiani Editore). Un volume che racconta la sua storia: accusata di occuparsi troppo di casi di minori condannati a morte (in particolare, una ragazzina destinata alla forca per aver avuto rapporti sessuali prima del matrimonio), riceve a più riprese minacce di morte, fino ad essere costretta nel 2009 a scegliere l’esilio per salvaguardare la propria vita e quella dei famigliari rimasti in patria.

Anche i collaboratori vengono incarcerati e tutt’ora una giovane segretaria, madre di un bimbo ancora piccolo, è in prigione in attesa di giudizio.Nel suo intervento ha raccontato che all’età di 63 anni, un’età dove pian piano ci si prepara ad andare in pensione per essere più tranquilli, ha perso tutto quello che aveva: lavoro, tutti gli averi, uno studio legale, la sua ong, il marito, la famiglia e, più importante di tutto, la patria. Perdite che possono stroncare una persona o mandarla fuori di testa. Dopo giorni terribili, ha reagito: “Mi sono detta: sei ancora viva, quindi rialzati e ricomincia tutto dall’inizio”.

Così, il primo scopo del libro è trasmettere il messaggio che non bisogna permettere ai fallimenti di vincere. Il secondo è raccontare come si comporta il regime con il popolo. Pur non appartenendo ad alcun partito, pur non avendo ambizioni politiche, pur avendo vinto il premio Nobel, è stata trattata come i tanti giovani giornalisti, gli appartenenti alla religione baha’i, gli studenti che protestano unicamente contro il caro vita che sono finiti in carcere. “Non bisogna farsi ingannare dal sorriso del premier iraniano che recentemente è stato ricevuto in Italia. Lui sorride agli europei, ma fa vedere il coltello agli iraniani...”.

In Iran ogni donna deve coprirsi e deve portare il velo, altrimenti commette un reato, “se io per esempio in Iran esco da casa mia così come sono vestita qui, vengo arrestata”. “Io sono contro il regime che costringe le donne a coprirsi. E infatti io protesto anche contro i politici occidentali che per ottenere i contratti accettano di pagare questo prezzo”.

Shirin Ebadi è convinta che il mondo è tutto un Paese, nessuno può pensare al proprio angolino e basta. È proprio nell’interesse europeo scegliere di non lavorare con i regimi. L’enorme flusso di migranti può essere sia una possibilità economica positiva per l’Europa che una minaccia. Istruzione, lavoro, dignità di vita possono essere una buona opportunità. Invece se “sono ignorati, umiliati, emarginati, se non vengono offerte loro opportunità, nei prossimi anni ci si troverà in un serio problema”. Partendo dal fatto che la maggior parte di questi migranti vengono dalla Siria, dall’Iraq, dalla Libia, dall’Afghanistan, il premio Nobel ha evidenziato che in Medio Oriente “esistono Paesi arabi molto ricchi come il Qatar, gli Emirati, il Kuwait, che non hanno accettato di ospitare neanche uno di questi profughi e non hanno pagato nemmeno un dollaro per aiutarli e hanno addossato l’accoglienza e tutto il peso della responsabilità all’Europa. Bisogna chiedere loro come mai si sono tirati fuori, non si sono coinvolti in questo problema”.

Si dice che molti profughi appartenenti al mondo islamico siano terroristi o futuri terroristi. “Purtroppo – continua Ebadi – è vero che nel mondo islamico molti prevaricano gli altri in nome della religione. Nel Medio Evo il nome di Dio è stato sempre sfruttato in Europa e adesso anche nel mondo islamico. È arrivato il momento di liberare Dio da questi abusi”.

Per capire meglio questo discorso, dice ancora, è opportuno fare un passo indietro. Il terrorismo islamico è iniziato quando l’Unione Sovietica ha occupato l’Afghanistan e per combattere contro i sovietici sono stati creati i talebani dall’Arabia Saudita, dal Pakistan con i soldi degli Stati Uniti. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica è chiaro che questo gruppo violento non interessava più gli Stati Uniti e in Afghanistan sono cominciati i problemi con i talebani. E poi è arrivato l’11 settembre e da allora i terroristi13NP giugno luglio 2016islamici continuano ad ammazzare. Adesso una coalizione di più di 40 Paesi ogni giorno bombarda il Daesh. Ma non lo hanno indebolito. Una conseguenza è il flusso enorme di immigrati che si riversano sulle coste europee. “Sulla testa di Daesh invece di bombe bisogna scaricare libri. Daesh è una ideologia sbagliata. Una ideologia errata va combattuta con una giusta ideologia. Uccidere soltanto non risolve niente. Non si devono ripetete esperienze che sono fallite”.

Qualunque cambiamento qualunque Paese deve cominciare dall’interno, continua Ebadi, non dall’esterno. Chi vuol aiutare il popolo iraniano che chiede libertà non deve sostenere i dittatori. Questa non è ingerenza nei problemi interni di un Paese. Bisogna sostenere la società civile di un Paese in modo che quando viene tolto il dittatore non ci siano disordini, non ci sia un vuoto di potere. La società civile sia in Egitto che in Libia era debole, però in Tunisia, dove la società civile era più forte, si è riusciti ad arrivare ad una situazione sociale più tranquilla. “La società civile iraniana è molto forte. Il regime cerca di combattere in tutti i modi la società civile iraniana che continua caparbiamente e nascostamente a fare il proprio compito”. Tante femministe si trovano adesso in carcere in Iran. Però le donne iraniane sono molto attive e si fanno sentire anche da dietro le sbarre. Una di queste persone, reclusa da 1 anno e mezzo in seguito a una condanna a 6 anni, dal carcere ha dato inizio a una campagna per le mamme”. Una delle richieste di questa campagna è che le madri in carcere possano avere un contatto telefonico giornaliero con i propri figli. Un esempio per essere ottimisti sul futuro dell’Iran.

Per fortuna internet ha facilitato molto questo lavoro nonostante il controllo e gli ostacoli posti dal regime, ma – Ebadi lancia l’appello finale – “i giovani occidentali tramite internet possono essere un grande aiuto nel cercare di far arrivare al mondo la voce dei giovani iraniani”.



NUOVO PROGETTO



Foto: RAMELLA/SYNC

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