C’è un albero per ogni uomo che ha scelto il bene

Publié le 22-06-2016

de Annamaria Gobbato

di Annamaria Gobbato - A 101 anni dal genocidio armeno abbiamo chiesto una riflessione a Pietro Kuciukian, cofondatore di “Gariwo, la foresta dei giusti”.

Il Giardino dei Giusti del Monte Stella a Milano è uno spazio speciale per i giovani studenti delle scuole di ogni ordine e grado, che giungono sempre più numerosi a visitarlo.
Cippi di granito e alberi ricordano le scelte coraggiose di chi ha detto “no” al male, di chi ha salvato, soccorso, difeso le vittime di tutti i genocidi e i totalitarismi, di chi ha testimoniato la verità contro le menzogne del potere e ogni forma di negazionismo.
Io armeno e Gabriele Nissim ebreo, fondando nel 2001 il comitato Gariwo, la foresta dei giusti, di cui Nissim è presidente, universalizzando il concetto di Giusto delle Nazioni dello Yad Vashem, abbiamo voluto creare una realtà visibile che raccontasse ai giovani storie esemplari dei giusti che ieri come oggi hanno cercato e cercano di interrompere la catena del male mettendosi dalla parte delle vittime, a volte perdendo anche la vita. Da queste storie si impara a vincere l’indifferenza, a non distogliere lo sguardo da chi è più debole e indifeso, ad assumersi delle responsabilità, cogliendo i segni del male al loro sorgere. Si impara a reagire e a resistere con la forza di un pensiero autonomo e libero, con la memoria del bene. È la strada della prevenzione e della pace.

Il 24 aprile di ogni anno noi armeni ricordiamo con cerimonie religiose e civili, e con quel dialogo silente che ciascuno di noi ha con le persone scomparse, il genocidio del 1915. Un milione e mezzo di morti. Quest’anno lo sguardo non può che fissarsi sugli scampati e sui sopravvissuti del grande esodo di profughi che dal Medio Oriente e dall’Africa giungono in Europa, la patria dei diritti umani, in cerca di sopravvivenza. Come arginare e porre barriere al fiume di violenza che anche oggi si abbatte sulle terre del Medio Oriente e in tanti altri luoghi del mondo? Che cosa possiamo fare noi?

Aggrappiamoci con ostinata perseveranza ai segnali di bene, là dove si manifestano. Sta a noi farli nostri, riproporli e diffonderli assieme alla speranza che qualche cosa possa cambiare. Le storie esemplari di alcuni giusti turchi, mi impediscono oggi di riferirmi a un generico popolo turco nemico. Una memoria fissata solo sul male, è un ostacolo al dialogo e alla riconciliazione. Anche noi armeni avremo una vittoria della giustizia quando riusciremo a ricostruire un dialogo tra il popolo delle vittime e quello dei carnefici.

Oggi nell’Europa che ha saputo sconfiggere le dittature, torna la trappola della paura. Facciamo in modo che non abbia il volto dei migranti. Dai muri ideologici, mentali, simbolici, si passa facilmente ai muri reali, ai fili spinati ai quali si aggrappano migliaia di mani in cerca della libertà.

 

 

 

 

 Rubrica di Nuovo Progetto

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