Controcorrente

Publié le 10-03-2007

de Giuseppe Pollano


Solo un cuore giovane può accorgersi di un Gesù crocifisso per amore come della novità del mondo.
 

di Giuseppe Pollano

 

Nella società di oggi c’è un diffuso bisogno di cambiamento; non un cambiamento qualsiasi, ma un cambiamento morale, che morda nel vivo la coscienza della gente. Oggi c’è un anelito - più o meno espresso - a cambiare finalmente lo stile morale della vita.
Come avviene sempre, questo cambiamento è segnalato soprattutto dalla sensibilità dei giovani. Più freschi, più schietti, più liberi da certi vincoli imposti dalla società nella quale viviamo, riescono ad esprimere in qualche modo, purtroppo non sempre efficacemente, questo bisogno di cambiamento.
Il sociologo americano Thomas Roszak ha scritto: “I giovani di oggi hanno la potenza morale di lanciare la rivoluzione storica che essi desiderano; ma non illudiamoci, essi non vogliono niente di meno”. È un’osservazione intelligente; la fascia della società costituita dai giovani porta dentro un immenso desiderio di cambiamento. Però i giovani spesso non hanno la fortezza morale di effettuarlo, e perciò si esprimono con segnali frenetici e ribelli, ma di poca durata. Non importa che non abbiano il potere, essi esercitano comunque una profezia.
Noi siamo davvero in una situazione di umanesimo decadente, il cammino dell’umanità scende per una serie di processi negativi. Il cambiamento, che può essere “scendere” (decadenza) o “salire”, comporta il passaggio ad un altro tipo di uomo, ad un altro modello di vita. Per noi credenti il cammino verso Cristo sale.
“Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?” (Is 43,19). Ecco la grande domanda: ci stiamo accorgendo di Gesù?
Tocca a noi giovani nella primavera della grazia accorgerci di Gesù Cristo come della novità del mondo: e precisamente di Gesù crocifisso. Con giovani si intende il senso scritturale del termine, che non è più un senso anagrafico, ma è un senso evangelico. Quando Giovanni dice: “Scrivo a voi, giovani: voi avete sconfitto il diavolo. A voi, figlioli, io scrivo: voi avete conosciuto il Padre. ... Giovani, io vi dico che siete forti, che la parola di Dio è radicata in voi e che avete vinto il diavolo” (1Gv 2, 12-14) non allude agli adolescenti, ma a chi è stato rinnovato nella grazia. E così anche Paolo quando dice: “se anche il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore si rinnova di giorno in giorno” (2Cor 4,16).
Noi dunque siamo tutti quanti giovani nella primavera della grazia, e nella misura della fede siamo veramente nell'età perfetta e piena, siamo quindi in grado di capire Gesù, se lo vogliamo. Non dobbiamo però essere dei distratti. Accorgerci di un Gesù nuovo, di un Gesù crocifisso: la Pasqua è questo, la sua vita ci porta lì sulla croce.

Confrontiamo due posizioni mentali, che sono le due polarità dell’atteggiamento dell’uomo verso Dio: quella di Nietzsche che sostiene che non ci sono dei, quella di Giovanni che riconosce in Dio chi ci ama fino al colmo.
Nietzsche affermava: “Se ci fossero dei, come sopporterei di non essere un dio?” E la sua conclusione era: “Dunque non ci sono dei”. Non è una frase di un delirante di potenza o di un paranoico, Nietzsche ha scritto queste cose in piena consapevolezza. Il suo “Così parlò Zaratustra” il protagonista si richiude dal mondo a trent'anni perché ormai deve annunciare che Dio è morto; deve dire che sì, ai piccoli è dato il regno dei cieli, ma che a noi questo regno non interessa perché noi vogliamo essere grandi in questo mondo. Questa tesi è nascosta in tutti noi. Ogni uomo ha questa dignità di voler guardare Dio in faccia e di dirgli sempre, nelle grandi o nelle piccole cose: “O tu o io”. E nel momento in cui commettiamo un peccato, noi scegliamo esattamente: io. La questione non sta tanto nella gravità del peccato ma in questo desiderio di sfida che tutti noi portiamo dentro. In questo senso Nietzsche diventa emblematico.

Consideriamo ora la posizione mentale opposta, quella che riconosce Dio come amore, presentata in Gv 13,1.3-5: “Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era giunta la sua ora per passare al Padre, dopo avere amato i suoi li amò sino alla fine (al colmo)”. Questa è la frase su Gesù forse più significativa di tutto il Nuovo Testamento. E questo colmo comincia con un gesto incredibile: “Si alzò da tavola, depose le vesti e preso un asciugatoio se lo cinse attorno ai fianchi; poi versò acqua in un catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli”. Con questo episodio inizia la sua ora. Il gesto di lavare i piedi ai discepoli ha, come l’istituzione dell’eucaristia, un valore grandissimo, tanto che in un certo senso supera la nostra capacità di immaginazione: è proprio il Figlio, l’Uomo, il Dio fatto Uomo che si inginocchia e lava i piedi dei suoi discepoli. Non è tanto un gesto rituale quanto piuttosto il gesto di uno schiavo.
Riflettendo su questo episodio si rimane un po’ abbagliati come quando si guarda il sole: infatti sono cose talmente grandi che necessitano tutto il nostro impegno per essere comprese.

La novità che Gesù ci ha portato, l’umanesimo nuovo, la grande svolta, il cambiamento si può quindi riassumere in una parola: amare.
L’amore è il più bel dono che Dio ha messo nel nostro cuore. L’amore si esprime in tanti modi diversi, tutti belli: l’amore per i genitori, l’amore tra gli sposi, l’amore per gli amici, per il prossimo, per il creato, per tutto insomma. Ma la questione è che Gesù ha amato totalmente, ha posto all’amore un limite tanto alto che non è un limite ma un’apertura totale. Dando la vita per noi Gesù ci ha dimostrato la grandezza infinita del suo amore. I santi intuivano che Dio dev’essere veramente innamorato della sua creatura per arrivare a tanto, infatti questo progetto di Dio è abitualmente giudicato una specie di follia, perché è in aperto contrasto con la mentalità prudente e calcolatrice di noi uomini. Dio ci conosce e ci accetta così come siamo e infatti è stato necessario un Dio fatto uomo per un gesto così traboccante di amore; un Dio che non ci dice “Io sono Dio”, ma che si inginocchia davanti all’uomo e gli lava i piedi; un Dio che, conoscendo la nostra povertà, ci dona il suo Spirito e la sua energia morale, affinché, come dice Paolo, “abbiate in voi i sentimenti di Cristo”.

Il periodo pasquale ci interpella ad adottare un nuovo stile di vita basato sull’amore. È l’attenzione del cuore che il Signore si aspetta in più da noi, uno sguardo gratuito e attento, in grado di cogliere questo paradosso dell’amore. In un mondo in cui la legge dominante è quella dell’egoismo, noi cristiani dobbiamo andare controcorrente realizzando un vero progetto d’amore, il progetto di “essere per gli altri”. Non si tratta infatti solo di compiere di tanto in tanto qualche buona azione, andare a trovare un malato e regalargli un’ora del nostro tempo, dare denaro a un povero. Anche questo è amore per gli altri, ma non è però ancora un vero progetto: sono gesti belli ma un po’ occasionali, e proprio perché sono occasionali dimostrano che non rientrano in un progetto di vita fatto sul modello di Gesù.

Il progetto può sintetizzarsi in due interrogativi: per chi ti stai sacrificando? o, viceversa, Chi stai sacrificando a te? Chi stai servendo? o, viceversa, Di chi ti stai servendo?
Non c’è ambito della vita che sfugga alle due domande. Il rapporto con Dio, il rapporto con la famiglia, i rapporti di amore e di amicizia, i rapporti comunitari, i rapporti con tutti gli altri.

La prima domanda non è se mi sto sacrificando, ma per chi mi sto sacrificando in modo libero e generoso. Perché è istintivo e bellissimo fare certi sacrifici come quello di una mamma o di un papà, di chi si vuol bene, di due fidanzati, di due sposi, in un contesto d’amore già forte. È necessario però che il nostro amore lentamente si allarghi e riesca a raggiungere sempre più persone, quei fratelli che saremmo tentati di escludere o di ignorare per varie ragioni, tutte dettate dal nostro egoismo.
Anche nell'amore, che dovrebbe essere basato sull’altruismo, c’è spesso una componente di egoismo. E allora a volte succede che arriviamo a sacrificare qualcun altro, tenendolo legato a noi in mille modi. Si può arrivare a servirsi degli altri perché se ne ha bisogno, perché ci servono. Questa è la mentalità del mondo in cui viviamo. Gesù però non ha fatto così, si è fatto schiavo che lava i piedi.

Bisogna allora passare alla seconda domanda: di chi ti stai servendo? Chi stai servendo? Lavi i piedi? A chi? Perché? Per chi?
Non è facile servire, perché bisogna dimenticare chi siamo, dimenticare il confronto. Gesù era Dio, i discepoli erano dei poveretti, ma lo ha dimenticato volentieri; è così bello abbandonarsi alla povertà degli altri, è così bello lasciarsi andare per la gioia degli altri senza ragionamenti, dimenticarsi insomma per raggiungere in qualche modo il cuore di un altro, rassicurarlo, aiutarlo, rincuorarlo, o rallegrarlo: forse è il più bel gesto che si può fare.
Ce lo immaginiamo un criterio così vissuto nella vita politica? Spesso anche noi cristiani facciano come tutti gli altri, che sono ambiziosi e tradiscono i loro simili, invece di fare questo mestiere con uno spirito di servizio, mettendosi in ginocchio a lavare i piedi all’Italia. Ce lo immaginiamo cosa verrebbe fuori in neanche tanti decenni? Ce lo immaginiamo questo criterio applicato nella vita economica? Che rovesciamento di prospettiva!

È una meraviglia questo modo di vivere, è una meraviglia questo Dio. Ed è possibile vivere così, da adesso, da oggi. È la meraviglia del cristianesimo. È un “andare controcorrente” perché in fondo ci pesa un po’. Ma è così bello farlo, che questo peso vale la pena di portarlo.

Giuseppe Pollano

 

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