PADRE NOSTRO/1: Perché ''Padre''?
Publié le 25-01-2021
La prima reazione all’ascolto del Padre Nostro è sempre una grande gratitudine a Gesù, perché ci ha fatto lo splendido dono di poterci mettere con Dio nel giusto rapporto. Gesù regalandoci questa preghiera ci accompagna a suo Padre, ad un rapporto di figliolanza, di famiglia con Dio. Abbiamo quindi pensato di ‘iscriverci’ alla scuola di Gesù riflettendo su questa preghiera che Egli ci ha insegnata.
Dio è troppo grande per l’uomo, che ha soltanto il piccolo orizzonte di ciò che riesce a conoscere. L’uomo si sente guardato da Dio, intuisce questa enigmatica presenza, cerca anche di darle un volto e un nome, ma se ne sente sovrastato. Tanti uomini che hanno cercato di avvicinarsi a Dio sono poi giunti a quella che forse è la conclusione più adatta a intimidirci: Dio non è soltanto troppo grande, potente, intelligente, Dio è troppo santo per noi. Il confronto con Dio ci spaurisce, ci induce non tanto ad avvicinarci a lui, quanto a fuggire da Lui. Egli è troppo santo per l’uomo.
Sono percezioni che portiamo nella coscienza anche noi cristiani che recitiamo e cerchiamo di vivere il Padre Nostro; è la reazione naturale dello spirito umano quando si affaccia alla grandezza di Dio. Questo tipo di reazione non è incoraggiante e crea nell’uomo un conflitto: per un lato vuole trovare Dio e per l’altro lato lo percepisce troppo per lui. Il Salmo 8 dice tutto ciò con poche parole ispirate: “Che cosa è l’uomo perché Tu te ne ricordi, il figlio dell’uomo perché Tu te ne curi?”. strong>Ai tempi di Gesù la religione ufficiale degli ebrei, che pure era molto illuminata rispetto alle espressioni religiose di quei tempi, era fondata su queste intuizioni di Dio. In realtà la Parola aveva già detto che Dio si china su di te e ti solleva alla sua guancia perché ha la tenerezza di un padre verso un piccolo bimbo, ma altre intuizioni avevano confuso questa chiarezza, cosicché Israele, non credendo in un Dio capace di chinarsi verso l’uomo, viveva una religiosità molto distante e paurosa. Anche noi possiamo ancora essere dentro un rapporto con Dio che esclude la parità: prostrarsi, elevarsi, propiziarsi, supplicare esclude di guardarlo in faccia alla pari e ci impone di organizzarci verso Dio in qualche maniera.
Gesù è venuto a rovesciare il modo degli uomini di rapportarsi con Dio. Ha proposto una grande novità: voi con Dio non avrete un rapporto cultuale, intellettuale, servile, avrete un altro rapporto. Questo ha profondamente scandalizzato i suoi contemporanei, basti ricordare i suoi atteggiamenti incredibili riguardo il sabato, le sue violazioni della legge, che non fece per spirito di contestazione, ma per scrollare questa struttura che era senza vita.
Non incontrerete Dio nel vostro culto, lo incontrerete nel vostro cuore. Il cristianesimo conserva un poderoso culto, ma è un’altra dinamica, perché nasce dall’amore profondo. Dio non aspetta né i miei gesti né le mie parole se li faccio meccanicamente e con l’illusione di dargli quel pezzetto di me. Egli aspetta il mio cuore. Non incontrerete Dio con la vostra intelligenza, che gli dà dei nomi, lo definisce e lo descrive, lo incontrerete con la vostra piccolezza che si abbandona alla sua grandezza: “Se non sarete come bambini, non entrerete nel regno della verità”, non saprete mai nulla. È terribile questa affermazione di Dio agli uomini, anche se è straordinariamente consolante.
Gesù ci dice che con Dio siamo in un rapporto di familiarità totale. E perché non confondessimo le cose o le diminuissimo, ci ha anche detto che era il Figlio di questo Dio e che noi siamo figli come Lui. Solo se ci poniamo con Dio in un rapporto di familiarità totale riusciamo ad entrare nel suo cuore e la nostra religione volerà in alto. Se si vuol capire il cristianesimo e pertanto la preghiera, occorre entrare in questa mentalità di famiglia con Dio. Se non si coglie che prima della preghiera c’è l’atmosfera familiare con Dio, non si è colto nulla: potremmo estenuarci nella preghiera, trascorrere ore e ore e fare tutto ciò che una complessa preghiera ci suggerisce, ma se non siamo entrati nell’atmosfera familiare abbiamo fatto una cosa diversa da quella che Gesù ci ha insegnata. Bisogna riflettere su questa verità, che non è quella con la quale abbiamo incominciato ad essere cristiani. Abbiamo anche noi incominciato col culto, cioè recitando il Padre Nostro e altre preghiere, e fatto quel che potevamo; però crescendo avremmo dovuto acquisire a poco a poco il senso esatto della situazione: perché ti dico Padre e non un’altra cosa? Ci sarà ben una ragione! Se non rispondiamo a questa domanda, non ha senso dire quel nome; dobbiamo essere adulti nella nostra consapevolezza, sapere esattamente cosa diciamo e perché lo diciamo.
Ecco lo sforzo di Gesù: creare atmosfera di casa, sentirsi insieme a condividere la vita. Le parole vengono dopo, come espressione naturale di un’atmosfera di famiglia. Non abbiamo inventato il nome papà o mamma, sono stati intuitivi; non solo, il nostro tono e il nostro modo di parlare, se eravamo in un ambiente veramente famigliare che ci dava la vita dell’affetto, era sempre un tono di famiglia, anche se non dicevamo tutti i momenti papà e mamma. È il rapporto affettivo che crea il discorso, non il rovescio: potremmo ripetere infinite volte Padre Nostro, ma se non c’è l’atmosfera non ci avvicineremo al Dio di cui ripetiamo il nome. Familiarità vuol dire che io e te abbiamo la stessa natura, condividiamo addirittura la nostra vita organica, fratelli e sorelle siamo nati dallo stesso grembo. È fortissimo questo legame, infatti siamo tutti nati nel grembo di Dio creatore. Padre è un nome tremendamente intimo: la nostra natura – creatore e creatura – è vicinissima, tutto ciò che io ho e sono è tuo, me lo doni. È una cosa straordinaria sulla quale occorre riflettere perché spesso siamo estranei a queste idee, le tocchiamo solo molto in superficie. Sei dunque connaturale. Pietro dirà con molta eloquenza: “partecipe della natura di Dio”.
Condivido la natura di Dio in un clima di affetto. Esiste un altro modo per esprimere la familiarità? No, esistono molte maniere di convivenza, di vicinanza, di cameratismo, ma la familiarità non esiste senza affetto. Dio mi ama già da sempre. Nella famiglia si sta quando si è buoni o cattivi, perché la famiglia è oltre, la famiglia rimane. Il rapporto che il Padre stabilisce con me è al di là di tutto quel che io sono e faccio di non bene, non perché egli sia un indifferente, ma perché è un padre. L’affetto mi lega a Dio prima di tutto e durante tutto: mentre pecchi Dio ti ama, ti rimpiange ma ti ama, non ti dirà mai “non ti guardo più”; mentre ti allontani da Lui egli corre già davanti a te e aspetta il tempo in cui vi incontrerete di nuovo. Questo vuol dire atmosfera di famiglia, per cui tutta la mia esistenza è presa in questo rapporto. Si capisce allora cosa significa che prima c’è questo e poi c’è la preghiera; si capisce perché Gesù incominci la preghiera che ci ha insegnata con questa piccola forma di familiarità: “Padre”. Tutto è qui.
Hai la misura della tua familiarità con Dio da come hai conquistato il nome “Padre” e da come questo nome ha conquistato te. Ti basterebbe questo nome, e di Dio ne sapresti abbastanza, perché poi qualunque cosa Dio faccia e disponga, tu continui a sapere familiarmente che Egli è tuo padre, e ne sai abbastanza.
Il “Padre” continua ad essere il Dio potente, grande, santo, ma che differenza! Non è più un Dio che è troppo, perché quel Dio è mio padre. Rimane il Dio grande, non lo ho abbassato alla mia altezza. Questo nome misterioso, simbolico, realissimo mi mette nel rapporto ottimale con Lui, non potrei avere con Dio un rapporto più autentico, più vero, più consolante per me: posso dirgli Padre ed egli accetta, anche quando non mi sentirei degno di pronunciarlo. Ricordiamo la parabola del figlio che torna: non va più a chiedere al padre di tornare ad essergli figlio, gli chiede di diventare suo servo. Ecco la mentalità della paura che torna: non può papà accettarmi. Ma il padre con il cuore gli corre incontro, aspettava solo quel ritorno; lui, il padre, non ha dimenticato l’atmosfera di famiglia.
L’atmosfera di totale familiarità con Dio fa sì che la preghiera diventi bellissima, perché colloquio del Padre col figlio, del figlio che ritrova la parola. Quando pensate Dio nella vostra fede come padre e ci credete, gli potete dire molto semplicemente papà, abbà, e avete pregato nella maniera migliore, avete espresso l’atmosfera del vostro rapporto con Lui. Poi, se non vi sentite all’altezza, potete benissimo dire “papà, oggi non sono stato buono”. Perché non lo si potrebbe dire? Dicendolo avete iniziato il dialogo esattamente come Gesù vi ha insegnato di fare.
Il “Padre Nostro” è una preghiera assolutamente senza pari. Domandiamoci: “Padre, come ti tratto? Tra me e te che atmosfera c’è?” E se sentiamo che in noi c’è un po’ di questa apertura serena e incoraggiante, perché è al di là delle nostre omissioni e dei nostri peccati, sentendoci prima di tutto figli e quindi avvolti dall’affetto del padre, allarghiamo il cuore! Siamo nella verità. Qualunque cosa poi diciamo è preghiera. La vita, i fatti, i commenti alla vita, la gioia, i ringraziamenti, tutto quello che fa discorso nella vita, se lo viviamo in questa atmosfera, esattamente come faceva Gesù, è orazione. La preghiera del “Padre Nostro” non finisce con “Padre”, ma non fa altro che sviluppare con tenerezza questo sguardo a Dio. È come quando si guarda una persona e si sente il bisogno di dirle qualcosa di bello perché le si vuole bene. È così che parliamo al Padre, poi gli presenteremo quello che siamo, e Lui sa che abbiamo bisogno di tutto e lo sa prima di noi. Ma non sono queste informazioni che Lui si aspetta, aspetta un legame gratuito e continuo. Ogni sera, prima di riposarci della giornata, potremo dare uno sguardo a questo Padre e verificare se il nostro sguardo è più vero, è più affettuoso. Quand’anche non dicessimo alcuna formula e avessimo questo sguardo puro e limpido, avremmo già fatto una grande preghiera.
La sorte del futuro dipende dalla potenzialità e dalla virtualità che il nome “Padre” nasconde, non appena avremo ricominciato a dirlo come merita di essere detto.
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