Unghie verdi e labbra viola

Publié le 14-09-2011

de Aldo Maria Valli


In micro-ambienti come lo scompartimento di un treno o in ambienti macro come la grande città, coesistono civiltà e inciviltà…

di Aldo Maria Valli

 

Sto viaggiando sul treno che dalla periferia porta al centro della città in cui vivo. È il primo pomeriggio, nelle scuole l’orario di lezione è terminato da poco e i vagoni sono pieni di studenti. Il chiasso è insopportabile. Ragazzi e ragazze, anche se si trovano a pochi centimetri gli uni dagli altri, usano un tono di voce altissimo. Evidentemente abituati alle discoteche, o forse a causa delle cuffie degli apparecchi musicali portatili, o forse perché in casa vivono con la tv accesa, si esprimono gridando, come se dovessero non coabitare con altre voci e altri suoni ma sovrastarli a colpi di decibel.
Hanno dai quattordici ai diciotto anni, sono studenti delle superiori, non bambini della scuola materna o elementare, eppure sembrano incapaci di autodisciplina. Schiamazzano, si agitano, berciano, si lanciano richiami e battute che vorrebbero essere scherzose ma sono solo volgari.

Incuranti di chi non fa parte del branco, si sentono padroni dello spazio e lo occupano con brutale invadenza. Credo che l’idea di rispetto non li sfiori neppure. Anzi, si compiacciono di se stessi.

Esteticamente non saprei come definirli: l’adolescenza, si sa, è età ingrata. L’acne imperversa senza pietà su volti per lo più inespressivi. Ma loro sembrano fare di tutto per peggiorare la situazione. Alcuni maschi portano occhiali da sole incongruenti rispetto alla stagione, larghi pantaloni che sembrano dover crollare a terra da un momento all’altro e ispidi maglioni bisognosi di un buon ammollo.

Le ragazze, che teoricamente dovrebbero rappresentare la metà più gentile di questo confuso universo, masticano sguaiatamente gomma americana, sfoggiano pettinature improbabili, trucchi troppo pesanti, labbra viola, unghie verdi, qualche piercing e ombelichi in vista a dispetto di pance poco meritevoli di ostentazione.

Tutti, maschi cenciosi e femmine ruminanti, hanno le mani impegnate: le dita non riescono a staccarsi dai telefonini martellati freneticamente. Non so se lo scambio di messaggini continuerà per tutta la giornata, ma qui è l’attività prevalente. Nessuno ha in mano un libro o un giornale. Cresciuti a forza di veline, grandi fratelli e isole dei famosi, hanno le stesse movenze, gli stessi tic, lo stesso modo di esprimersi dei poveri esemplari umani che riempiono il piccolo schermo.

Le uniche non impegnate nello schiamazzo e nello scambio di sms sono le coppie che si baciano. Lo fanno senza remore e senza delicatezza, direi in modo aggressivo. Le ragazze stanno sulle ginocchia dei ragazzi. Sembra una gara di resistenza: le bocche non si staccano mai. Mi sento un guardone ma per non vedere dovrei stare a occhi chiusi. Gli altri ostentano indifferenza.

Ora salgo su un altro treno. O meglio, il treno è lo stesso, però cambia il giorno. E cambiano, eccome, i viaggiatori. È venerdì mattina, il giorno della preghiera comunitaria per i musulmani, e sul treno sembra di essere in una città araba.
I pochi italiani sono circondati da uomini e donne diretti alla moschea. Quasi tutti hanno la pelle scura, ma con gradazioni molto diverse, così come i tratti somatici sono differenti.

Predominano gli abiti tradizionali: per gli uomini lunghe tuniche, per le donne anche veli che coprono i capelli e in qualche raro caso il volto. Tante sono le mamme con bambini e noto subito che questi ultimi sono educatissimi. Molti fra gli uomini tengono in mano rosari di legno, mentre le dita scorrono sui grani le bocche si muovono impercettibilmente. Le età e le provenienze sono le più varie. Ci sono marocchini, tunisini, egiziani, ma anche senegalesi, nigeriani, mediorientali. Chi non prega conversa a bassa voce. Le vesti tradizionali donano a tutti un’eleganza sobria e naturale, gli uomini acquistano un senso di tranquilla autorevolezza, molte donne, nonostante i pochi centimetri di pelle scoperti (o forse proprio per quello) emanano un fascino speciale.

Non voglio cadere nella banalità della generalizzazione, so bene che non tutti i nostri giovani sono come quelli che ho avuto la sfortuna di incontrare e che non tutti i seguaci di Maometto sono persone educate e gentili, eppure sarei lieto se i profeti dello scontro di civiltà e i teorici della nostra presunta superiorità rispetto al mondo islamico salissero su quel treno e facessero la mia stessa esperienza. Avrebbero davvero tanto da imparare. Sia sulla devastazione sociale e morale operata alle nostre latitudini dalla miscela di permissivismo e consumismo, sia dall’esempio degli altri, gli stranieri, quelli che arrivano da culture lontane. E che molti di noi continuano a considerare inferiori se non proprio selvaggi.

Aldo Maria Valli

 

Commento Redazionale

Oggi viviamo in mezzo a contraddizioni sconosciute in un passato neanche tanto lontano: sia in micro-ambienti come lo scompartimento di un treno sia in ambienti macro come la grande città, coesistono civiltà e inciviltà, comportamenti ed atti civili ed incivili, tutti socialmente accettati (o sopportati, il che è la stessa cosa) come prassi comune.

C’è chi vive “sovraesposto” (gli adolescenti dell’articolo, indifferenti a tutto/i al di fuori di se stessi - sarà poi tutta vera, questa indifferenza? - e chi, inevitabilmente, rimane nell’ombra, come lo straniero dai toni pacati, che riserva nel privato sentimenti e pensieri - e anche questo non sempre è positivo.

I nostri padri godevano ancora di paletti indicatori che delimitavano frontiere oltre le quali non si poteva andare, a meno di rischiare di non essere più accettati, né dall’altro sesso, né dalla società in generale. Assoggettarvisi implicava al contrario crescita personale e comunitaria; in questo modo, tra errori e successi, attraverso millenni il cavernicolo è arrivato su Titano. Ora no, si accetta - o si sopporta, il che è uguale - qualunque atteggiamento, civile o incivile che sia.

E il dover adeguarsi ad una situazione di fatto cui non si è stati preparati dalla propria cultura ed educazione, comporta sempre una piccola rivolta che va compresa, rispettata e che chiede comunque delle risposte. Ognuno è chiamato a chiedersi, in nome di una convivenza per tutti migliore, se le proprie parole, i propri gesti possono urtare qualcuno, e in un certo senso farlo sentire escluso, emarginato. Ciascuno è chiamato a prendere posizione, senza facili giustificazioni del tipo “sopporto tutto, anche quello che non mi piace, perché ognuno è libero di esprimersi come vuole, magari viene da un’altra civiltà dove i valori sono diversi dai miei, ecc…”

È vero che in una società multietnica i parametri di civiltà ed inciviltà possono essere diversi, ma crediamo che il rispetto di ognuno verso ciascuno rimanga la regola aurea per tutti.

Prima di tutto perché nessuno di noi è un’isola, ma viviamo tutti sulla stessa terra, sempre più vicini l’uno all’altro, sempre più gomito a gomito. E se io devio dal solco di terreno che intuito ed esperienza mi suggeriscono essere mio finisco per invadere e diminuire in qualche misura quello del vicino, il campo che doveva dare pane (convivenza armoniosa di tutti con tutti) è diventato un campo di battaglia. Il risultato è che a tutti, anche ai ricchi, manca l’unica cosa indispensabile per la vita sulla terra: l’aria. Intesa non come atmosfera, ma quella la cui mancanza ti fa uscire in fretta, sbattendo la porta, da un luogo qualunque, disgustato per quel che ci si é trovato dentro. E se dentro ci siamo anche noi?

 

 

Ce site utilise des cookies. Si tu continues ta navigation tu consens à leur utilisation. Clique ici pour plus de détails

Ok