Andrea Franzoso all'Università del Dialogo
Publié le 10-04-2019
C'é chi dice no
L’onestà come scelta di vita, il coraggio di pagare di persona, di dire no alla corruzione. La storia di Andrea Franzoso parte da qui: ex funzionario di Ferrovie Nord Milano, nel 2015 denunciò le spese pazze per oltre 400mila euro dell'allora presidente della società, poi condannato. Per quella scelta, Franzoso fu isolato nello stesso ambiente di lavoro e quando gli proposero la risoluzione del contratto se ne andò. Il suo caso ha ispirato la legge sui whistleblower che oggi tutela le persone che hanno il coraggio di denunciare. Andrea ha parlato della sua esperienza nell'ultimo appuntamento della sessione 2018-2019 dell’Università del Dialogo del Sermig, in un confronto a tutto campo con giovani e adulti sul tema “C’è chi dice no”, partendo dal libro “#Disobbediente! Essere onesti è la vera rivoluzione”. Ecco alcuni spunti del dialogo con i giovani:
Prima di entrare in FerrovieNord, ero ufficiale dei carabinieri, poi sono stato quattro anni con i gesuiti perché pensavo di avere una vocazione religiosa. FerrovieNord è stata l’occasione per rientrare nel mondo del lavoro.
Alla FerrovieNord ho scoperto che il mio capo stava rubando i soldi dell’azienda alla luce del sole. Tutto era conosciuto, tutti i dipendenti dell’ufficio sapevano e coprivano gli ammanchi. Io ho voluto approfondire e ho scoperto che la realtà superava la fantasia... Un esempio: il figlio ha accumulato oltre 180mila euro di multe, pagate da FerrovieNord. Nel gennaio di quest'anno è arrivata la sentenza definitiva per cui il vecchio presidente ha dovuto restituire oltre 500mila euro.
Con un collega ho presentato un report al collegio sindacale evidenziando le spese pazze. La risposta è stata surreale: lascia stare. Il presidente del collegio sindacale mi ha suggerito di usare le informazioni per ricattare il presidente per avanzare di carriera. Quando ho rifiutato mi hanno preso per pazzo. Mi hanno invitato a cambiare le carte, mi hanno accusato di denigrare l’azienda. Allora sono andato dai carabinieri. Loro hanno preso tempo, volevano che facessi una denuncia anonima. Io non ho accettato perché mi sembrava di tradire me stesso.
La mia famiglia ha saputo della mia denuncia quando ha visto i telegiornali che parlavano dell’indagine. Ho sempre mantenuto il silenzio richiestomi dai carabinieri. I miei genitori si sono arrabbiati solo perché temevano per la mia sicurezza, non per la mia scelta. Mio padre mi ferì quando mi disse che si rammaricava dell’educazione all’onestà che mi aveva dato... Ora però è orgoglioso di me.
La prima reazione dei miei colleghi fu entusiasta, venni accolto come un liberatore. Tra le prime che mi hanno accolto entusiasticamente, la segretaria del presidente. Ero allibito…. Perché non lo aveva fatto lei prima? Con il nuovo presidente, le cose cambiarono. Molta freddezza, molta indifferenza. Alcuni mi manifestavano sostegno, ma segretamente. Questo mi faceva male. Sono diventato invisibile, non mi davano nulla da fare. Chiedevo lavoro, mi dicevano che era in corso una riorganizzazione interna. Tra i colleghi ho trovato tanto opportunismo più che paura. Mi hanno trasferito in un altro ufficio senza darmi da fare nulla. Alla fine, mi hanno invitato ad andarmene. Mi sono trovato così disoccupato. Per un anno non ho avuto colloqui di lavoro. La coscienza evidentemente fa paura!
Ho vissuto l’anno di disoccupazione con fatica. Io ero a casa, gli altri, che sapevano e non avevano parlato, lavoravano avanzando di carriera. Mi veniva voglia di lasciare tutto, cambiare lavoro. Però sono sempre stato pieno di interessi e di amici che mi hanno aiutato a trovare un senso. Non mi sono mai chiesto “chi me la fatto fare?” perché è sempre meglio perdere il lavoro che se stessi. Lo dico ai giovani: volete una vita mediocre o una vita bella? Ma la vita bella ha un costo: purtroppo, non avere un prezzo, ha un prezzo.
La nostra coscienza è la nostra vocazione, è quello che siamo chiamati ad essere. Nel silenzio di noi stessi, sentiamo una voce che sa distinguere la vita dalla morte, che ci aiuta a capire che cosa ci fa vivere e che cosa ci fa morire.
Non voglio parlare di mancanza di etica pubblica, però c’è un senso di impunità dovuto ad un sistema di “buone relazioni”. A certi livelli si conoscono tutti: questo è il vero problema. Per esempio: il mio ex presidente invitava i magistrati a pranzo pagando lui, dava soldi ad un ente benefico diretto da un altro giudice. Poi c’è tutto il capitolo dei regali per comprare gli altri: per persone come il mio ex presidente, gli altri sono oggetti da comprare con altri oggetti e manovrare.
In un Paese come il nostro passo da eroe, ma io voglio essere una persona normale e perbene. Se la mia storia fa notizia significa che il Paese è malato, ha la febbre perché ciò che non è normale viene considerato come tale.
La mia storia ha permesso la nascita di una legge specifica; una legge fa cultura, può cambiare qualcosa ma non tutto. Nessuna legge può cambiare i silenzi, le maldicenze o i comportamenti escludenti. Bisogna partire dall’educazione, per questo punto molto sulle scuole. In particolare, con la primaria e la secondaria di primo grado. Molti dicono che sono troppo piccoli, non è vero …. capiscono tutto! Un bimbo ha disegnato gli omertosi come uomini di nebbia, come se fossero indifferenti. Nelle superiori è già in atto il disincanto. All’università, dopo un incontro con studenti di un master, non mi hanno fatto nessuna domanda... Questo fa pensare.
Però esistono segnali di risveglio, sono cresciute le denuncie. Io stesso sono stato messo nel Consiglio di amministrazione di FerrovieNord da Trenitalia. Non deve passare il messaggio che fare il bene non paga, essere malati di immobilismo, non credere ai cambiamenti: il bene esiste, però bisogna fare comunità, vincere la timidezza. I buoni, se rimangono soli, soccombono al sistema. I grandi no partono dai piccoli no: parlando nelle scuole, dico ai ragazzi che devono metterci la faccia cominciando a denunciare gli episodi di bullismo.
Da questa esperienza ho imparato a fidarmi del cuore. La mia scelta di denunciare è stata una scelta che non mi ha scisso, che ha mantenuto la mia integrità. Non ha vinto la paura di perdere quello che avevo, in realtà ho guadagnato moltissimo in termini di lavoro e amicizia. In particolare, i veri amici si sono rivelati veramente tali perché in quei momenti stavano con me anche se non avevo niente da offrire loro.
La pace è coraggio. Coraggio significa avere cuore. Chi non ha cuore, non può costruire la pace. È cercare la verità insieme. La pace è cultura, la guerra è ignoranza.
Foto: R.Bussio