Ora sì

Publié le 21-09-2019

de Flaminia Morandi

Flaminia Morandi - MINIMAdi Flaminia Morandi - Chissà se quando andiamo a messa ci rendiamo davvero conto di cosa stiamo facendo. Se ne fossimo consapevoli fino in fondo, faremmo come i due discepoli di Emmaus: i nostri piedi prenderebbero la direzione giusta, dritti verso la mèta della nostra vita, con occhi finalmente capaci di vedere e il cuore che fa quello che è stato creato per fare: bruciare d’amore e di gioia. La liturgia (parola che significa “opera del popolo”, perciò comune e non individuale) comincia quando usciamo da casa: ci separiamo dal nostro mondo quotidiano non per fuggirne ma per andare a vederlo meglio dall’alto: perché il nostro uscire da casa è un’ascensione verso un’altra dimensione.

Quella che ci accoglie nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo e a cui rispondiamo Amen!, la più bella parola che esista: Sì! Vogliamo salire, con Cristo, in Cristo, per Cristo. Vogliamo passare dal vecchio mondo al mondo nuovo: per questo siamo entrati in un edificio che poi non è un edificio, perché l’edificio siamo noi, il nostro essere insieme. C’è un altare che poi non è un altare, perché l’altare è Cristo stesso. La liturgia della Parola, compresa l’omelia, è già un atto sacramentale che trasforma: la Parola lavora in noi, non ci lascia come ci ha trovato e lo sappiamo, perché la accogliamo con l’Alleluja, che è come gridare: sì, il Signore è qui, è presente! Ecco che portando all’altare il pane e il vino portiamo noi stessi, la nostra fatica, il nostro dolore, le nostre gioie, i nostri deliri, i nostri desideri, le nostre opere, buone e cattive. Tutto quello che abbiamo lo offriamo perché si trasformi in vita in Dio. Ma Cristo ha già offerto la nostra vita una volta per tutte: mentre andiamo all’altare portando noi stessi, sappiamo che in realtà è lui che porta noi.

In alto i nostri cuori: ora siamo al di là del tempo e dello spazio. È cosa buona e giusta: il Prefazio è la “prefazione”, la porta aperta sul Regno, la vita da figli e da fratelli. Santo, santo, santo: ecco la mèta di ogni creazione. Ora siamo davanti a Dio per dire il nostro Grazie: è il ricordo di Cristo, la sua offerta che mette vita divina dentro la nostra vita. Questo è il mio corpo. In questo mondo nessun pane e vino diventano carne e sangue, dice Alexander Schmemann; ma lo Spirito invocato ci porta oltre, in cielo, nella piena comunione del corpo di Cristo. Eccoci nella piazza d’oro della Gerusalemme celeste: alla mensa del Padre ci nutriamo di vita eterna, per realizzare la nostra vocazione, vivere da figli di un unico Padre, fratelli tra noi.

Ora possiamo dire Padre Nostro e pregare per ogni persona esistente o esistita, compresi i nemici. Ora sì, possiamo tornare in pace nel nostro solito mondo, rigenerati, nuovi, interi, ricolmi di energia divina: per celebrare qui, giorno dopo giorno, in ogni istante, la liturgia della vita quotidiana.

Flaminia Morandi
MINIMA
Rubrica di NUOVO PROGETTO

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