RWANDA: una storia vera
Publié le 14-09-2011
È uscito il 30 agosto scorso, in versione DVD, il film Hotel Rwanda.
Presentato fuori concorso al Festival di Berlino 2005, il film è ispirato alla storia vera di Paul Rusesabagina. Hutu con moglie tutsi, nell'aprile '94 trasformò l'hotel 5 stelle di cui era direttore in un rifugio per più di mille persone tutsi, che così scamparono alle atrocità della guerra civile rwandese.
Intervistato su come prese la decisione di offrire asilo a quella gente, Paul Rusesabagina ha risposto: “Io non decisi di offrire asilo a quella gente. Era il mio dovere aiutarli, ero responsabile nei loro confronti.” Pubblichiamo le riflessioni “a caldo” di un amico… dopo la visione “domestica”. |
Di ciò che accadde nel 1994 non ho un vero ricordo “diretto”, se non legato a poche e vaghe immagini di profughi in file interminabili lungo strade sterrate trasformate in veri fiumi umani. Immagini che ho la sensazione di aver visto tante, troppe volte in TV nei miei 30 anni. In quell’anno stavo preparando l’esame di maturità; avendo deciso di non affrontare il tema di attualità, ero troppo impegnato a studiare sui libri per potermi interessare davvero a fatti così lontani. E poi, pur essendo sensibile rispetto ai problemi del mondo, pur essendo la storia una delle mie materie preferite (e di conseguenza anche l’attualità, cioè la storia dei posteri), non avevo ancora davvero iniziato ad interessarmi di queste faccende con il cuore. Volevo vivere i miei 19 anni in modo tranquillo e spensierato, non certo lasciarmi travolgere dal lato peggiore del mondo. |
Con il tempo qualcosa è cambiato, nel mio modo di guardare fuori dalla mia casa. |
Mi ricordo quello che provai alla visione di Schindler’s List: senso di rabbia, frustrazione e tanto dolore. Però ero consapevole che contro chi aveva perpetrato quell’orrore, con tutti i lati oscuri che la storia poco a poco porterà alla luce, si fece qualcosa. In un certo senso, pensare che una parte di mondo aveva combattuto quell’orrore mi dava una certezza cui appigliarmi. La regia e la sceneggiatura evitano una trappola in cui sarebbe stato facile cadere, cioè quella di trasformare l’opera in null’altro che un’accusa contro l’indifferenza del Primo Mondo, una denuncia esagerata e quindi inutile perché come spesso accade tendente a individuare il “male” in un solo soggetto, generando sensi di colpa che, non avendo chiara la dimensione e la realtà del problema, non possono portare a un vero progresso fatto di consapevolezza e non solo di rancore e disgusto. |
Ci sono un paio di aspetti che mi hanno colpito profondamente, trattandosi di un film ispirato ad una storia vera. Prima di tutto il fatto che il protagonista non sia dipinto come un eroe mitologico, ma come una persona che lo diventa probabilmente più spinto dagli eventi che da una sua scelta. Mi ha colpito vedere come una persona di buona volontà, che semplicemente rifiuta la cultura dell’odio, possa essere risucchiata in una storia più grande di lei, come una persona che si vede tradita da tutto ciò che le ha consentito di “diventare quello che è” (secondo i canoni della ricchezza e del prestigio) possa ritrovare nella difesa dei suoi affetti e del semplice concetto di umanità la forza per affrontare il crollo di tutto ciò in cui era stata portata a credere. |
Particolarmente interessante mi è poi sembrato il rilievo che viene dato al ruolo dell’informazione nello svolgersi della vicenda. Da questo punto di vista mi ha colpito davvero l’incipit del film, schermo nero e in sottofondo i proclami radiofonici del movimento “Potere Hutu” che scateneranno poi la violenza. Sicuramente Hotel Rwanda può spingerci a riflettere sul concetto di libera informazione e libertà di opinione, ma ancora di più sull’attenzione che ogni singolo deve porre nel differenziare le proprie fonti d’informazione per salvarsi dalla manipolazione. Al termine di tutto questo, cosa resta? |
di Alessandro Riva |