Da Giorgio La Pira all’Arsenale della Pace

Publié le 09-01-2017

de Guido Morganti

Di Guido Morganti - “Nulla viene dalla violenza, e nulla mai verrà”. Una frase di Fragile, la canzone con cui Sting ha aperto il concerto del Bataclan a un anno dall’attacco terroristico “per ricordare le vittime e celebrare la vita e la musica”.

La violenza è in noi ed è esterna a noi. Genera a sua volta altra violenza. Soffoca la pace, la speranza, l’incontro per lasciare il passo all’odio, alla paura, alla sfiducia. La violenza estrema è uccidere. Ripercorrendo i primi anni della storia del Sermig troviamo un punto fermo: non bisogna più costruire le armi, perché “uccidono cinque volte. La prima perché, per essere costruite, sottraggono cospicui investimenti destinati allo sviluppo, a edificare scuole, ospedali, case. La seconda perché, per essere progettate, sfruttano risorse intellettive giovanili che potrebbero essere investite per il bene, la vita, lo sviluppo. La terza perché, quando sparano, uccidono davvero. La quarta perché alimentano l’odio e preparano la vendetta. La quinta perché producono ferite, spesso invisibili, che non si rimarginano più nei reduci”.

È di metà degli anni ‘70 il dossier del Sermig: Denunciamo la violenza perché vogliamo la pace. La pace è l’obiettivo primario da perseguire. Tanti gli incontri, i dibattiti, i convegni organizzati con quel titolo che hanno permesso di raccogliere i contributi di persone del mondo politico, culturale, religioso a cui era stata chiesta una riflessione prendendo come spunto la parola di Isaia: “Spezzeranno la loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci” (Is 2,4), frase che era entrata con forza nella cultura del Sermig dopo che Giorgio La Pira l’aveva suggerita a Ernesto Olivero come obiettivo necessario per costruire la pace. Gli Arsenali del Sermig ne sono una traduzione e realizzazione pratica.

“Solo l’amore può sciogliere un cuore duro. Solo l’amore può rivoltare la violenza verso la non violenza. Solo l’amore può cambiare me stesso che sono la parte più dura da convertire in amore. L’amore fa tutto questo purché resti amore” (Ernesto Olivero).

“Radunate tutte le energie dell’amore per non essere vinti dall’odio, dal male… La non violenza potrà dunque definirsi come le energie raccolte dall’amore, nutrite dalla fede, dalla speranza, dalla carità… Soltanto un amore grande e umile che tutto spera, può sopportare la difficoltà, le opposizioni, le diffamazioni senza amareggiarsi, senza rancore per il male” (Bernard Haring, teologo, che aveva sperimentato la barbarie dei campi di concentramento).

A chi varca le soglie degli Arsenali del Sermig balza agli occhi un muro con la scritta: La bontà è disarmante, frase che ne richiama un’altra, caratteristica del linguaggio del Sermig: “Essere buoni come un pezzo di pane che tutti possono mangiare”.

L’amore in atto che è nella vita quotidiana degli Arsenali diventa l’antidoto alla violenza:

alla violenza della guerra e dei conflitti: attraverso azioni di pace, che vanno dagli aiuti di emergenza a intavolare rapporti e relazioni che possono svilupparsi in opere. Un esempio per tutti. L’aiuto in Giordania ai profughi iracheni della Prima Guerra del Golfo è stata l’occasione che passo dopo passo ha portato a realizzare l’Arsenale dell’Incontro di Madaba;

alla violenza che provoca sottosviluppo in tante parti del mondo: la lotta alle cause e l’intervento pratico che si traduce nella continua collaborazione per innescare e consolidare progetti di sviluppo e di formazione;

alla violenza che produce emarginazione, ghettizzazione, rifiuto: come noi, due parole che sintetizzano la risposta. Accoglienza, integrazione, accompagnamento negli Arsenali si radicano nella convinzione che tutti gli uomini sono uguali, hanno gli stessi diritti e doveri, devono essere messi nelle condizioni di poter esprimere il meglio di sé. Non buonismo ma il bene fatto bene;

alla violenza della miseria, della disoccupazione, del bisogno: la restituzione, il mettere a disposizione le proprie risorse materiali, spirituali, creative, intellettive per inventare occasioni che si evolvano in risposte che danno dignità. Basti pensare alle attività introdotte nel campo agricolo e nel riuso, di cui spesso scriviamo su queste pagine;

alla violenza della cultura dominante, del nichilismo: è possibile dire sì alla pace, alla vita… e no alla guerra, alla droga… Il cammino per preparare gli appuntamenti dei mondiali dei giovani della pace, gli incontri dell’UDD, gli strumenti massmediali hanno l’obiettivo di costruire tutti insieme un solo mondo nella pace per contribuire a sconfiggere la fame, puntare sulla reciprocità, favorire il dialogo, non dividere la società in compartimenti stagni, aprirsi ai problemi del mondo, farli propri, coinvolgersi in essi, perché la pace non è divisibile: o tutti siamo in pace, o non ci sarà pace per il mondo intero.

Nel volantino del quinto Appuntamento Mondiale dei Giovani della Pace a Padova il prossimo 13 maggio si legge: “Un invito per te che hai capito che ogni rivoluzione violenta aggrava e non risolve il problema e che la vera rivoluzione è alzarti, scegliere, partire da te per iniziare a cambiare oggi le cose”. Questa è non violenza in atto! Michele Pellegrino (arcivescovo di Torino nei primi anni di vita del Sermig) in una meditazione sulla non violenza ci aveva scritto: “Tutto ciò vi pare impossibile? Vi pare assurdo? Allora dite che è assurdo il vangelo quando vi racconta che, venti secoli or sono, a Betlemme, nell’umiltà e nella povertà è nato un Bambino, figlio di Maria e Figlio di Dio, per iniziare un cammino che doveva portarlo a finire su un patibolo, E perché? Perché Dio-Amore fatto uomo amava, ha amato fino alla fine, mi ha amato e si è sacrificato per me. Tutto questo vi pare assurdo? Eppure io ci credo perché Gesù l’ha detto e l’ha fatto, sperando che ci crediate anche voi e vogliate prendere sul serio quello che credete”.

FOTO: MAX FERRERO - R.BUSETTINI / SYNC



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