Cuba, nuovo corso

Publié le 26-06-2018

de Lucia Capuzzi

di Lucia Capuzzi - Cambio al vertice dell’isola caraibica: inizia l’era di Miguel Diaz Canel.

L’atto secondo della Rivoluzione è cominciato il 19 aprile. Quel giorno, i 605 deputati dell’Assemblea nazionale cubana – appena designati alle elezioni non competitive dell’11 marzo – hanno scelto i 31 componenti del Consiglio di Stato, tra cui il presidente di quest’ultimo, nonché presidente della Repubblica. Per la prima volta da mezzo secolo, il designato non è un Castro. Bensì Miguel Diaz-Canel (foto). Un cambio al vertice minuziosamente organizzato, nel giro di un decennio, da Raúl Castro. Fin dal 24 febbraio 2008 quando – dopo due anni di interim – ha sostituito il fratello Fidel alla presidenza, il pragmatico “Castro minore”, già allora 76enne, ha pensato alla successione. E l’ha costruita. Nel 2011, su sua proposta, il VI congresso del Partito comunista cubano (Pcc), ha imposto il limite di due mandati consecutivi di cinque anni per le massime cariche dello Stato. Il presidente ha chiarito che si riteneva incluso nella misura.

Due anni dopo, Raúl ha nominato come proprio vice un tecnico giovane – rispetto all’età media dei dirigenti – e rampante, Diaz Canel appunto. Il “delfino” era stato scelto. Nel frattempo, Raúl si è riservato un ampio margine di manovra per “controllare” la transizione.
All’ultimo congresso del Pcc, nell’aprile 2016, s’è fatto rinominare segretario, responsabilità che deterrà fino al 2021.
Insieme alla guida delle Forze armate.
Le due istituzioni chiave – secondo il dettato della Carta fondamentale – restano in mano sua. Al contempo, però, il potere, finora concentrato in una sola persona, ha cominciato a diluirsi. Nel Consiglio di Stato, inoltre, non figurano i “rampolli” Castro. L’unico figlio maschio di Raúl, il colonnello Alejandro – figura cruciale nel riavvicinamento con gli Usa –, non è un parlamentare e, pertanto, non poteva aspirare alla carica.

L’altra figlia attiva in politica, Mariela, lei sì deputata, si era detta non disponibile.
Sarà questo cambio della guardia a mettere fine all’egemonia del “cognome rivoluzionario” per antonomasia?
O, forse, la stagione del castrismo è terminata nel 2006, quando il Comandante, ormai malato, ha passato il timone al fratello minore? O ancora prima, quando la crisi brutale del “periodo speciale”, successiva allo sgretolamento dell’Urss, ha sancito il divorzio tra la società allo stremo e il mito della Revolución? O solo dopo, quello storico 25 novembre 2016, quando il Líder Máximo s’è spento a 90 anni, il giorno del 60esimo anniversario della partenza dal Messico del Granma, con 86 uomini a bordo decisi a iniziare la Rivoluzione contro il dittatore Fulgencio Batista? O, forse, l’epilogo è ancora lontano, dato che Raúl continuerà guidare, fino al 2021, le redini del partito?

Sono molti gli interrogativi che accompagnano la “transizione”, vera o presunta, in atto. Un dato, però, è certo: è in corso perlomeno il primo ricambio generazionale al vertice del socialismo tropicale. Diaz-Canel è, inoltre, un civile.
Finora l’identificazione tra Stato e caserme è stata totale. La divisione, ora, comporta per entrambi la necessità di costruire un canale di comunicazione più o meno fluido.

C’è, tuttavia, un’ulteriore variabile da tenere in conto. I “giochi di palazzo” sono solo una parte della “partita politica” che si disputa a Cuba. Le riforme degli ultimi dieci anni per “attualizzare il modello”, hanno modificato in modo irreversibile il tessuto economico e sociale. Il settore privato è triplicato, raggiungendo i 600mila microimprenditori, mentre i contadini autonomi sono 250mila.

Le nuove libertà, da quella di viaggiare all’estero senza la “tarjeta blanca” (l’autorizzazione governativa) all’accesso a Internet – per quanto distribuite con il contagocce – hanno resa la società maggiormente plurale. E anche diseguale, con un tasso di povertà intorno al 20 per cento, rispetto al 6,6 di trent’anni fa. Qualcosa deve muoversi, però, a Cuba se non vuole implodere. Le attese, soprattutto in termini di benessere, sono tante. Perché la “transizione” pilotata funzioni, il successore dovrà soddisfarle, almeno in minima parte.

Lucia Capuzzi
LATINOS
Rubrica di NUOVO PROGETTO

 

 

 

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