Casa Betania

Publié le 30-05-2019

de Francesca Fabi

di Francesca Fabi - Giuseppe Dolfini e Silvia Terranera, di recente nominati Commendatori dell’Ordine al Merito della Repubblica, sono i fondatori di Casa Betania che dal 1993 nel quartiere Pineta Sacchetti di Roma accoglie mamme con figli, bambini soli da zero a otto anni, e anche piccoli con disabilità. A Casa Betania poi si sono aggiunte Casa Chala, la Piccola Casa del Sole e la Casa sull’Albero: operatori e volontari offrono a piccoli e grandi un tempo di vita familiare in attesa di una sistemazione più definitiva.

«Generalmente quando si parla con gli operatori dei servizi sociali – raccontano sul sito – sentiamo parlare di “minori non accompagnati” o di “ragazze madri” e così anche in altri contesti. Queste espressioni non ci sono mai sembrate adeguate: abbiamo l’impressione che così esprimendoci possiamo perdere di vista l’identità della persona per farne una categoria.

Noi abbiamo cominciato a segnare il nome dei bambini e delle mamme passati nella nostra casa: con tutti abbiamo condiviso un pezzetto di strada, e cercato una parola che fosse espressione di quel legame: è la Parola del Signore che ci raggiunge attraverso la voce di chi soffre, di chi è solo, di chi non è amato. Alcuni bambini e alcune mamme con le loro fatiche, le loro conquiste ci hanno reso più ricchi. Abbiamo conosciuto cos’è la fortezza, cosa vuol dire avere voglia di vivere, cosa significa sentirsi ed essere fragili. La caparbietà, la mitezza, la sfida, l’orgoglio, la dignità, l’appartenere alla propria terra. L’avere un figlio senza aver mai provato la gioia di essere figlia.

L’avere fede, pensarla forte e sentirsi fragile. Sapere di avere una strada in salita e decidere di percorrerla. Altre mamme ci hanno aiutato a capire il limite del nostro intervento: la realtà della nostra casa è cosa piccola, non si può arrivare sempre dove vorremmo… Non è sempre possibile capire. È difficile fidarsi di chi non si conosce, la paura è tanta. Ed ancora, abbiamo conosciuto di noi degli aspetti che non conoscevamo, la nostra intolleranza, il nostro fastidio.

Ecco allora che il senso di questi incontri sta nella nostra capacità di lasciarci convertire; la scoperta delle nostre povertà ci consente di entrare in dialogo, in un rapporto che è di tipo paritario. La Voce dell’altro che soffre ci porta la Parola che sola ci può rivelare la nostra povertà, la pochezza delle nostre persone e la necessità di essere salvati».

Francesca Fabi
ITALIE
Rubrica di NUOVO PROGETTO

 

 

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