Dalla solitudine alla speranza

Publié le 11-03-2013

de Simona Pagani

L'accoglienza dell'Arsenale della Pace compie 25 anni. Alla porta bussano sempre più italiani: il prezzo della crisi...
Nel 2000 la percentuale di italiani nelle nostre accoglienze era dell’ 1%, nel 2003 del 3%, nel 2009 del 6%, nel 2012 è stata del 12%. La percentuale di donne italiane nelle accoglienze femminili nel 2012 è salita al 14,2%. Negli ultimi tre anni è raddoppiato il numero di italiani che si rivolgono all’Arsenale della Pace per chiedere accoglienza. Ma non sono cambiati solo i numeri, sono cambiati anche i motivi che portano persone italiane a rivolgersi al Sermig. Fino a qualche anno fa la maggior parte arrivava da situazioni di disagio: abuso di sostanze, problematiche psichiatriche, carcere… ora sempre di più si presentano alla nostra porta persone che fino a ieri avevano una vita normale: casa, lavoro, famiglia.

Tra gli uomini tanti sono i separati, di mezza età, che hanno perso il lavoro e conseguentemente la casa. Alcuni per qualche tempo rimediano dormendo in macchina e quando non ce la fanno più, chiedono aiuto. Le donne invece sono spesso indirizzate a noi dal Servizio sociale. Se infatti sei una persona tra i 18 e i 64 anni che si trova in difficoltà, magari senza una percentuale di invalidità adeguata, il servizio sociale ti fornisce un foglio, non sempre aggiornato, con l’elenco dei dormitori della città.

Qualche assistente più sensibile fa precedere all’invio una telefonata. Molte delle donne che si presentano chiedendo accoglienza hanno alle spalle relazioni familiari difficili, rapporti recisi con fratelli, sorelle, genitori, a volte figli, a motivo di scelte non condivise, di conflitti su eredità da spartire. Altre si ritrovano sole dopo essersi legate all’uomo sbagliato che ha usato loro violenza o ha dilapidato tutto. Altre ancora nella vita se la sono sempre cavata bene e mai avrebbero immaginato di ritrovarsi un giorno sull’uscio di casa a difendere da un ufficiale giudiziario ciò che non è solo un bene immobile, ma una parte di te, quella che al termine di ogni giorno è lì a riaccoglierti.

Quando una donna italiana arriva a chiedere ospitalità in un centro di accoglienza significa che non ha solo perso la casa, ma anche tutte quelle reti di relazioni (famiglia, amici…) che normalmente dovrebbero comunque poterla sostenere. Sono donne che vivono una profonda solitudine. Sentono di non poter contare su nessuno e quindi si rendono conto che loro non contano per nessuno, tanto che in un momento di così grande difficoltà sono degli sconosciuti come noi a prendersi cura di loro.

Nel loro passato prossimo c’è una vita normale. Il loro presente è una linea di terra sottilissima che sentono scricchiolare sotto i piedi. Il futuro non c’è! Hanno avviluppato la linea dell’orizzonte alla linea di terra sotto i loro piedi. L’energia che serve per tenersi in equilibrio su quella linea assorbe tutto. L’instabilità e la provvisorietà del presente si divora tutto. Aldilà di quella linea non c’è niente e nel niente non ci si può proiettare.
Ci si aggrappa con tutto se stessi al presente chiudendo l’orizzonte, perché fa troppo male pensarsi in un futuro.

Il nostro compito allora è quello di tentare di rendere così sereno, così dignitoso e rassicurante il presente, da riattivare nella persona la consapevolezza del suo valore e del valore della vita e quindi la possibilità di immaginarsi un po’ più in là. I fiori di notte si chiudono per il freddo e il buio ma di giorno con il calore del sole e con la luce si aprono di nuovo alla vita. Il nostro compito è, senza illudere nessuno, aiutare queste donne ad aprirsi a un futuro, a un domani e quindi a una progettualità.
La relazione è tutto, dobbiamo solo esserci con serenità, pacatezza, preghiera. Le parole a volte sono superflue.

Simona Pagani
Foto: Franca Gasparotto / gruppo fotografico CEDAS

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