Quale avvento vivremo? (2/2)
Publié le 07-12-2008
Il tempo di avvento è tempo di responsabilità cristiana: di fronte alle distrazioni insite nella nostra civiltà non siamo affatto intenzionati a restare inerti.
di Giuseppe Pollano
PERCHÉ SI PARLA DI ‘RESPONSABILITÀ’? Dio attende di essere accolto dall’umanità: ma quanti vuoti nel popolo di Dio, quanta carenza, quanto debito verso Dio! La Comunione dei Santi Ci consola la grande verità della Comunione dei Santi. L’invito pertanto non è vivere un avvento bello per compiacere Dio, ma di essere capaci di donarsi a favore di tutti. La comunione dei santi significa che c’è come una legge di solidarietà per cui i beni di uno diventano i beni di tutti coloro che appartengono alla Chiesa corpo di Cristo. È una realtà magnifica, perché prendiamo parte di beni che altri hanno compiuto, di preghiere che altri hanno elevato a Dio e che sono ricadute beneficamente anche su di noi. Noi siamo soggetto di questa realtà invisibile ma realissima, che è l’applicazione alla Chiesa di ciò che è accaduto in Gesù Cristo nostro Signore: sulla croce era solo, e i beni di uno solo sono diventati i beni di tutti. Noi siamo diventati tutti ricchi dei beni che Cristo ha prodotto con la sua passione e il suo grande amore al Padre. Allora è importante ricordare che ogni nostra piccola bontà non è mai privata, Dio è così generoso che l’accredita a molti altri. L’economia della salvezza è misteriosa, ma non perde nulla perché è quella di Dio. L’avvento può essere davvero, proprio in questa regola di solidarietà, un grande regalo che si fa alla Chiesa intera. Tutti beneficiano della nostra maggiore santificazione. Intercedere è la prima invisibile missione, il bene che faccio fa il giro della terra, non ha limiti, arriva dove Dio vuole, e nel Regno vedrò la mia fecondità. Il peccato che puoi fare contro questa magnifica verità è l’indifferenza, non pensare agli altri, l’applicare alla grandezza di Dio la tua meschinità. Allarga il cuore! La necessità e l’urgenza di dedicarsi alla condizione del mondo Siamo tutti portati a dire che oggi le cose vanno male. Storicamente parlando si può dare questo giudizio, perché già siamo in una cultura fortemente marcata dall’assenza di Dio. Gian Enrico Rusconi ha pubblicato un libretto dal titolo “Come se Dio non ci fosse”. Un invito a vivere come se Dio non ci fosse, a cavarcela da noi. È un pensiero che fa parte di quel filone filosofico compenetrato da disperazione e tristezza. Non è vero che Dio non c’è, Dio ci viene incontro. Il sociologo tedesco Georg Rimmel, un altro interessante osservatore della nostra civiltà, ci mette di fronte ad uno squilibrio di cui siamo tutti vittime: da una parte lo sviluppo lussureggiante della tecnica e tutto ciò che sa creare, dall’altra la persona umana ridotta ad essere insignificante spiritualmente. Si è nel mondo, si hanno responsabilità, ma si rischia di essere appendice delle cose che si fanno, un pezzetto che serve a far funzionare il sistema. È una regola spietata che, se non si è attenti, stritola. Sei una appendice della “cosa”: fai funzionare un congegno, una struttura, una intera impresa, tu vivi per quello, servi per quello, quando ti ammali e te ne vai, ne viene un altro che ti sostituisce, e non importa dove ora tu sei. Non importava di te persona, importava di come funzionavi. Zygmunt Bauman evidenzia un’altra caratteristica che riguarda il rapporto con Dio: impegnarsi in qualche cosa per tutta la vita è giudicata un’impresa troppo rischiosa. Consacrarmi, sposarmi per tutta la vita? Il rischio è troppo grosso! Questo è il modo di vivere del nostro tempo, ed è in questo mondo che Dio buono, fedele, paterno manda suo Figlio. Questo è il Dio vero. INFLUIRE SUL GIUDIZIO DI DIO CHE HA IL MONDO Nel cuore del Padre c’è il grande desiderio di avere figli che sappiano ricambiare, che non vogliano risultare davanti a lui sale insipido (Mt 5,13) e fingere un avvento che non sentono. Richiamiamoci all’episodio del giudizio di Baldassàr (Dn 5,17-30) con la parola tekel scritta sul muro, parola che vuol dire ti ho pesato e ti ho trovato insufficiente, sei mancante. Se noi in un attimo di preghiera ci mettiamo davanti a Dio e nel silenzio di Dio lasciamo che risuoni la sua voce grave e accorata che l’umanità è mancante, il nostro cuore sussulta, e viene voglia di dire: “No, Signore, pago”. Questo è stato il sentimento di Gesù, che sapeva che eravamo mancanti. Una volta ha anche detto generazione incredula, fino a quando dovrò sopportarvi? Ma poi non se ne è andato. Il Padre continua a volerci bene, ma aspetta dei figli che capiscano di più. Un modo molto semplice ma efficace è ridire il Padre nostro con calma, rendendoci conto a chi ci stiamo rivolgendo. Incominciamo con il dirgli “Padre”, poi snoccioliamo le nostre umili frasi, però con desiderio diciamo “Sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, tu puoi, Padre, perché questo mondo che non ti chiama Padre, che non ti glorifica, ci pesa addosso. Siamo per gli altri, li aiutiamo, cerchiamo di essere buoni, ma ci pesa addosso questa mancanza tua nel mondo, perché il mondo, essendo quello che è, diventa tragedia”. Un avvento che fosse segnato anche da questa umile supplica che insiste, che non si dà per vinta, che ricorda quel bussate e vi sarà aperto, diventa un avvento bello e grande, possibile a tutti. È un modo realistico e giusto per non cadere nel giuoco, nell’insignificanza, nella distrazione. Satana è molto fine e ci distrae in maniera astuta e penetrante, e non possiamo farne a meno dovendo pensare a tutti i preparativi mondani per il Natale. Ma lo Spirito vince, dentro di noi farà memoria di queste cose. Restando fedeli, ci si accorge di come Dio si compiace perché, come il vangelo ricorda, qualcuno riesce a alzarsi, ad elevare il capo e guardare Dio, a stare dinanzi al Signore non lasciandosi appesantire il cuore e risvegliando quel cuore che non è più capace di elevarsi, di salire perché trattenuto dalle cose che piacciono e dagli affanni. Il Signore ti invita a far salire il tuo cuore in modo che tu gli vada incontro proprio adesso. Il Signore viene volentieri perché tu vai, a tua volta, volentieri verso lui. Questo è un magnifico modo di vivere, e facciamolo per tutti quelli che non lo fanno. Questo può essere un patto di carità particolare che stipuliamo davanti a Dio: chissà quanti ne avranno del bene, si avvicineranno ad un confessionale a dire il loro bisogno di tornare a Dio, proprio perché noi silenziosamente ci siamo impegnati. Auguriamocelo, e Dio lo farà. Giuseppe Pollano
tratto da un incontro all’Arsenale della Pace testo non rivisto dall'autore |