Letargo

Publié le 28-01-2021

de Arsenale della Piazza



Letargo
Trovare un altro modo 

Come luci di Natale. A intermittenza. Funziona così adesso. Funzioniamo così noi. Porte aperte dopo accurati preparativi, sono da richiudere in fretta e furia, sperando non ci rimanga la mano in mezzo. Luci accese da un attimo ed è subito ora di spegnere, proprio quando fuori fa buio e ci vorrebbe qualcuno vicino. La festa è finita. Di nuovo in letargo. Come gli animali. Solo che loro lo sapevano. È il programma di Madre Natura a cui si sono sempre attenuti, pena la vita, hanno seguito orme più grandi delle loro dirigersi per generazioni nello stesso momento verso lo stesso posto. Tradizione, imitazione, fedeltà alla specie a cui appartengono. Si preparano. Accumulano le provviste, abbelliscono e fortificano la tana perché sia confortevole. Senza le stelle a classificarne l'eleganza, il lusso e la differenza. La legge del più forte dice chi sta dove e chi sta come.

Basta che sia caldo quando fuori è freddo, sicuro quando fuori è pericoloso. Istinto di sopravvivenza che comanda quando la Terra diventa inospitale e minacciosa. Perché devi, perché non si può fare in un altro modo, mica perché è bello. Le regole non le facciamo noi. Credevamo di essere diventati potenti e superiori, più niente a cui doverci inchinare e inginocchiare tranne che a noi stessi. Ora abbiamo anche noi un programma a cui attenerci. Possiamo subire e piangere. Accumulare rancore e rassegnazione. Rompere e distruggerci. Oppure accettare e creare. Rielaborare la perdita e la distanza. Inventare il modo di volerci bene e di volere bene lo stesso. Anche se è difficile, anche se è triste, anche se non è giusto. La tana è piccola, gli abbracci vietati, gli affetti lontani, quello che più ci piace, meno lo possiamo fare. 

Fuori c'è la nebbia dentro cui nascondersi, la neve con cui addobbare pupazzi e giocare a fare gli angeli con gli occhi rivolti verso il firmamento, le pozzanghere dove saltare e ridurci ad uno straccio. Fuori c'è la vita. Ma non si può. Gli stracci siamo noi. Dobbiamo stare dentro. Dobbiamo stare lontano. Guardare dalle finestre. Vietato l'accesso al creato che dovevamo soggiogare e dominare. Invece. Ancora trovare il modo. Di stare in contatto con chi non possiamo vedere, toccare, baciare. Sembrano sbarre, anche se non è una prigione. Almeno non per noi. Ci sono famiglie di 6 persone imprigionate nell'inferno di una stanza. Per loro sarà una guerra. Mancherà il cibo. Mancherà l'aria. Per tutti sarà senso da trovare dietro divieti, impedimenti, rinunce, privazioni. Dolorosa assenza di momenti speciali che non vivremo, rubati da un virus che non era d'accordo.

Eppure. Vallo a dire al bambino che avrebbe vinto la coppa. Alla ragazza che ha perso il suo primo bacio. Agli innamorati confinati lontano uno dall'altro. Alla piccola vita abbandonata che aveva trovato una mano da stringere per vivere la sua promessa di essere voluta bene. Alla serranda alzata dopo anni di sacrifici, abbassata in un attimo, forse per sempre. Non c'è più niente di tutto questo. Resistere. Sopravvivere. Alla polvere. Alla fatica. Alla solitudine. A quello che non possiamo fare ora e che non potremo fare neanche dopo. Attimi di felicità e vita che non ci è stato concesso vivere, ricordi che non avremo e feste che non ci saranno. Tutto è sospeso. Vietato. Interrotto. Hanno staccato la corrente e nessuno sa quando la luce tornerà. Bisogna trovare un altro modo. Di accenderci. Di vivere lo stesso. Di accumulare ricordi belli e momenti speciali. Comunque. Anche stando dentro. Anche stando lontano. Essere vivi. Essere noi. Trovare il modo. Trovare un altro modo.

Marco Grossetti
Da Nuovo Progetto, dicembre 2020
 

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