La verità dei fatti

Publié le 11-02-2023

de redazione Unidialogo

L’inviato di guerra Giammarco Sicuro all’Università del Dialogo Sermig

Il valore della testimonianza per costruire la pace. L’informazione è ancora capace di farlo? Che ruolo può avere il giornalismo in un contesto di guerra? Venerdì 10 febbraio l’auditorium dell’Arsenale della Pace di Torino ha ospitato l’inviato speciale della Rai Giammarco Sicuro, che sin dall’inizio ha seguito da vicino e sul campo le vicende del conflitto ucraino. L’ultimo impegno di una carriera che lo ha portato in giro per il mondo a documentare fatti come gli attentati terroristici di Berlino, Londra, Manchester e Parigi, l’Afghanistan dei talebani, la crisi umanitaria in Venezuela, fino alla pandemia del covid. Proprio a quest’ultimo capitolo è dedicato il libro “L’anno dell’alpaca” (Gemma ed.ni) il racconto del lungo viaggio di chi si ritrova, suo malgrado, dall’altra parte del pianeta quando l’Organizzazione mondiale della Sanità annuncia l’inizio di una pandemia. Mentre il mondo si chiude in casa, la cronaca personale di Sicuro, fa conoscere al lettore le realtà e le vicende umane di tre continenti: dal Perù alla Spagna, dalla Corea del Sud al Messico e Brasile … Di seguito, alcuni spunti tratti dalla serata, che saranno ripresi ed ampliati nel numero di marzo del mensile NP Nuovo Progetto di prossima uscita.

Raccontare delle storie è una responsabilità. Quella del giornalista è una missione necessaria, mettere i propri occhi e orecchie a disposizione di coloro che per vari motivi non possono vedere e sentire. Come dice Papa Francesco, bisogna illuminare le periferie.
Alcune storie e fotografie possono fare la differenza, tramite il potere della parola e delle immagini.

Il 2022 per me è stato un anno molto intenso a causa della guerra in Ucraina. Ho assistito ad atrocità ma anche, inaspettatamente, ad episodi di umanità incredibile. Purtroppo come tutti sapete i morti anche tra i civili sono stati e sono ancora moltissimi: anche un volontario che mi aveva accompagnato è stato ucciso poche settimane dai russi che sparano ai convogli umanitari. Sono elementi di grande tristezza. Davanti a questa realtà sono sempre più convinto dell’importanza per noi inviati di essere sul posto per raccontare quello che veramente accade a chi è lontano.

La guerra e il covid hanno fatto riscoprire la missione del nostro lavoro: fare informazione, mostrare delle storie che altrimenti rimarrebbero taciute. È importante fare luce e dare voce alle persone, alle loro storie. La guerra è fatta da persone che soffrono: anche molti che si sono arruolati nell’esercito hanno avuto la vita travolta. Un ragazzo ha perso la casa e la macchina, faceva il barista, ora fa il partigiano. Dalle piccole storie si può avere uno sguardo sul tutto, molto più di grandi discorsi di politica internazionale che in realtà ci allontanano dal senso della guerra.

Viviamo in un'epoca di post verità dove anche i fatti vengono messi in discussione. Pensiamo ai fatti di Bucha che sono documentati, io stesso ho visto morire due donne uccise dalle bombe a grappolo, eppure in molti non ci credono a priori. E mentre gli operatori dei media hanno la responsabilità di informare, esiste anche una responsabilità da parte di chi vuole informarsi.
I media italiani passano voracemente da un dramma all'altro. Adesso il sisma in Turchia e Siria è al centro dell'attenzione, ma per quanto durerà? Si sovraccarica la comunicazione di una notizia per qualche giorno, poi tutto sparisce... Pensate al dramma dell'Afghanistan... Ci sono tornato pochi mesi dopo nell'indifferenza dei media nazionali e internazionali. La gente è affamata di storie, di luoghi non battuti. Se riusciamo a raccontare nel modo giusto, la gente si interessa e non cade nell'assuefazione.

I nuovi social possono generare contro informazione, però danno grandi opportunità. Sono diretti e permettono di comunicare rapidamente. È possibile usare i social in maniera adeguata e responsabile. Bisogna dare credito a queste persone e isolare gli altri, diffusori di confusione.

Il bene può fare notizia e dare speranza.
Cerco sempre di inserire in tutti i miei servizi, che sono spesso relativi a temi drammatici, elementi di leggerezza per rendere più accettabile l'ascolto di quelle notizie. Per esempio, un giorno ho intervistato una signora che stava cucinando per strada sotto le bombe: sentendo che sono italiano, ha cominciato a cantare Celentano e Toto Cutugno. È un modo per far emergere l'umanità che non vuole solo subire il male, che non si arrende.


Renato Bonomo


Foto Renzo Bussio

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