In cammino verso la Pasqua (2/7)

Publié le 20-03-2011

de Giuseppe Pollano

Chiamati alla festa - di Giuseppe Pollano - Quando le nostre braccia sono ancora ferme, anchilosate, fredde, è il Padre ad aprire le sue braccia e a correrci incontro. La parabola del padre misericordioso (Lc 15,11-32) è la storia trasparente del rapporto tra Dio e l'uomo, tanto più quando quest'ultimo ha voltato le spalle a Dio.


alla ricerca della pienezza di vita

L'ambiente che Luca descrive è quello di una piccola azienda agricola, simbolo di una vita che, ereditata dai padri, è regolata da alcune norme che non possono mai cambiare, Simbolo dunque di una esistenza dove tutto è già definito, dove tutto in fondo è prevedibile e all'interno della quale bisogna trovare il proprio significato della vita.
Il figlio maggiore trova il suo significato in questo vivere. Il figlio minore si pone la domanda fondamentale: fuori da questa vita regolata, prevedibile, sicura, tranquillizzante, ci sono altre cose che darebbero al mio vivere un altro più interessante, più appassionante significato? Il figlio più giovane diventa il simbolo di chi accetta l'ipotesi: non mi piace più vivere così, voglio provare un altro modo. E allora la vita diventa una avventura di libertà: Nigel Cox, Il figliol prodigovuole andare a vedere cosa c'è oltre la siepe, si organizza, riceve la parte di eredità che gli aspetta e parte.
Questa esperienza è umanissima, perché il fascino di andare a vedere oltre, di trasformare una vita in una ricerca è grandissimo. Anche chi è nato e cresciuto nella religione cattolica, a un certo punto può sospettare che ci siano molte altre cose nella vita, alcune delle quali vietate dalla religione. Nasce un conflitto tra la fedeltà a una certa norma e la tentazione di vivere in altro modo. Vivere una "contro cultura", inventarsi la vita, insomma.


il vero destino dell'uomo

Il figlio più giovane è il simbolo dell'uomo che, senza paura, lascia indietro tutto e volta le spalle a tutto. Ma, a poco a poco, la sua vita scende e, senza accorgersene, sta diventando il nemico di se stesso, perché più cammina oltre e aumenta la distanza fra lui e il padre, più si allontana da quello che, invece, è il suo vero destino. E se ne accorgerà alla fine, quando scopre il suo vero destino nel momento in cui il padre gli getta le braccia al collo e lo bacia.
Il nostro vero destino è proprio conoscere l'abbraccio di Dio, la vita e la festa che Dio ci ha preparato. Ma adesso il giovane non può capire queste cose, per lui la festa è altrove. E va incontro al degrado morale, sociale, familiare e religioso. Diventa un niente.
La condizione dell'uomo che parte per la sua vita, che gioisce, soffre e lotta sempre e solo per i suoi obbiettivi e non in vista di Cristo, è normalissima. Nell'inno cristologico di Col 1,16 Paolo ci ricorda che "tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui". Il Creatore guarda Gesù Cristo e crea me, affinché io, cominciando a vivere, mi orienti a Cristo. Dentro una società ormai impregnata di lontananza da Dio, è difficile pensare che sto vivendo in vista di Gesù Cristo. Se è vero ciò che dice Paolo, dovrei avere Gesù Cristo con me e guardarlo con simpatia, con amore e mettermi alla sua sequela. Anche se non posso dire che faccio tutto in vista di Cristo e solo sempre per lui, so che vivo in vista di lui.


non scoraggiarsi mai: Dio ci ama e ci attende

La nostra cultura ha rimosso l'idea di un Dio che tiene il mondo nelle sue mani e che viene incontro a tutti. Devo allora domandarmi se ho fatto il mio dietro front interiore ("rientrò in se stesso", come dice il vangelo) e sto coscientemente camminando verso il Signore. Quando ti dico Padre nostro, so quello che dico? Quando dico ti adoro mio Dio esprimo davvero la profondità del mio cuore?
In questo vangelo c'è la verità che il Dio rivelatoci da Gesù non si aspetta che noi arriviamo da lui con già addosso il vestito più bello, con l'anello al dito, con i sandali ai piedi; è il Dio che ti cerca nonostante tu sia o ti senta pentito. È molto incoraggiante.
Il figlio non ha mai capito suo padre, non torna ancora indietro incantato dalla certezza che il padre lo ama, "trattami come uno dei tuoi garzoni" per non morire di fame. Neanche il figlio più grande l'ha mai capito, infatti non condivide il cuore del padre, si incattivisce. Il figlio dissoluto è un povero uomo finito, ma è questo colui che Dio ama. La parte più preziosa di questo vangelo infatti non è il figlio, che è un ritratto dell'uomo, ma sicuramente il padre, un Padre che è Dio, un Dio che vive in attesa, un Dio che ti aspetta sempre, un Dio che è tutto, meno che indifferente perché ha deciso lui che io ci fossi, non ho deciso io di vivere. E posso anche dimenticarmi di Dio, ma lui non si dimentica di me: "Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se costoro si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai!" (Is 49,15). Quando nella vita ti senti abbandonato e solo, ricordati che ti stai facendo una idea sbagliata di Dio. La fede ti dice che Dio non ti ha mai abbandonato. Il Padre ti attende!
Nigel Cox, Il figliol prodigo Qui Luca ha costruito una figura di Padre che non è realistica per la cultura ebraica, nessun padre ebraico si sarebbe messo a correre incontro ad un figlio, sarebbe stato un gesto totalmente sconveniente. Ma il Padre che ci presenta Luca gli corre incontro, in più gli si getta al collo, in più lo bacia. È un susseguirsi di gesti in crescendo. Lo abbraccia non come segno esterno, ma perché è suo figlio, perché gli vuole bene e vuole che lui lo capisca. Ma il padre non si accontenta di questo. Ci sono tre segni molto importanti per gli ebrei: il donare il vestito più bello significava dare la dignità regale (un re a un ministro regalava un bel vestito come segno di altissimo onore), poi un anello che significava conferire e sigillare il potere, poi i sandali, perché non era uno schiavo. Il padre ricostruisce completamente il figlio che era come morto e, infine, vuole che tutti gioiscano di questo evento straordinario, e c'è la festa.
Questo è il Padre a cui tutti i giorni dici Padre nostro, quel Padre che vuole sempre gettarsi al tuo collo e baciarti. Gesù è venuto per farci conoscere e capire il Padre, a dirgli "Padre" con confidenza, soprattutto quando la vita ci prova e ci fa soffrire, quando il dolore ci scandalizza.


un Padre che ci viene incontro e ci porta alla festa

Usciamo dalla parabola e pensiamo a come Dio ci viene concretamente incontro. Gesù è il modo con cui il Padre ci è venuto incontro. Gesù non faceva altro che dire: "Colui che mi ha mandato"; e che cosa lo ha mandato a fare? A dirci la verità, a guarire i nostri mali!
Non solo. "Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore" (2Cor 5,21), e così ci ha strappati dal peccato. Sorge allora davanti agli occhi il Crocifisso. È come se il Padre mi dicesse: "Con il mio Figlio crocifisso, piagato, io ti abbraccio, ti cingo e ti stringo a me, se tu vuoi". Quando io sono peccatore vado nell'abbraccio del Padre, mi inginocchio in un confessionale, e prontamente il Padre mi riveste di Cristo, mi rimette la veste addosso, mi dà la grazia, qualunque cosa abbia fatto. James Anderson, Il figliol prodigo Non c'è limite, niente ferma l'abbraccio di Dio, purché noi ci fidiamo di lui, ci affidiamo a lui e gli andiamo incontro, sapendo che lui corre molto più velocemente verso di noi per la gioia di averci.
Quando facciamo l'eucaristia, ancora una volta il Padre ci viene incontro. Giovanni Paolo II nell'enciclica sull'eucaristia ci dona un bellissimo concetto: "non soltanto ciascuno di noi riceve Cristo, ma anche Cristo riceve ciascuno di noi. Egli stringe la sua amicizia con noi" (Ecclesia de Eucharistia, 22), sono io che ti ricevo, ma sei tu che ricevi me nel tuo cuore, nella tua amicizia, nel tuo abbraccio.
"E cominciarono a far festa". La festa di cui si parla e che Gesù è venuto a prometterci, è quella che non finirà più. Ed io ho voglia di entrare in questa festa, perché so che le cose che vivo, anche se mi danno delle gioie, sono limitate; io voglio entrare nella festa che tu hai preparato per me con la tua croce, ed io ci cammino già dentro.
Padre ti ringrazio perché sei Padre; poi ti chiedo perdono perché qualche volta ti ho pensato soltanto come un padrone, come mi sbagliavo! Poi ti ho detto che volevo vivere in modo diverso e tu mi hai lasciato andare, mi hai dato le mie sostanze e ti sei messo ad aspettare. E poi ho capito e ho cominciato a tornare e tu mi hai abbracciato senza neppure lasciarmi finire la frase che avevo preparata. Mi hai ripreso, e gusto già la tua festa. Come si sta bene con te, Padre!
Ecco il senso quaresimale di un cammino che ha qualcosa da dire a tutti noi: è una stupenda chiamata. Il Padre ci corre incontro, ci bacia, ci abbraccia, ci mette a nuovo e ci dona la festa! Più di così veramente non si poteva sperare: e rendiamone grazie a Dio.

Giuseppe Pollano
tratto da un incontro all'Arsenale della Pace
testo non rivisto dall'autore

 

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