Una nuova società

Publié le 15-02-2012

de dom Luciano Mendes de Almeida

Non si sviluppa per miracolo, per un gesto di magia, ma viene dallo sforzo sempre più grande di collaborazione fra le persone. Si inizia con atti che possono a volte sembrare piccoli, ma sono semi di vita, come la ‘restituzione’.

 

Quando la povertà è grande perché domina l'ingiustizia, allora la soluzione sta nella trasformazione strutturale della società, con la partecipazione più ampia del popolo. È chiaro che desideriamo che tutto ciò avvenga, e non vogliamo neanche per un momento ritardare questa costruzione. Ma occorre considerare che il desiderio di veder sorgere una nuova società fa sì che si debba già iniziare a creare la condizione e a promuovere situazioni che siano segno e inizio di questa nuova società.
Imparando ad essere fratelli vogliamo vivere quella società di perdono, amore, speranza e pace che il Signore ha voluto insegnarci a scoprire.

Suora orsolina in una classe di bambiniQuesta nuova società comporta un cambiamento delle strutture sociali. Se pensiamo al terzo mondo, dobbiamo impegnarci alla costruzione della dignità per ogni persona, di modo che ci sia il lavoro, il salario, la casa, le condizioni di salute, l'educazione, la pace. Se pensiamo alle nazioni che vivono sotto un regime, vogliamo insistere sul diritto che hanno d'esercitare le libertà, e per prima la libertà religiosa. Se pensiamo alle nazioni cariche di armi, preparare una società nuova significa insegnare loro il dialogo per la pace e insistere nel disarmo. Se pensiamo alle popolazioni che vivono il pluralismo di confessione religiosa, come è il caso del Libano, la nuova società è fatta di rispetto, è fatta di capacità di dialogo e di scambio di valori.
La preparazione alla nuova società, secondo la situazione in cui viviamo, esige da parte nostra tutto uno sforzo di avvicinamento, di riconciliazione e convivenza fatta di rispetto verso gli altri e di amore alla vita, alla pace e alla giustizia.

Giovani che 'restituiscono' il loro tempo presso il SermigBisogna però mettere in gioco se stessi. La ‘restituzione’ – come nel Sermig si definisce il proprio coinvolgimento per costruire una società nuova – diventa una vera rivoluzione, innanzitutto culturale. Ci insegna a lavorare con amore, desiderosi di fare del bene, senza cercare benefici personali, spontaneamente, con un atteggiamento di gratuità ispirato dal Vangelo di Gesù che ci insegna a fare duemila passi con chi ne chiede mille.

Poi un secondo aspetto: non cercare vantaggi personali, ma offrire agli altri quello che abbiamo. Le qualità sono messe a disposizione delle necessità degli altri, il tempo, le competenze professionali, insomma quello che il Signore ci ha dato è considerato come una ricchezza da distribuire a chi ne ha bisogno. Così pure i beni materiali. La restituzione apre il cuore ad una profonda gratitudine verso il Signore. Lui, nella sua infinita gratuità, ci dà tutto quello che siamo e abbiamo. Noi vogliamo rispondergli con la nostra gratitudine e con un gesto di gratuità verso gli altri.

Madonna della Cappella dell'Arsenale della Pace di TorinoIl cuore puro, semplice e generoso si fa sorgente di gioia spirituale e di gioia interiore. In questo gesto e in questo spirito leggo la gioia di tanti uomini e donne, di tanti ragazzi e ragazze che, donando ciò che hanno e donando se stessi, trovano il senso del loro vivere.
La restituzione è diventata una caratteristica del ‘sì’ del Sermig; una imitazione molto bella del ‘sì’ di Gesù, che si è donato tutto a noi, e del ‘sì’ di Maria, come risposta di amore a chi l’ha fatta piena di grazia.

 

dom Luciano Mendes de Almeida
da Nuovo Progetto giugno/luglio 2007


 

 

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