Soldi, padri e figli (un racconto morale)

Publié le 14-09-2011

de Redazione Sermig

Incontro G.V. su un terrazzo panoramico da cui si gode la vista delle colline e del mare. G.V. ha 80 anni e gli ho chiesto una intervista sul rapporto padri-figli, ma non in generale: quello che mi interessa, come economista di strada, è l’aspetto economico, nel significato più ampio che il termine “economia” porta con sé.
di Franco Becchis economistadistrada.it



Credo che sarà una intervista particolare
, perché G.V. è un uomo che può permettersi di non recitare una parte. Inoltre, G.V. è un testimone interessante, per 3 motivi: ha 3 figli e 6 nipoti, è stato un intellettuale ascoltato su tutti i media e, soprattutto, è stato un politico con possibilità di decisione sulle risorse economiche private e collettive. Ecco il resoconto del nostro breve incontro.
 
Come regolava la questione dei soldi con i suoi figli adolescenti?
Gli davo quel che mi chiedevano, non avevo tempo per discutere troppo, e mia moglie integrava, spesso a mia insaputa.
 
Lo rifarebbe?
Sí. Sarebbe ipocrita adottare una condotta rigorosa in famiglia e poi praticare l’opposto nelle questioni collettive.
 
Cosa intende?
Se un genitore parla di denaro con un figlio, intendo dire se non vuole semplicemente allungargli una banconota per toglierselo di mezzo o per non discutere, vuol dire che vuole parlare di valori, anche se relativi, di regole, in qualche modo vuole proporre al figlio un contesto in cui collocare il denaro, non semplicemente darlo.
 
E lei non si riconosce in questo schema?
Potrei anche riconoscermi, ma nella mia vita non l’ho seguito. (Fa una lunga pausa). Io ho avuto incarichi politici importanti per 30 anni, e ho contribuito, assieme ad altri colleghi ai vertici dello Stato, alla enorme crescita del debito pubblico fino a più del 100% del PIL. La pressione sulla spesa pubblica era fortissima, in quegli anni: i militari chiedevano, i dipendenti pubblici chiedevano, i pensionati chiedevano, le Regioni chiedevano, e noi non abbiamo saputo, o voluto, porre un freno. Noi davamo, per acquisire consenso, per non discutere, per non perdere voti, per liberarci delle grane. 
 
Ma questo cosa c’entra con la paghetta ai figli adolescenti?
C’entra, perché facevo così anche con loro, coerentemente. Tuttavia, la coerenza è solo apparente, sta all’interno di un paradosso.
 
Si spieghi meglio.
Vede, non gestire bene la cosa pubblica e creare debiti significa, in realtà, mettere sulle spalle dei tuoi figli e dei tuoi nipoti un peso che subito non si avverte, ma avrà conseguenze durissime: sono loro, infatti, che dovranno pagare quel debito, o lavorando di più o accettando redditi più bassi e imposte più alte, a meno che non arrivino tanti immigrati disposti a sgobbare per pagarlo loro, quel debito…
 
Quindi lei, scialacquatore nella spesa pubblica, si sentirebbe ipocrita ad essere rigoroso nella sfera privata?
E' amaro, ma è così. Chi ha scialacquato le risorse pubbliche ha danneggiato i suoi figli e i suoi nipoti, anche se indirettamente. Inoltre, c’è un’altra questione che riguarda quello che noi diamo o lasciamo ai nostri figli, economicamente, intendo.
 
Quale?
Io posso dare a un figlio tutti i soldi che vuole, se posso permettermelo, senza regola alcuna, e questa è pur sempre una cosa privata.
 
E questo è il primo aspetto?
Sì. Il secondo riguarda l’uso delle risorse pubbliche, come le ho detto. Ma il terzo è il più complesso, perché quello che noi diamo, economicamente, ai nostri figli, non sono solo i soldi, e neanche solo lo stato delle finanze pubbliche, ma anche il capitale sociale.
 
Che tipo di capitale è?
Guardi, è un vero capitale, perché produce cose utili, ma è differente dagli altri 3 tipi di capitale: il capitale naturale è quello che la natura ci dá; il capitale artificiale è quello che noi costruiamo, edifici, fabbriche, computer, per intenderci; il capitale finanziario sono i soldi, il massimo della libertà che su questa terra si può avere, in un certo senso. Tutte e tre queste tipologie di capitale rendono ricco un Paese: la natura produce materie prime, turismo, cibo, il capitale artificiale produce beni e servizi, la finanza, quella buona, permette a progetti e idee di realizzarsi. 
 
Mi sembra una buona base.
Lo è, ma non basta, se non c’è la fiducia e una base di relazioni comunitarie.
 
Cosa intende?
Ogni aspetto della vita economica e finanziaria è permeato di relazioni fra persone: se queste relazioni sono buone, se gli individui ad esempio si aiutano fra loro, sono sensibili alla reciprocità, si fidano, cooperano e non cercano di fregarsi l’un l’altro, allora tutta l’economia funziona meglio. Senza fiducia, relazioni buone, reciprocità, il capitale naturale, artificiale e finanziario sono come macchinari arenati in un fosso, come parchi chiusi, come case disabitate.
 
Però il capitale sociale non dipende solo da me. Io posso cooperare, ma gli altri possono fregarmi?
E' così, è come un gioco: l’esito della mia mossa dipende da quello che faranno gli altri. Tuttavia, se si insegna ai propri figli a non cooperare, a essere indifferenti agli altri o alla cosa pubblica, a perseguire solo il proprio interesse privato più particolare, allora è come rubare qualcosa alla società, è come seminare semi non buoni…
 
E lei li ha seminati, questi semi non buoni?
In parte sì, credo di aver insegnato loro che la famiglia conta più della società, che in nome della famiglia puoi fregare la società e lo Stato, che puoi cooperare, o aiutare, o privarti di qualcosa, ma solo per la famiglia, e non al di fuori di essa.
 
E questo non è positivo?
Non credo più che lo sia, anche se l’ho pensato per tanti anni.
 
Per quale motivo?
Consideri un gruppo di case e un grande prato comune. Se i residenti sono ossessivamente attenti alle loro case, ma nessuno cura il prato, anzi, il prato viene usato come scarico di tutto ciò che è sgradito, quell’abitato non sarà mai un bel posto dove vivere.
 
La casa è la famiglia e il prato è la società?
Esatto. Abbiamo tenuto troppo pulite le nostre case, e abbiamo rovinato il prato.
 
E' questo che intende quando parla di capitale sociale?
Proprio questo. In ogni caso, ho dimenticato di parlarle del quarto aspetto nel rapporto economico fra padri e figli.
 
Qual è?
Alla fine i miei beni andranno ai miei figli, e questo per loro è il principale incentivo a non agitarsi troppo.
 
Non capisco.
Ma sì, è semplice. Se fossimo in un Paese di diritto anglosassone, io avrei la possibilità giuridica di destinare tutte o una parte delle mie sostanze per una causa nobile, una fondazione, una missione, ma in un Paese di diritto romano, in cui la famiglia conta più della società questo non è possibile. I miei figli lo sanno, e per questo vivacchiano, e i miei nipoti, temo, potrebbero fare lo stesso perché io ho accumulato una considerevole ricchezza mobiliare e immobiliare, garantendo una rendita per almeno due generazioni, prima che il capitale finanziario che hanno ricevuto non sia completamente intaccato.
 
E' una visione pessimista.
No, è una considerazione, direi, antropologica.
 
Mi congeda con una stretta di mano forte. Mi spiace andarmene da quel terrazzo, da quella vista sul mare.
 
Franco Becchis
 
 
 
 
 
 

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