L’IMMIGRAZIONE ha un volto concreto

Publié le 31-08-2009

de Simone Bernardi


Oggi, quando sento parlare di leggi contro i clandestini, penso subito che sono proposte dall’agonia di un cuore in decomposizione…

di Filomeno Lopes

Forse i colonizzatori non avrebbero mai pensato che il tragitto delle navi non sarebbe stato solo unidirezionale, e oggi, quando sento parlare di leggi contro i clandestini, penso subito che sono proposte dall’agonia di un cuore in decomposizione, perché chi ha storicamente iniziato un processo non può ritenersi esente dalle conseguenze che quel processo ha innescato.

Se la storia ci insegna qualcosa, è necessario prendere atto che a suo tempo è iniziato un processo - giusto o sbagliato non è più questo il problema - che oggi ha come conseguenza ineluttabile l’immigrazione; il problema oggi è nel regolamentare una convivenza pacifica e pacificata, perché ormai tutti quanti percorriamo lo stesso itinerario. Anche la Cina, che finalmente si è aperta al libero mercato e che oggi fa così paura, si è plasmata nell’ambito di un’ideologia occidentale: il marxismo. Come si può notare, l’occidente è molto più vasto di quello che tanti politici privi di cultura critica vogliono far intendere, creando delle categorie completamente avulse dalla realtà storica, col rischio di creare contrapposizioni prive di significato.

Emigranti italiani sul ponte di una nave
diretta verso gli Stati Uniti
agli inizi del ’900

Fonte: sito web “Siamo tutti emigranti” - RCS libri

Immigrati su un barcone
diretto verso le coste italiane oggi

Fonte: film “Quando sei nato non puoi più nasconderti”
di Marco Tullio Giordana

Occorre pensare a politiche diverse che rispondano al problema delle migrazioni che sono, peraltro, un diritto umano sancito dalla Carta dei Diritti Umani delle Nazioni Unite, e non l’elemosina che uno Stato fa a qualcuno. Una volta voi venivate in Africa. Oggi, correndo grandi rischi, la gente attraversa i mari per venire in Europa con la differenza che quando arriva l’unico cannone che ha sulla sua nave sono gli sguardi giudicanti e imploranti umanità. È una situazione ben diversa da quella dei colonizzatori che avevano cannoni veri e carte geografiche su cui tracciare e imporre confini.

 In Italia (e non solo, ovviamente), Paese che ci ha insegnato la cultura umanistica, si ritiene giusto e civile espellere ammanettato, come se fosse un assassino, chi vi è approdato per fuggire dalla disperazione e per trovare speranza; perché? In Italia l’approccio all’immigrazione oggi è soprattutto politico. Invece l’approccio dovrebbe essere antropologico: io non ho davanti l’immigrato, ho davanti un volto concreto che mi interpella sul mio senso di civitas, la mia consapevolezza di vivere in uno Stato di diritto, democratico. Se l’approccio è prima di tutto antropologico, come tale non può trovare risposta ultima se non in una legge che abbia un approccio antropologico; anche quando non riesco a dare una risposta di speranza, so però trovare un linguaggio che non sia quello di umiliare la gente dicendo: adesso servono le cannonate. È un linguaggio antico, che non mi dice nulla di nuovo, perché già ieri voi sbarcavate in Africa sparando le cannonate.
ALLA RICERCA DELLA SOPRAVVIVENZA

C’è un’altra domanda che in genere non vi ponete, ma che dovreste porvi: Perché la stessa gente che ha lottato ferocemente contro il sistema di colonizzazione, di schiavitù e di tutto ciò che le è stato imposto, oggi lascia la propria terra e viene qui a consegnarsi come schiavo a casa degli ex colonizzatori? Sicuramente chi viene cerca uno spazio umanamente vivibile e condivisibile. La lotta di questa gente contro l’oppressione e la schiavitù ha reso, in un certo senso, gli ex colonizzatori più umani, per cui preferisce venire a subire umiliazioni a casa loro piuttosto che vivere di disperazione.
Per trovare una risposta anche politica bisogna affrontare il problema dell’impoverimento. E tener presente anche la storia: ci si trova così di fronte ad un’altra questione importante perché va a toccare il problema della violenza strutturale che vede una connivenza tra i nostri governi e quelli europei. Nessuno in Africa diventa dittatore se non ha qualche Paese potente che lo sostiene. Tu, europeo, che dici di vivere in una società civile, democratica, illuminata, ti sei mai interessato di sapere cosa fa il tuo Governo, ad esempio nel Congo? Ti sei mai chiesto come fai a utilizzare ogni giorno i cellulari, le play station, gli aerei se non hai le materie prime per costruirli? Finché il tornaconto va verso di te, chiudi gli occhi e ti consideri una società civile.
Questa però non è una società civile. Sei un cittadino che bada agli interessi, anche giusti, del suo Paese, ma non sei una società civile perché civile deriva da civitas, che significa semplicemente umano. Allora sei chiamato a fare in modo che il tuo Stato non faccia negli altri Stati ciò che non farebbe mai a casa sua. Nessuna società può considerarsi civile quando permette che i propri Stati facciano ad altri ciò che non farebbero al loro interno. Allora io dico, finché nel Congo c’è gente che muore perché ci sono minerali fondamentali (cfr. R. D. CONGO: La frontiera di Bukavu), tu non puoi dire che vivi in una società civile. Chiediti che cosa fa il tuo Ministero degli Affari Esteri, i potentati economici e finanziari. Ma sei disposto a cambiare anche un po’ il tuo stile di vita?

Se allora vuoi che io africano possa vivere nel mio Paese, poniti queste domande,
fa sì che lo Stato italiano non chiuda gli occhi su ciò che sta succedendo nel mio Paese, perché altrimenti quel disgraziato di capo che ci ritroviamo non ci ascolta! A lui basta sapere che il Portogallo lo appoggia, che la Francia non lo ostacola, che l’Italia gli strizza l’occhio… questo gli basta. Se invece sviluppiamo una rete di solidarietà che ha a cuore semplicemente l’essere umano, arriveremo insieme a costruire davvero delle società civili. E questo, per fortuna, è già in atto.
Sapete perché oggi nel mio Paese, la Guinea Bissau, ho la libertà di poter lavorare per far valere i diritti di una società civile? Perché se il mio Stato sa che il Sermig mi conosce, quell’altra associazione mi conosce, quell’altra organizzazione o istituzione internazionale pure, ci pensa due volte prima di eliminarmi. Quando arriveremo veramente ad un punto tale in cui le società civili non dicono più: questo è il mio Stato, ma questo è l’essere umano a cui ogni Stato deve rispondere in un modo umanamente possibile, allora quel giorno si potrà davvero dire che esiste una società civile.
ALLA RICERCA DEI DIRITTI UMANI

Le stesse considerazioni valgono per i diritti umani. Tu non mi puoi dire che vivi in uno Stato di diritto quando, ad esempio, si chiudono gli occhi sugli iracheni che muoiono in un attentato e si propone il tema dei diritti umani solo se a morire è un italiano, oppure quando gli americani, che si fanno paladini dei diritti umani, non devono rispondere ad alcun tribunale internazionale. Se uno Stato si mobilita perché un suo cittadino in un altro Stato ha avuto negati dei diritti o è stato ucciso, io sono contento per questo. Riscontro però anche che, quando quello stesso Stato partecipa a violenze o massacri di vittime, questo non desta particolari preoccupazioni.
 È una pretesa purtroppo insostenibile oggi dire che esiste una società nella quale i diritti umani sono riconosciuti quando, in realtà, ci sono diritti solo per alcuni popoli. Se io so che nel mio Paese il Presidente è un tiranno perché Chirac lo permette, come posso convincere il mio Presidente a fare quello che dovrebbe fare e non fa? Allora bisogna rifondare ciò che intendiamo per società civile. Noi abbiamo lottato per ottenere l’indipendenza e oggi, in meno di 30 anni, quella stessa gente e lì a chiedersi quando questa indipendenza finirà! Non siamo ancora riusciti ad universalizzare la sofferenza umana; non abbiamo ancora costruito quella società civile dove ognuno lotta affinché nessun essere umano, ebreo, europeo, africano, asiatico debba più soffrire.

Oggi c’è ancora quella mentalità per cui se vengono negati i diritti agli altri, non sono affari miei. L’Europa deve decidere finalmente se noi siamo esseri umani oppure delle bestie con sembianze umane. Una società non sarà mai civile finché in tutte le altre parti del mondo i diritti umani non saranno garantiti. Io penso che oggi si soffre in Europa del declino della cultura, e la politica è la prima a manifestarlo. Dice il proverbio: quando il futuro si presenta incerto, l’unica strada percorribile è tornare indietro, che non significa tornare al passato, cosa che non è più possibile, ma andare a recuperare le nostre radici. L’Europa ha le radici umanitarie, e deve riscoprirle se vuole che il mondo risolva in maniera politicamente più corretta i problemi, tra i quali quello delle migrazioni.

da un’intervista a Filomeno Lopes
(giornalista e filosofo guineano)
a cura di Simone Bernardi
da Nuovo Progetto agosto-settembre 2005

n.d.r. Pensare ai milioni e milioni di italiani emigranti che a cavallo tra l'800 e il 900 hanno trovato una nuova patria ad accoglierli, ci faccia considerare l’atteggiamento e il modo con cui noi stiamo accogliendo nel nostro Paese l’immigrazione di oggi.


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