Olivero, il sogno della pace

Publié le 16-02-2023

 

LA VOCE E IL TEMPO - di Marco Bonatti
Intervista - Il fondatore del Sermig: l'impegno costante a promuovere sviluppo, a vivere la solidarietà verso i più poveri

Olivero, il sogno della pace

INTERVISTA - Il fondatore del Sermig: l'impegno costante a promuovere sviluppo, a vivere la solidarietà verso i più poveri

Si sa che Ernesto Olivero tiene sul tavolo un quaderno che è un «diario alla rovescia... chi va a trovarlo viene invitato, a volte, a scriverci su qualcosa. Negli anni i quaderni si sono accumulati, dentro ci sono firme di ogni genere - giornalisti, imprenditori, cardinali, profeti e maestri dello spirito.

I diari scrivono una storia del Sermig che non è quella ufficiale. Che senso hanno?
Il diario alla rovescia è nato da un incontro che serbo nel cuore. Era un mistico che incontravo di tanto in tanto. Ogni volta gli chiedevo di scrivermi qualcosa che pensava potessi vivere.
Non volevo perdere neanche una parola di quello che mi diceva. Poi ho capito che potevo imparare da chiunque avvicinassi e ho iniziato ad offrire le pagine del diario alla rovescia alle persone che incontravo. Per me le persone sono persone, non sono i loro ruoli. Nei diari alla rovescia hanno scritto carcerati, bambini, ragazzi, persone di tutti i tipi, età, provenienza, lingua e cultura, e non certo solo gente famosa. Ogni incontro è un avvenimento che cambia la mia vita. Quella persona, se è incontrata davvero, mi regala qualcosa di sé, condivide con me la sua porzione di mondo, mi fa intravedere un punto di vista che non conoscevo e che cambia anche il mio.
Chiunque sia: ognuno è qualcuno.

Hai sempre coltivato l'incontro con personaggi famosi o «esemplari». Ma poi il lavoro dei gruppi è caratterizzato dal silenzio, dalla disciplina, dalla preghiera. Prova a spiegare...
Non c'è contraddizione tra l'incontro dei giovani con persone che possono essere indicate come esempio e il lavoro fatto di silenzio, di disciplina e di preghiera delle persone che si 'impegnano negli Arsenali. Si tratta sempre di contribuire a formare lo sguardo delle persone su se stesse e sul mondo. l'ascolto di persone di valore, come la costanza e la fedeltà di un impegno, li portano a scoprire chi sono, a diventare consapevoli delle propriequalita e dei propri limiti, a discernere cosa vogliono essere e cosa vogliono fare, su cosa vale la pena mettersi in gioco. Caso mai oggi la difficoltà è trovare persone autentiche e credibili che veramente possano essere proposte per essere ascoltate.
Non è impossibile, ma è difficile. Chi si presenta come «personaggio» non lo consideriamo affatto. Né ci identifichiamo con nessuna delle persone che invitiamo a parlare. Non dimentichiamo la vera profezia degli Arsenali: i nostri giovani e meno giovani che si impegnano qui vengono in contatto continuo con tante persone rifiutate, tribolate, negate, umiliate: sono loro i nostri veri maestri.

Che valore ha il denaro?
Il denaro è fatto per chi non ce l'ha e ha perso la sua dignità di persona. Con il denaro che le persone ci danno perché si fidano di noi cerchiamo di ristabilire un po' di equilibrio nel pezzo di mondo che ci è stato affidato. Il denaro serve, ma è di Dio. Dico sempre che Lui è il nostro azionista di maggioranza cui nulla si può nascondere. Cerchiamo di essere responsabili del denaro che ci passa tra le mani e trasparenti sull'uso che ne facciamo, rispettando anzitutto la volontà dei donatori. Ognuno deve avere la possibilità di verificare l'utilizzo. Guai ad approfittarne.
Il Sermig ha sempre vissuto in case non sue. L'Arsenale di Torino appartiene al Comune, quello di San Paolo del Brasile è un'antica struttura per l'accoglienza degli immigrati. Superga è dello Stato, la struttura dell'Eremo è data in comodato.
E Madaba, in Giordania è nato in una struttura del Patriarcato Latino.

Che rapporto c'è fra i luoghi dove si vive e la qualità delle nostre vite?
Il vero valore non sono le proprietà ma il loro utilizzo per il bene comune. Il valore è ridare vita a spazi abbandonati, trasformare luoghi di guerra in spazi di pace e farlo con il rispetto e la cura per la dignità delle persone. Cerchiamo nelle persone povere dei maestri che non sapevano di essere maestri. lnvece sono i maestri migliori.

In fatto di luoghi, l'Arsenale di Torino sta nel «quadrato magico» di Valdocco, che per i cattolici e non solo rappresenta una precisa visione di città. Qual è il servizio del Sermig alla gente e alla città di Torino?
Quando incontrai Paolo VI mi disse che da Torino, città di santi, poteva partire una nuova rivoluzione d'amore. Quelle parole ci hanno portato a Porta Palazzo e sono state la chiave dell'Arsenale della Pace. Anzitutto un luogo dove vivere uno stile di vita evangelico: una fraternità di persone diverse tra loro ma che anzitutto si stimano, si rispettano, si vogliono bene, tentano con tutti i limiti e le debolezze di essere semplicemente cristiani. Poi una casa sempre aperta a chi ha necessità materiali e a chi cerca speranza, aperta a chi chiede e a chi desidera offrire qualcosa di sé nella gratuità, senza escludere nessuno.
Fraternità e apertura alle necessità della gente sono la base di un modello di convivenza che sentiamo di offrire alla città, un tentativo di risposta alla solitudine e all'indifferenza in cui la nostra società è precipitata. II nostro è un piccolo esempio di come si possa ricostruire un tessuto comunitario che incontri i bisogni e le disponibilità della gente, in vista di un bene comune. Sempre partendo dai più deboli.
Accogliamo le persone che bussano per togliersi di dosso l'immondizia della vita. Le accogliamo con uno sguardo sereno, mai giudicante. Vogliamo che trovino in noi amicizia sincera, pulizia, generosità. Abbiamo tentato di passare lentamente dalle due ore al giorno alle tante ore, fino ad arrivare alle 24 ore su 24 di accoglienza permanente, specie per i poveri.
Per loro ci siamo inventati i centri medici, le accoglienze notturne, i pasti dignitosi e rispettosi delle abitudini alimentari, abbiamo cercato occasioni e posti di lavoro ... Sono i poveri che ci cambiano lo sguardo e ci formano. Sono i poveri che insegnano, a noi e alla città.
Ho 83 anni e non smetto di stupirmi delle cose che credo di intuire, di quelle che imparo dagli altri. Non c'è mai una parola "fine" alla crescita interiore di una persona.

I giovani vengono a centinaia per prestare servizio, a Torino e nelle città dove siete presenti.
Il Sermig ha avviato numerose «scuole», professionali e filosofiche. Quale maestro cercano?

I giovani cercano persone che vivono quello che dicono. Cercano persone autentiche, che non predicano, che non spacciano ideologie, ma vita vissuta. La loro. Cercano persone normali, vite normali. Solo vedendo vivere la normalità che non fa paura, che non si spaccia per eccezionalità, i giovani piano piano si avvicinano, provano interesse, cominciano a farsi qualche domanda. I giovani hanno fame e sono in cerca di persone vere che possono sfamarli.

L'arcivescovo Repole ha chiesto alla comunità diocesana di interrogarsi sui «germogli», indicare e condividere i segnali di novità e di speranza presenti nella nostra Chiesa e nel territorio oggi. Qual è il tuo contributo?
A volte cerchiamo lontano quello che abbiamo vicino: la chiave è vivere il Vangelo poco a poco, giorno dopo giorno, nella normalità della vita, nelle ore quotidiane, qualsiasi sia il nostro lavoro, la nostra età. Nel Vangelo di Giovanni Gesù dice che anche io posso fare le stesse cose che Lui ha fatto. E poi aggiunge: Anche di più grandi. Sono parole che mi hanno sconvolto, su cui ho meditato, pregato, lottato tantissimo. Non sono io che posso fare cose grandi: è Lui che le fa in me se trova disponibilità e apertura. Si tratta di fidarsi e affidarsi.
Se avessimo dovuto restaurare l'Arsenale a Torino con la logica di una società capitalista, i 45 mila metri quadrati sarebbero costati 400 miliardi di lire, così ha stimato un impresario competente. Invece eravamo un piccolo gruppo consapevoli di esserlo e senza una lira in tasca. Avevamo però un sogno, una fiducia immensa, alimentata dalla preghiera. Eravamo giovani e ci credevamo davvero. La gente si è innamorata ci ha aiutato e si è creato uno scambio di amore che ha moltiplicato le forze e tirato su muri. E insieme ai muri, le persone.

Marco Bonatti

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