Le radici di una vita

Publié le 17-01-2021

de Redazione Sermig

La storia di mia sorella Maria affonda le sue radici tra i telai di una industria tessile di Chieri, quando Alessandrina Piovano e Vittorio Cerrato, abili tessitori, iniziarono a tessere il loro amore, coronato col matrimonio il 26 maggio 1940.
Maria nacque tre anni dopo, il 17 aprile 1943 e le foto dell'album di famiglia testimoniano la gioia di mamma e papà accanto alla loro prima bimba che fu accolta come un grande dono di Dio anche se erano gli anni della guerra, anni difficili per tutti…

A distanza di 19 mesi da Maria, venne alla luce la sorellina Piera e quattro anni dopo arrivai io, Adriana.
Maria ebbe in dono da Dio un carattere molto sereno e questa serenità che la caratterizzò fin da giovanissima le fu compagna fino agli ultimi istanti della sua vita.
In famiglia, la sua presenza trasmetteva sicurezza e pace. Era equilibrata quando si doveva prendere qualche decisione e sempre molto accogliente con tutti.
Un giorno ho sentito mia sorella Piera commentare con un’amica: “Maria era talmente buona e conciliante che tra noi sorelle non siamo mai riuscite a bisticciare!”.

Negli anni dell'adolescenza e della giovinezza partecipò con molto impegno alle varie attività dell'Oratorio delle suore di Maria Ausiliatrice di Santa Teresa, a Chieri, facendo parte anche del gruppo delle "Figlie di Maria".
Verso i diciott’anni e fino alla nascita di Lidia, Maria fu di grande aiuto al papà come segretaria, insieme al rag. Franco, socio e grande amico di papà, nell'azienda "La Tessile Chierese". Più tardi anche Piera si affiancò a lei nel lavoro della segreteria e, insieme, riuscirono a creare rapporti di amicizia molto belli con le ragazze e le mamme che lavoravano tra i telai tanto che nella fabbrica si respirava un clima molto familiare e sereno.

Era l’autunno del 1963 quando apparve all'orizzonte Ernesto. La motivazione ufficiale di Ernesto per venire a suonare il campanello di casa anche nelle ore più impensate era l'organizzazione della raccolta di fondi per la Giornata Missionaria Mondiale, ma credo proprio che il loro amore sia stato il classico "colpo di fulmine" perché non passarono tante settimane che Maria ne parlò in famiglia. Sapeva che a casa nostra le cose serie si vivevano ... con serietà. Ernesto fu accolto da tutti noi come figlio e fratello. 

Il 24 aprile 1965, tra la gioia di tutti, ecco il giorno tanto preparato e atteso del matrimonio. Maria ed Ernesto dicono il loro SI davanti al Signore e a tanti amici nella Parrocchia di S. Giorgio, a Chieri, dove Maria era stata battezzata.
Il Signore benedisse l’amore di Maria ed Ernesto con il dono di Lidia, di Sandro e di Andrea.
Insieme all’avventura della vita a due, Maria ed Ernesto iniziarono subito l’avventura del Sermig. 

Fu una scelta esigente e molto difficile da conciliare con la vita di famiglia. Ernesto è sempre stato un vulcano di idee e credo che la grandezza di Maria sia stata quella non solo di aderirvi,ma di incoraggiare e di sostenere con la preghiera e con la fede ogni nuova iniziativa. Questo, naturalmente, comportava per lei una dedizione sempre maggiore di tempo e di energie per i figli, cosa che ha sempre vissuto con grande naturalezza e generosità. Quando la fatica si faceva sentire di più, ci diceva: “l’abbiamo deciso insieme”, e andava avanti.
Se penso a Maria come mamma, mi viene subito alla mente la sua dedizione ai figli nell’accompagnarli negli studi scolastici. Maria si dedicò corpo e anima al loro studio, specialmente negli anni delle elementari e medie.

Era il maggio 1990 quando Maria venne colpita da un aneurisma celebrale. Fu una prova molto grande e molto sofferta per tutti; per oltre una settimana Maria visse uno stato di coma profondo, senza tante speranze di un risveglio e, ancor meno, di una guarigione.
Ricordo con commozione gli ultimi momenti prima che entrasse in sala operatoria.
Tra l’ospedale e la riabilitazione Maria dovette attendere sei lunghi mesi prima di poter tornare a casa e i primi tempi furono molto difficili perché si trattava di imparare a convivere con dei limiti fisici che la limitavano molto. Mia sorella Piera le fu di grande aiuto per ogni necessità, sia per la gestione della casa, sia facendosi molto vicina ai nipoti. Maria accettava con semplicità di aver bisogno degli altri e, davvero, non l’abbiamo mai sentita lamentarsi per la situazione in cui era venuta a trovarsi.

Negli anni successivi, uno dopo l’altro, i figli formarono le loro nuove famiglie: prima Sandro con Paola, poi Lidia con Enrico e per ultimo Andrea con Serena.
Maria si sentì più libera di potersi spostare al Sermig con Ernesto e la casa di Chieri divenne il punto di incontro domenicale di tutta la famiglia per ogni ricorrenza importante, sempre celebrata e festeggiata insieme, con grande gioia specialmente dei nipoti.

La malattia di Maria lasciò in lei conseguenze molto pesanti che la costrinsero a modificare completamente la sua vita e anche il suo modo di essere presente al Sermig. Non più la Maria super attiva, capace di passare, magari nella stessa giornata, dal servizio della cucina al centralino, dalla lavanderia all’accoglienza di chi batteva alla porta; ormai, la sua era una presenza tutta dedita all’ascolto e all’accoglienza, con grandi spazi di preghiera e di silenzio col suo Signore. Un momento sacro della sua giornata, per tanti anni, è stata l’ora di Adorazione Eucaristica, dalle 21 alle 22, nella cappella della fraternità: era il momento in cui consegnava al Signore tutte le gioie e le preoccupazioni di quel giorno e credo proprio sia sempre stata questa capacità di abbandonare tutto in Dio il segreto della sua costante serenità e fiducia nel futuro.

Con Maria ho sempre vissuto una profonda sintonia spirituale e anche se la vita ci ha portate a vivere geograficamente molto lontane (lei missionaria in pieno centro storico di Torino ed io nelle favelas di Rio de Janeiro), siamo sempre state strettamente legate dallo stesso filo rosso: quello della preghiera e della fede. Ogni volta che mi telefonava, condivideva con me le gioie e le preoccupazioni della famiglia e del Sermig e, sempre, c’era un nuovo progetto per il quale mi invitava a pregare. “Preghiamo tanto”, mi ripeteva spesso.

Sentiva di essere strumento, insieme ad Ernesto, di un’opera che aveva preso dimensioni impensate e il peso della responsabilità, a volte, diventava troppo grande, ma era anche cosciente che il Sermig era un qualcosa che non apparteneva solo a loro due e che, se Dio l’aveva voluto, ora l’avrebbe anche portata avanti…. Per questo, ogni momento di scoraggiamento, ogni paura, lasciava subito spazio alla fede e alla speranza in quel Dio che proprio guardando alla sua piccolezza, aveva fatto in lei cose grandi. Fede e speranza che Maria ha saputo trasmettere a tutti non solo con le parole, ma soprattutto con la sua serenità e pace profonda.

Adriana Cerrato 

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