Laboratori di street dance

Publié le 04-11-2019

de Marco Grossetti

Estratto dalla tesi di laurea di Elisa De Simoni, "Street dance e seconde generazioni, i balli di strada come forma alternativa di inclusione". Università degli Studi di Torino, Dipartimento di Culture, Politica e Società, Corso di Laure in Comunicazione Interculturale. Anno Accademico 2018-2019, relatore Antonella Meo.

Laboratori di street dance: analisi delle interviste

Il secondo progetto preso in considerazione è quello di cui si occupa Sara, una ragazza che tiene un laboratorio di Danza Interculturale a dei bambini delle elementari di seconda generazione presso l’Arsenale della Piazza. Nell’intervista le ho fatto alcune domande riguardo a qual è stata la sua esperienza di insegnante di danza ai più piccoli in un contesto interculturale come quello del Sermig. Il terzo progetto analizzato è collegato al secondo, e mi riferisco al laboratorio tenuto da Alberto, un giovane ragazzo di 19 anni, che tiene in collaborazione con una sua collega di nome Daisy, un laboratorio di danza per ragazzini delle medie di origine straniera al Sermig. Chi partecipa a questo laboratorio ha spesso già iniziato il percorso di danza durante il periodo elementari con Sara, la ragazza dell’intervista precedente. Nel corso delle conversazioni, nel momento in cui i differenti intervistati si sono imbattuti in argomenti simili, sono emerse tematiche che presentano non pochi aspetti in comune. Ciò mi ha dunque dato la possibilità di descrivere le informazioni raccolte realizzando un di filo conduttore tra i contenuti durante le interviste. In ogni caso sono anche emersi punti di vista differenti e idee originali da tenere in considerazione. Le differenze si dimostrano anzitutto per ciò che concerne le fasce di età coinvolte.

I laboratori di Sara e Alberto invece sono tenuti con cadenza settimanale rispettivamente il venerdì dalle 5 alle 7 al Sermig ed il sabato, presso l’oratorio San Gioacchino a Porta Palazzo. Fanno parte dell’attività extra-scolastiche del doposcuola organizzato dall’Arsenale della Piazza, una delle sezioni in cui è suddiviso l’Arsenale della Pace. Sara durante l’intervista ha descritto le dinamiche con cui si svolge il laboratorio:

“Nel tempo che abbiamo a disposizione durante le due ore alternate, in cui prima si seguono i piccoli e poi i grandi, i bimbi arrivano […] poi si fa un piccolo cerchio di benvenuto, che una volta al mese diventa un cerchio di condivisione, quindi se loro vogliono dire qualcosa si fa per alzata di mano...di solito uso un orsetto che si chiama “dido condivido”...l’orsetto è un oggetto che porta con sé molte memorie e reminiscenze importanti per i bambini e quindi semplicemente chi ha l’orsetto può parlare mentre gli altri devono stare zitti e ascoltare. Poi si fa di solito un breve riscaldamento con canzoni nuove piuttosto che canzoni già fatte negli anni precedenti che sono piaciute particolarmente, segue una parte di giochi ritmici, che secondo me sono utili per il loro allenamento, poi si passa ai passi e alle coreografie per lo spettacolo che si deve preparare e alla fine se si ha tempo si parla appunto di un concetto o tramite un video si vede una storia sulla gentilezza, sull’empatia o sulla generosità.”

In questo caso Sara spiega che i focus principali del laboratorio sono l’interculturalità e l’educazione. L’interculturalità in quanto il contesto nel quale ha preso forma, ovvero quello del Sermig, è costituito dall’interazione costante di culture, mentre educativo deriva dalla partecipazione da parte di Sara ad un progetto internazionale, chiamato “Dance for Kindness”, ovvero danza per la gentilezza. 

“La spiegazione del perché il laboratorio è anche educativo è un po’ più grande… si riferisce ad un progetto che ho incontrato qualche anno fa… si chiama Dance for Kindness, danza per la gentilezza [...] l’associazione che l’ha creato è un’associazione no profit di Brooklyn […] e si occupa della sensibilizzazione riguardo i legami e le relazioni tra le persone. La parte di Dance for Kindness prevede che ogni anno si faccia un enorme flash-mob internazionale in cui tutti i paesi che aderiscono si occupano di fare vari step e hanno un group leader, che sarei ad esempio io in Italia a Torino, chiamato Kindness Ambassador, il quale guida questo gruppetto ad imparare una coreografia che viene decisa per tutti con gli stessi passi e la stessa musica. Viene fatto lo stesso momento durante la stessa giornata, di solito l’11 Novembre, la giornata della gentilezza mondiale […] Da quel momento ho iniziato a lavorare con loro sulla gentilezza, tramite il supporto audio-visivo con tanti video che riguardano la generosità e anche corti cinematografici […] Ad esempio ci siamo soffermati a parlare del bullismo perché li aveva colpiti un bambino che aveva portato la sua storia di vittima di bullismo che tramite la danza era riuscito a superare, quindi il laboratorio ha una parte educativa poiché prevede la visione di qualcosa, il parlare assieme di un argomento, che nasca dai bimbi o piuttosto da me, un  momento di visione del materiale che li propongo e poi di dialogo […] lavoriamo prettamente sulla mancanza di attenzione, l’iperattività globalizzata che prende molti ragazzi di varie età e sull’autostima, che è molto importante soprattutto per minori migranti che sognano un’integrazione  ed un'inclusione totale.”

Il laboratorio di Alberto consiste anch’esso in un momento iniziale di raccoglimento, nel quale si parla di argomenti spontanei che nascono dai ragazzi, in cui sono inclusi anche discorsi informali riguardo alla scuola, ai voti, ecc. Successivamente si procede alla parte danzata del laboratorio, in cui le canzoni scelte di volta in volta vengono anche selezionate ed approvate dai ragazzi, in quanto risulta sia per Sara che per Alberto importante che le musiche siano apprezzate dai ragazzi e che non contengano parolacce. Alberto mi spiega durante l’intervista che per lui il focus del laboratorio, oltre che l’educazione, sono il divertimento e la conoscenza della danza come forma d’arte. 

Nel laboratorio di Sara sono presenti bambini originari del Senegal, del Ghana, della Nigeria, della Cina e qualcuno proveniente dall’Est Europa, come dalla Romania. Ci sono anche una bambina delle Mauritius, chi proviene dal Pakistan e dal Bangladesh. Nel laboratorio di Alberto troviamo bambini con origini marocchine, senegalesi, nigeriane, cinesi, una bambina rumena, ed alcuni italiani. I bambini ed i ragazzi dei laboratori di Sara e Alberto provengono da zona di Barriera di Milano, Porta Palazzo, Quadrilatero ed Aurora. Come scuole sono state citate in particolare l’istituto Parini, l’istituto Fiocchetto e la scuola Sclopis. 

Sara, a causa della tenera età dei bambini coinvolti nel laboratorio, non si è occupata di insegnare qualcosa di specifico, ma ha preferito creare una mescolanza di generi di danza, come la danza classica, quella contemporanea, l’hip hop old school, l’afro beat e l’afro dance. Alberto si è più che altro occupato di insegnare il proprio stile personale di hip hop e di afro dance.

Per quanto riguarda i livelli di interesse rilevati tra i ragazzi coinvolti, gli intervistati affermano di aver registrato un forte coinvolgimento e un grande desiderio di divertirsi da parte di coloro che venivano coinvolti nei progetti. Sara afferma che il feedback ricevuto dai bambini è quasi sempre positivo, in termini di volontà di partecipazione e adesione delle attività svolte nel laboratorio. A testimonianza di ciò spiega di come i bambini le dimostrano durante molte occasioni di essere piacevolmente coinvolti nel laboratorio, facendole tante domande sui brani musicali e sulle coreografie. I bambini trovano anche numerosi momenti per ripassare le coreografie tra di loro o a casa, anche secondo quanto affermato dai genitori, che hanno manifestato più volte a Sara quanto i loro figli sono soddisfatti del laboratorio e quanto ne parlano in famiglia. 

S: “Quello che ho sempre notato è che sono molto famelici di imparare qualcosa di nuovo anche se impegnativo, chiedono continuamente di fare cose nuove e fanno domande come “Quindi qual è il brano? Qual è la coreografia? Come è diverso da quelli che abbiamo già fatto?”. Hanno anche molte domande tecniche sui passi e io cerco di spiegarglielo come posso.”

Sara ha avuto un riscontro positivo riguardo all’interesse anche da parte di una componente maschile del corso, attestando così che la danza insegnata nel laboratorio può superare le eventuali barriere di genere.

S: “Abbiamo 3 maschietti che ballano quest’anno, mentre l’anno scorso ero riuscita a coinvolgere anche maschi più grandi a ballare, che fanno anche calcio e mi hanno sorpreso particolarmente... mi ha colpito come collaborassero e come a livello di squadra riuscissero a fare il balletto e le coreografie… sono stati scoperti dei veri e propri talenti insomma, perché in alcune attività motorie non vedi tanto coinvolgimento, invece con la musica e con l’esprimere i propri sentimenti i ragazzi si trovano a loro agio.” 

Ci sono ovviamente anche delle difficoltà nel tentativo di mantenere una classe in ordine, soprattutto in un contesto in cui si svolgono delle attività motorie con ragazzini che soffrono di disturbi dell’attenzione o iperattività. Ciò può creare motivi di disattenzione, che comunque si possono superare tramite alcuni stratagemmi pedagogici. Riguardo a queste problematicità Sara afferma:

S: “Molte volte percepisco che la criticità maggiore sia il casino… ma non è una cosa riferita alla danza, proprio a livello generale, sarebbe da capire come coinvolgere in modo positivo piuttosto che passare all’urlo o allo stop della lezione, che agli inizi è stato molto necessario soprattutto per il gruppo delle piccoline. Nonostante piacesse e nonostante volessero imparare, i momenti di casino iniziali succedono sempre… purtroppo fa sì che quelle più grandi e abituate si stufino quelle nuove più piccole non sanno cosa stia succedono… purtroppo bisogna armarsi di pazienza e studiare tante nuove strategie… io provo così dallo spruzza calma (che è l’ultima news, funziona abbastanza… quando esagerano glielo spruzzo addosso e loro si fermano e si calmano) ad una meditazione di silenzio che ogni tanto facciamo con dei brani più tranquilli”

E ancora sostiene facendo una riflessione riguardo al ruolo pedagogico del laboratorio: 

S: “La cosa difficile nel contesto Sermig è portare il concetto educativo a questi bimbi che non ce l’hanno molto presente, come i turni di parola... forse la danza è anche un modo per insegnare un po’ questo, anche far passare dei messaggi, come qualsiasi altra attività che però tramite la danza arrivano loro veloci e diretti... aiuta anche per esempio nel loro non impegnarsi tanto o ritirarsi ogni qual volta c’è qualcosa di difficile da imparare secondo me tramite la danza è invece possibile far superare loro questo problema”

Alberto invece registra tra le difficoltà un calo dell’interesse in alcuni bambini quando si trovano di fronte alla situazione di imparare passi per loro difficoltosi, che può essere superato attraverso momenti in cui si dà loro la possibilità di soffermarsi sui movimenti più complicati.

A: “A volte è normale che ci sia una parte di distrazione quando si insegnano i passi, io lo prendo come normale perché sono ragazzi alla fine… cerchiamo comunque di coinvolgerli e spieghiamo loro che è necessario fare attenzione… a volte si lamentano se si trovano nel momento in cui non riescono a fare dei passi difficili, ma noi insegniamo e rispieghiamo come arrivare a fare passi che loro trovano difficili”

Concentrando successivamente le mie domande sul clima di condivisione percepito all’interno del laboratorio, a parte un’iniziale barriera di timidezza e vergogna presenti in tutti e i casi ed il suo superamento tramite varie strumenti educativi, ho registrato risposte molto positive riguardo al grado di empatia e partecipazione emotiva, sia personale che collettiva, alle attività proposte dagli operatori ai ragazzi. 

Sara parla del suo laboratorio come un luogo molto energico e dinamico, ricco di emozioni differenti, nel quale si istaurano legami anche duraturi di amicizia e rispetto sia tra lei e i bambini, che tra i bambini stessi. Sara percepisce un forte entusiasmo e una voglia di dimostrare le proprie potenzialità attraverso la danza da parte loro durante le ore di lezione e le prove, ma soprattutto nel momento in cui si realizzano degli spettacoli, che sia di fronte ai genitori o ad un pubblico più ampio. I bambini sono molto affezionati sia a lei che al gruppo con cui condividono l’attività di ballo:

S: “Lo scorso anno è stato conclusivo per alcuni che sono passati al corso medie, non li ho poi più rivisti durante il mio laboratorio, quindi è stato ancora più ricco di emozioni anche da parte mia, perché sapevo che avrebbero finito. Da loro ho sentito sempre anche dagli anni precedenti una conclusione bella, perché si finisce sempre con uno spettacolo in cui loro sono veramente nervosi e agitati per fare il meglio che possono e che sentono come un saggio in un teatro, quindi è stato sempre una conclusione bella. In più ritrovandoli a settembre dell’anno passato, si ricordavano addirittura delle coreografie dell’anno scorso, le riprovavano, mi chiedevano di ripartire da lì.”

Ad influire sul clima di condivisione, Sara specifica come abbia importanza la scelta di brani provenienti dalle macroregioni a cui appartengono la maggioranza dei bambini del Sermig, quindi la presenza di una varietà di canzoni africane, asiatiche ed americane, oltre a quelle italiane. Per Sara è fondamentale che l’interculturalità del laboratorio sia rispecchiata anche nei ritmi su cui i bambini ballano, in modo che ognuno si possa sentire incluso e rappresentato, e che tutti possano apprezzare e conoscere sonorità differenti da quelle afferenti al proprio contesto d’origine. 

S: “[...] una bambina che è molto più frizzante ed è grande ora, aveva detto” è un peccato che ogni volta facciamo spesso canzoni provenienti dall’Africa” perché vanno di più sono più ritmiche e coinvolgenti... aveva ragione, e questo succede anche perché la provenienza di bambini Nord e Centro africani fa sì che ciò sia inevitabile... però a me piace molto la musica asiatica e la seguo per interesse personale... effettivamente da lì mi è venuto in mente, sono sempre così bravi e silenziosi Cina, Filippine o altro, che tendi a non farli emergere quanto potrebbero.. ho inserito quindi una canzone asiatica nello spettacolo, un brano che è piaciuto a tutti... poi abbiamo anche utilizzato i ventagli, l’oggetto di una tradizione cinese. [...] sono contenta in questo senso... non è nemmeno facile coinvolgere tutti e far sì che tutti amino il brano anche se per adesso ho capito un po’ tutti i gusti dei bimbi. Per ora negli anni in cui ho fatto il laboratorio mi hanno colpito due brani entrambi di cantanti sconosciuti... due bambine, una delle Filippina l’altra africana, che entrambe con due brani molto semplici, carini e orecchiabili, hanno messo d’accordo tutti i ragazzini di qualsiasi età ed etnia e questo mi ha colpito molto perché senti che c’è un rimando.”

Affinché si possa capire il messaggio educativo contenuto dai brani che Sara sceglie, esamina e propone ai bambini, sono anche presenti nel laboratorio dei momenti in cui i testi delle canzoni vengono analizzati e tradotti collettivamente, un’ottima strategia che permette ai bambini di abbattere le barriere linguistiche e dona un’occasione ai bambini di seconda generazione di approfondire la conoscenza dell’italiano.

S: “[…] È sempre stata una mia idea il passare qualcosa attraverso le parole ed i gesti. Ho tentato di fare anche con loro un percorso su questo, quindi dopo aver scelto brani in altre lingue poi li traduciamo. È necessario capire perché un gesto che usiamo nella coreografia richiama quella parola lì ed è anche un modo per loro per continuare ad imparare l’italiano, che risulta fondamentale. Abbiamo anche trattato testi italiani come Occidentali’s Karma di Gabbani. È stato molto utile e lo sapevano tutti. Ovviamente non è mai facile perché bisogna trovare brani adatti ai bambini, che piacciano a livello ritmico... insomma molte volte non è facile perché parecchi testi non portano significato o contenuto.”

Anche Alberto ha rilevato un buon grado di condivisione all’interno del laboratorio tra i partecipanti, che a sua opinione, è stato favorito dal fatto che oltre a seguire l’attività di ballo assieme durante il laboratorio, i ragazzi prendono parte a numerose altre attività in comune organizzate nel contesto del Sermig.

Ho successivamente ritenuto opportuno ai fini della mia ricerca cercare di approfondire le informazioni che gli intervistati avevano raccolto nel corso del tempo durante i laboratori riguardo al come viene vissuta per i figli di immigrati la loro condizione di “quasi-italiano”, quindi quali sono le sensazioni, i pensieri e i modi di fare che l’appartenenza alla “seconda generazione” suscita nei ragazzi e se essi hanno dovuto per questo motivo affrontare situazioni di esclusione sociale. Per quanto riguarda quest’interrogativo ho avuto risposte alquanto diversificate.

Sara  riporta di come spesso si sia trovata di fronte a ragazzi che stavano sperimentando un momento di difficile inclusione sociale, e provando sensazioni ambivalenti di confusione nei confronti di quei quartieri di Torino, che sebbene siano caratterizzati da un certo livello di disagio e pericolosità, sono sempre la loro casa. Il loro disorientamento deriva principalmente dalla sfiducia che parte della comunità torinese ripone negli stranieri e negli abitanti dei quartieri disagiati, e dal timore dei bambini di fronte ai discorsi populisti e dei provvedimenti realizzati dai partiti politici di destra.

S: “A volte è venuto fuori quasi sempre dal gruppo delle più grandi che hanno un’età compresa tra gli 8 anni e mezzo ai dieci anni, parlando del contesto Porta Palazzo, di quello che accade… di Salvini molto spesso, delle leggi, di cosa succederà... c’è molta preoccupazione, una bambina addirittura si è messa a piangere dicendo che aveva paura che dei suoi parenti sarebbero stati rimandati al paese d’origine. Dalla parte asiatica è venuto fuori un po’ meno, perché è più difficile, sono molto più contenuti […] in alcuni momenti sia per la politica che segue il Sermig, sia per la mia posizione personale di educatrice, tendo ad ascoltarli, a far sì che avvenga un dialogo il più possibile aperto e positivo. […] per esempio mi ricordo di un episodio preciso di un accoltellamento che era avvenuto un anno fa proprio dove abitano loro, vicino a Corso Giulio, Corso Brescia e questo aveva portato ovviamente molto scompiglio… avevano riportato frasi che avevano detto loro italiani o passanti per dire che Porta Palazzo è un quartiere brutto, che abitano in un posto degradato… quindi sì mi ha colpito e questo mi ha fatto riflettere sul fatto che loro capiscono e sentono molto… può sembrare che siano nel loro mondo ma alcune cose arrivano a loro dirette. Ho cercato di risollevare il morale spiegando che Porta Palazzo è anche un bel quartiere… poi ovviamente è difficile, devi essere anche franco e onesto con loro spiegando che è problematico il quartiere in cui vivono… però nonostante tutto è stato un bel momento di dialogo anche quello.” 

Alberto invece trova difficile rispondere a questa domanda in quanto mi spiega di non aver mai avuto l’occasione di approfondire questo tema con i suoi ragazzi.

Procedendo con i quesiti, sono giunta a chiedere agli intervistati se in base alla loro esperienza, la danza nei laboratori abbia creato una situazione di integrazione comunitaria tra i partecipanti, e se in generale questo tipo di disciplina possa aiutarli ad elaborare i propri problemi personali di inclusione all’interno del gruppo classe o nella società più ampia. 

L’opinione di Sara riguardo all’agire sociale della danza rimanda a come questa abbia rispetto ad altre discipline un carattere fortemente comunitario favorito dal fatto di essere un codice universale, che attraversa qualsiasi differenza di stato, di continente, di religione.

Per di più, Sara riporta numerosi episodi in cui i bambini partecipanti al progetto hanno sperimentato vere e proprie esperienze di integrazione grazie alla danza. Il primo caso è riferito ad una bambina proveniente dal Bangladesh:

S: “Anche solo osservandoli nelle due ore di laboratorio, credo che sia un valido strumento e un buon ponte per attraversare questi vuoti... sia a livello di autostima per chi ha problemi di integrazione, sia in classe, che nelle attività extra e mostra quanto si senta sicuro in quel momento lì, quanto può condividere con gli altri, quanto lo ha aiutato in modo che sia un esempio per gli altri... in questo senso penso sia molto utile... ho visto che anche nei più timidi la sensazione di far parte di una comunità, se si sentono esclusi o autoesclusi, magari trovano una chiave per venire fuori... che sia anche l’ironia per esempio come è capita ad una bambina del corso proveniente dal Bangladesh…si auto isola ed è isolata. Ha 10 anni ed un carattere particolare, piuttosto che una provenienza meno diffusa e meno agganci rispetto ai compagni. Però abbiamo scoperto che ha questa vena più o meno intelligente di ironia che esprime sia con il corpo facendo un po’ la stupidina, sia a parole… durante un allenamento ha fatto un movimento che ha fatto ridere tutti, me compresa, e l’abbiamo poi inserito in una coreografia.”

Il secondo caso riguarda due bambine cinesi:

“[...] ci sono due bambine di cui ho proprio visto l’evoluzione tramite la danza, una proveniente dalla Cina è arrivata che non parlava italiano, non faceva niente e non voleva saper fare nulla, ma tramite una mia dedizione a lei durante altre ore e tramite le canzoni della danza, anche canzoni cinesi che mi ha sia insegnato lei che la mamma, siamo riusciti a sbloccarla e questo è un grande risultato.” Nel terzo caso cita una bambina di origine nigeriana:

S:” Poi un’altra bambina proveniente dalla Nigeria che è portata per la danza, secondo me dovrebbe fare delle gare o competizioni, nel momento in cui è nell’aula di danza si trasforma... è un'altra bambina, ma fuori torna timida, silenziosa, con problemi a livello scolastico. Quindi è un po’ fiorita ballando. “

Sara mi racconta anche di bambini che sono riusciti a superare dei problemi di autostima dipendenti dal proprio aspetto esteriore, o dall’appartenenza ad un genere diverso da quello considerato naturale. 

S: “Mi ricordo di una bambina che aveva una bassa autostima perché in grande sovrappeso, che però tramite la danza è riuscita e far vedere ciò che sapeva fare e a non vergognarsi del proprio corpo e poi qualche bambino maschio di cui si è scoperto il talento. […]  Per esempio, questo bambino che è alle medie ora, purtroppo ha smesso adesso di venire, credo sia omosessuale o comunque molto femminilizzato ed era bullizzato a scuola ovviamente… ma tramite la danza diciamo aveva trovato un modo per esprimersi… era anche bravo. “ 

Sebbene Sara sia dispiaciuta che questo bambino non sia più venuto a lezione, è invece contenta per il feedback positivo che si è verificato tra lei, la bambina sovrappeso e la sua famiglia, raccontandomi di come un lavoro educativo in collaborazione con la sua mamma nel corso di tre anni ha permesso a questa bambina di acquisire una maggiore sensazione di libertà rispetto al proprio corpo.  

Alberto, che anche lui si trova d’accordo sul forte potenziale sociale che la danza possiede, mi racconta la sua personale riflessione rispetto a come lui vede il ballo a livello personale e artistico-espressivo:

A: “Secondo me, un’attività come ballare è un linguaggio universale dove se riusciamo a coinvolgerci cresciamo, e ci fa anche superare alcune cose… e questo forse lo notiamo anche dopo… quando ballo io ho l’obbiettivo di non pensare e le uniche idee che mi escono sono modi per esprimermi attraverso la danza nella maniera cui voglio io… per chi non sa come esprimersi può farlo tramite il ballo che è una cosa molto bella.”

A testimonianza del successo che la street dance ha come forma di integrazione e coinvolgimento dei ragazzi, gli intervistati hanno riportato vari benefici o cambiamenti nei ragazzi man mano che procedevano con il laboratorio. Da una riduzione parziale o totale della vergogna nel farsi avanti, ballare ed esprimere sé stessi nei ragazzini registrata da Alberto, alla manifestazione della volontà di diventare veri e propri ballerini o di studiare danza nei bambini seguiti da Sara

Sara riporta un buon grado di soddisfazione dei genitori per le attività di danza dei bambini. Ho anche domandato agli intervistati se fossero soddisfatti dei contesti e degli ambienti nei quali avevano tenuto il laboratorio, e riguardo a questo tema Sara e Alberto si sono dichiarati tutti alquanto contenti. Sara mi ha spiegato che alcuni dei suoi desideri per il futuro del suo laboratorio sono ampliare lo spazio per ballare e ottenere maggiori strumenti a disposizione, come l’ausilio di uno specchio, che risulterebbe molto utile per provare anche dei tentativi di Danzaterapia, e di strumenti musicali.

Nel momento in cui ho chiesto agli intervistati se intendessero fare una riflessione personale riguardo alle possibilità evolutive future del proprio laboratori, chiedendo loro se ci fossero punti che desiderassero migliorare, è emerso che Sara aspira a ridurre di più le situazioni di confusione o disordine che si possono creare all’interno del laboratorio, e spera di trovare sempre nuove fonti d’ispirazione per esplorare le potenzialità sociali della danza, come è stato per lei aver scoperto l’associazione che promuove il progetto “Dance for Kindness”.

S: “[…] questa cosa della collaborazione con l’associazione di Brooklyn credo mi aiuti molto nel senso che ho un’idea condivisa con loro riguardo alla gentilezza che ho anche fatto anche un po’ mia...  molto spesso non è facile trasmetterla… la danza non è collegata di solito a questo… molto più a divertimento, comunità e moda… alla gentilezza un po’meno… è anche una sfida diciamo... devo studiare dei modi in cui farla capire.”

Alberto ambisce ad un aumento del numero dei ragazzi che partecipano al suo laboratorio, in quanto secondo la sua opinione potrebbe portare a degli sviluppi positivi.

Complessivamente, tutti  gli intervistati si trovano piacevolmente soddisfatti del percorso compiuto fino ad ora.

A: “[…] quando ho cominciato ad insegnare era ottobre e l’anno dopo in estate, li ho trovati a riprodurre dei passi che avevo insegnato e spiegarli ad altri ragazzini…li facevano tranquillamente soprattutto durante l’estate ragazzi. Quindi mi fa piacere aver tolto questa parte di vergogna…la loro fiducia in sé è cresciuta anche perché non ho mai pensato di dire tu sei più bravo/a di quello/a […] permetto loro di imparare e fare i passi secondo il loro stile, questa è la bellezza”

In seguito alle informazioni raccolte sui laboratori, e successivamente alle riflessioni che ho compiuto a riguardo, posso sostenere che il coinvolgimento della street dance, possa essere un valido strumento aggregativo, unificante ed integrante di fronte alle difficoltà di inclusione per le seconde generazioni.

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