Missione!

Publié le 14-09-2011

de Giuseppe Pollano

Medico missionario gioca a fare il paziente con una bambina
Ottobre è il mese missionario per eccellenza. La missione è la vera vita della Chiesa. La prima Chiesa, d'altronde, non riusciva a pensarsi se non come missionaria.

di Giuseppe Pollano


GESÙ, IL MANDATO, CI MANDA

II mese di ottobre è segnato dalle figure di due santi: Francesco di Assisi e Teresa di Lisieux.

Lo spazio della missione di Teresa di Lisieux è stata la sua piccola cella; il suo cuore, però, non ha saputo e non ha voluto avere confini. Ha vissuto tutto l'opposto di un monachesimo nascosto: la sua è stata un'esplosione di zelo missionario. Nel 1896, ultimo anno della sua vita, scrisse: “Vorrei percorrere la terra, predicare il tuo nome e piantare sul suolo infedele la tua Croce gloriosa, ma, o Amato, una sola missione non mi basterebbe, vorrei al tempo stesso annunciare il Vangelo nelle cinque parti del mondo, e fino nelle isole più remote. Nevio De Zolt, Santa Teresa di LisieuxVorrei essere missionaria non soltanto per qualche anno, ma vorrei esserlo stata fin dalla creazione del mondo, ed esserlo fino alla consumazione dei secoli”.

Francesco, tornando da Roma
dopo l'incontro con Innocenze III, era perplesso, non sapendo bene quale sarebbe stata la sua vera chiamata. Con i suoi primi compagni si domandava cosa fare. Francesco ebbe un'illuminazione interiore. Scrive Bonaventura: “Francesco, il servo di Cristo, non confidando nella esperienza propria o in quella dei suoi, si affidò alla preghiera, per ricercare con insistenza quale fosse su questo punto la disposizione della volontà divina. Venne così illuminato con una risposta dal cielo e comprese che egli era stato mandato dal Signore a questo scopo: guadagnare a Cristo le anime, che il diavolo tentava di rapire. E perciò scelse di vivere per tutti, anziché per sé solo, stimolato dall'esempio di Colui che si degnò di morire, Lui solo, per tutti gli uomini”.

Dopo aver sentito le voci di due santi, possiamo domandarci che cosa dica a noi “Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi” (Gv 20,21). Con molta semplicità e molta umiltà, dobbiamo domandarci se la nostra più profonda ragione di vivere è la missione. Non è facile rispondere. È una domanda molto invasiva, fino al punto di dare il senso profondo della vita. Come battezzati 'rapiti' in Cristo, abbiamo quella forza in più che ci fa dire che siamo mandati a raccontare i prodigi del Signore?


RACCONTARE I PRODIGI DI DIO

Se il senso profondo della vita è la missione, qualunque cosa si faccia, qualunque persona si ami, qualunque situazione si viva vengono coinvolte in una intenzione grande. Siamo chiamati a mettervi lo stesso significato che Gesù mise nel suo esistere per noi. Gesù aveva comunicato il suo programma all'inizio della sua predicazione, nella sinagoga di Nazareth, riprendendo Isaia: “Io, il Signore, ti ho chiamato per la giustizia e ti ho preso per mano; ti ho formato e stabilito come alleanza del popolo e luce delle nazioni, perché tu apra gli occhi ai ciechi e faccia uscire dal carcere i prigionieri, dalla reclusione coloro che abitano nelle tenebre”. (Is 42,6-7). Gesù lo ha poi ampiamente realizzato: “Andate e riferite a Giovanni ciò che voi udite e vedete: i ciechi recuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l'udito, i morti risuscitano, ai poveri è predicata la buona novella” (Mt 11,5).
Poveri lo siamo tutti, perché non è questa una categoria sociologica, ma antropologica; agli occhi di Dio non c'è nessuno che non sia povero, pertanto a tutti deve essere raccontata la meraviglia di Dio, le cose che possono rendere felici.


LA MISSIONE VINCE LO SCORAGGIAMENTO E LA DISPERAZIONE

Non sono pertanto solo i preti tenuti a raccontare i prodigi del Signore, ma anche i laici, i tralci vivi, penetranti che arrivano in tutti gli angoli del mondo, nessuno escluso. Dovunque c'è un cristiano, un cieco può recuperare la vista, un sordo udire, uno storpio camminare.

Hanna Varghese, Go and tellC'è una cosa che ci svela il senso profondo della vita: la gioia che proviamo in certe esperienze. Se, ad esempio, siamo riusciti a far sì che qualcuno zoppicante accettasse di venire con noi in un ambiente diverso dal suo dove assaporare un nuovo stile di vita; se, testimoniando la nostra fede, abbiamo aperto gli occhi o le orecchie a qualcuno che poi ha deciso di incamminarsi anche lui verso Gesù e, come ricompensa, ne abbiamo avuto una grande gioia che non cercavamo, quello è il segno che abbiamo fatto l'esperienza del senso profondo di noi, abbiamo sperimentato la bellezza, la ricchezza che abbiamo dentro.

Non c'è ambiente dove non si possa essere in missione, magari con preoccupazione, fatica e persecuzione, ma gli effetti ci sono. Ci vuole del coraggio. Essendo cristiani non possiamo nasconderci nella nicchia e tacere, perché noi siamo la Chiesa di Dio che Gesù si è acquistata col suo sangue (At 20,28). Io non sono più mio, sono suo, e non c'è niente, nessun situazione personale che possa impedirmi di annunciarlo.
Non lasciamoci mai scoraggiare dal fatto che siamo peccatori. Il Signore ti ha lasciato la possibilità di cadere in quel peccato per farti meglio capire la sua misericordia, per donarti meglio il suo amore, per aiutarti ad essere più umile, per ricordare che qualunque sia la nostra condizione morale la missione vince tutto.


LA MISSIONE PER IL BENE DI TUTTI

operare concretamente


Gesù ha guarito davvero i malati. Dopo li aiutava a comprendere la dimensione spirituale. Quindi anche noi, dopo aver lenite le sofferenze umane, abbiamo ancora da dare la cosa più importante per poter dare 'tutto': ricordare a chi abbiamo aiutato che esiste la dimensione della grazia, la dimensione dell'amicizia di Dio.
La missione è questa: non si tratta di andare in giro e nominare Gesù Cristo, ma fare cose dietro cui Cristo sorride (cfr Fil 4,8); ad esempio, un cristiano veritiero, limpido, trasparente, è ben diverso da un cristiano che in fondo è un imbroglione, un pasticcione, uno che si fa i fatti suoi e basta! Non c'è giornata in cui ognuno non sia chiamato ad operare la scelta se essere vero o no, se essere giusto o ingiusto, se ispirare serenità o angoscia.

raccontare Gesù con la propria vita

San Paolo ricorda che è una pazzia vivere come viviamo noi cristiani. Considerando l'arrivismo della società, l'umiltà non è forse una pazzia? La povertà, non è una pazzia? La castità, non è una pazzia? Ma raccontare la bellezza di Cristo con una vita da cristiani fa nascere negli altri il sospetto che, in fin dei conti, non si è persone pazze.
Gesù ha fiducia in noi, nella nostra capacità di raccontarlo con la nostra vita e di annunciarlo.

pensarci come luogo di incontro dove qualcuno può incontrare Cristo

Bisogna dunque avere il coraggio di essere quello che si è, perché, come si legge nelle ultime righe del documento della CEI “Progetto culturale orientato in senso cristiano”, “Viviamo tempi difficili, ma anche stimolanti. Sappiamo di star dentro una svolta assai significativa della storia dell'occidente e di tutta l'umanità. [...] Il progetto culturale vuole oggi creare unità di intenti e un più organico slancio all'impegno di fare dell'incontro con Cristo il principio di un rinnovamento delle persone e della società”. Per una nuova strada ci vuole nuova gente, ci vuole nuovo coraggio, nuovo ardimento. Bisogna che molti ritengano valga la pena impegnarsi, farsi entrare dentro la passione della missione.

In un tempo in cui molti includono Cristo tra i personaggi importanti, ma lo considerano come tanti altri tra cui scegliere quello che va meglio, in questo grande relativismo così accomodante, dobbiamo con la nostra vita testimoniare che Cristo è l'unico salvatore del mondo.
Dobbiamo allora pensarci, piccoli e grandi, uomini e donne, qualunque sia la situazione di vita, come luoghi dove qualcuno può incontrare Cristo.
Non possiamo mancare a questo mandato, perché altrimenti l'incontro non avviene.

Ivo Batocco, Santo Francesco e la sua missione
 
Questa è la nostra grande, entusiasmante e, in fondo, molto seria, responsabilità.
Missione! Il punto esclamativo è opportuno per questa parola.
Gli orizzonti della missione non ci sono, la frontiera sfugge sempre, grazie a Dio.
Affidiamoci a Maria, la prima missionaria, a Teresa, a Francesco.
Giuseppe Pollano
tratto da un incontro all’Arsenale della Pace
testo non rivisto dall'autore



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